di Francesco Meola – Ci stiamo avvicinando sempre più all’estate e come ogni anno, torna di stretta attualità la problematica siccità. Nonostante le precipitazioni di quest’ultimo periodo, complici anche le insufficienti nevicate che avrebbero dovuto fungere da riserva per il lungo periodo, la stagione estiva si preannuncia arida.
Tra le aree maggiormente colpite l’intera Italia settentrionale, dove l’approvvigionamento idrico per uso umano, per l’agricoltura e per la produzione di energia, sarà ancora più complesso degli scorsi anni ma si riscontrano difficoltà anche in molte regioni del centro-sud. Dopo quella del 2022, quindi, secondo i ricercatori, l’area del Mediterraneo quest’anno potrebbe vivere un’altra estate estrema e i segnali ci sono già tutti.
Secondo gli esperti, dunque, l’evoluzione del fenomeno è da monitore attentamente, anche in considerazione dell’imminente inizio della stagione irrigua e turistica. Il territorio di distretto dell’Autorità di Bacino dell’Appennino Settentrionale mantiene infatti un livello di ‘severità idrica media’, inquadrando come aree di maggior attenzione quelle del Magra, la Toscana nord e la costa livornese.
Questo almeno è quanto emerge dal bollettino dell’Osservatorio permanente degli utilizzi idrici, secondo il quale, spicca la necessità di programmare fin da ora azioni da mettere in atto nel breve e medio periodo, da affiancare a interventi strutturali previsti nella pianificazione di distretto e nelle diverse linee di finanziamento attivate negli ultimi anni. In Toscana a marzo è piovuto poco meno della media calcolata sugli ultimi 30 anni, 65 millimetri contro i 79 millimetri attesi. La regione continua quindi a risultare divisa in due settori, uno nordoccidentale in condizioni di deficit (ancora dell’ordine di 500 millimetri sull’anno) ed uno sudorientale, caratterizzato da apporti leggermente superiori alla media.
Se si compara la situazione dall’inizio dell’anno, si registra una perdita di pioggia di 90 millimetri (pari all’8,6%) mentre se il confronto si fa dal gennaio 2022, mese in cui sostanzialmente ha preso avvio il periodo siccitoso, il deficit sale a circa il 18%. La situazione, pertanto, è complessa ormai da più di un anno e, in molti casi, non ha risparmiato neanche le zone montane, come avvenuto la scorsa estate a Montemignaio. Il paese, noto per la produzione di alberi di Natale, ha visto intere piantagioni di abeti ornamentali andare perse (vedi foto sotto, ndr) ma anche le coltivazioni di patate di montagna sono andate fortemente compromesse, con una drastica riduzione della produzione.
In Italia, il 2022 si è classificato come l’anno più caldo di sempre, con una temperatura addirittura superiore di +0,98 gradi rispetto alla media storica e precipitazioni praticamente dimezzate, con un calo del 45%. L’anomalia climatica più evidente si è avuta in estate, con il mese di giugno che ha fatto registrare una temperatura media superiore di ben 2,88 gradi rispetto alla media. Ma cosa dobbiamo aspettarci per i mesi a venire e quali sono state le difficoltà con le quali ha dovuto misurarsi la nostra vallata? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Eliana Arrighi, responsabile della Coldiretti di Bibbiena con la quale abbiamo fatto il punto della situazione attuale.
Stando ai dati a vostra disposizione, qual è attualmente la situazione che sta vivendo il Casentino? «Fortunatamente non è così catastrofica come quella di altre realtà nazionali. Ciò non vuol dire, però, che anche il nostro territorio non abbia avuto le sue sofferenze».
Qual è stato il settore che ne ha risentito maggiormente? «Sicuramente quello delle aziende zootecniche, a causa della minore produzione di foraggio, ma non va dimenticato il comparto florovivaistico, con la produzione di alberi di Natale seriamente compromessa. Nel 2022, diverse aziende di Montemignaio e Castel San Niccolò hanno dovuto ridurre drasticamente la propria produzione e gli effetti si noteranno almeno per un altro anno, vista la poli annualità di questo tipo di coltura. È ovvio che i problemi legati alla siccità non sono soltanto quelli di natura ambientale ma anche economica, considerato che la carenza d’acqua mette a rischio intere filiere a partire da una delle più importanti come quella del settore alimentare».
Che aiuti si aspettano gli agricoltori da parte dello Stato? «Proprio in questi giorni si è tenuto un Consiglio dei Ministri al riguardo, con la nomina di un commissario anti-siccità ma è ancora presto per sapere se verranno adottate nuove misure di sostegno oltre a quelle già esistenti».
Nell’attesa, quali interventi si dovrebbero adottare per arginare il problema? «Occorrono interventi di manutenzione e di risparmio delle risorse idriche disponibili ma fondamentale è anche il riciclaggio delle acque. A tal proposito, è necessario potenziare la rete di invasi sui territori, creando bacini che possano raccogliere le acque meteoriche dalle quali attingere nei momenti di difficoltà».
A tal proposito sono 223 i progetti esecutivi approntati da Coldiretti nell’ambito del Piano Laghetti, che punta a realizzare 10.000 invasi medio-piccoli entro il 2030. È previsto qualche intervento anche qui in Casentino? «Sì, ci sono già delle aziende che si sono mosse in tal senso, soprattutto quelle dedite all’arboricoltura (vigneti, frutteti e simili, n.d.r). In effetti, come dicevo pocanzi, la costruzione degli invasi può essere una soluzione al problema anche se naturalmente ha dei costi che non tutti possono permettersi. Tuttavia, al di là del supporto economico, se si snellisse anche soltanto l’aspetto burocratico legato alla realizzazione dei bacini, sarebbe un incentivo importante per la loro implementazione».
Attualmente, quali sono le istanze che vengono maggiormente avanzate dagli agricoltori? «Restando sul tema, una delle principali preoccupazioni è legata all’approvvigionamento delle acque dai fiumi. Allo stato attuale, per potersi garantire la continuità nell’irrigazione dei raccolti, gli agricoltori necessitano che la Regione non privi loro della possibilità di attingere dai fiumi».
Fortunatamente, almeno per il momento, non vi sono segnali negativi in tal senso ma cosa succederebbe se lo Stato si trovasse costretto ad obbligare le Regioni al contingentamento delle acque?