Mentre si parla di “Potenziamento, Riorganizzazione, Incremento, Attivazione, Sviluppo, Mantenimento” (sic!) e i Sindaci accettano supinamente l’assurdo compromesso al ribasso in cui si sopprime il Punto Nascita in cambio di vaghe promesse che sappiamo già non verranno mantenute, la realtà di tutti i giorni è un’altra. In questa storia esclusiva si racconta come per una semplice appendicite dal Casentino si va ad Arezzo…
di Mauro Meschini – “In queste sere di vero inverno c’è un piacere particolare ad andare a dormire dopo un po’ di tempo trascorso davanti al camino. Ma capita che, all’improvviso, arrivano dei forti dolori, la pancia si indurisce e si è colpiti da un forte tremore. Non si capisce cosa sia. Naturale attaccarsi al telefono per chiamare il medico della Continuità Assistenziale. Qualche squillo poi risponde, ma non può fare molto da lontano così decide di venire a casa. È circa mezzanotte e per fortuna, pur abitando isolati nel comune di Pratovecchio Stia, il servizio notturno, che ha sede proprio a Stia, può arrivare in un tempo relativamente breve.
I dolori continuano il medico chiede e si informa, poi procede ad una visita più approfondita. Decide di somministrare un medicinale per rendere più sopportabile il dolore, ma avverte che potrebbe trattarsi di appendicite e che sarebbe necessario rivolgersi al Pronto Soccorso quanto prima.
L’antidolorifico dopo un po’ fa effetto e la situazione è più tranquilla, ma quella possibilità chiaramente espressa dal medico spinge a non rimanere a casa: si decide di andare al pronto soccorso. Adesso con il dolore più sopportabile è possibile spostarsi anche in auto, sembra eccessivo chiamare il 118.
Al Pronto Soccorso di Bibbiena, a notte fonda, non c’è nessuno e anche qui, dopo i primi esami di controllo, viene confermata la diagnosi del medico ma, l’impossibilità di fare subito un’ecografia per mancanza del personale addetto, rende necessario attendere la mattina successiva. Così alle 4,00 circa, pur sapendo cosa sarebbe necessario fare, occorre rassegnarsi ad una flebo di antibiotico e aspettare.
Il mattino successivo alle 10 il medico chirurgo conferma la situazione: appendicite acuta. In un ospedale normale sarebbe sufficiente andare in sala operatoria per un intervento che non è tra i più complicati.
Ma a Bibbiena NO. Solo interventi programmati e così non resta che essere dirottati ad Arezzo. Trascorrono altre 3 ore circa in attesa di un’ambulanza, quella che alla fine arriva è già stata e tornata da Arezzo, praticamente Bibbiena più che a un ospedale assomiglia ad una stazione di smistamento.
Arriviamo finalmente al San Donato e dopo un breve passaggio al Pronto Soccorso ecco il ricovero in chirurgia dove, all’inizio, devono capire un attimo di cosa si tratta poi, dopo che si era ventilato il rischio di essere operati il giorno successivo, alle 17,00 circa, finalmente, si entra in sala operatoria.
Sono trascorse circa 15 ore da quando il medico a casa ha diagnosticato l’appendicite; 13 ore dal momento in cui gli esami a Bibbiena hanno indicato molto probabile questa situazione; 7 ore da quando il chirurgo, sempre a Bibbiena, ha verificato la possibilità di eseguire subito l’intervento. Nel mezzo tanto tempo perso; una situazione clinica che certo non è andata a migliorare; un viaggio in ambulanza sulla mitica SR71. Il tutto per un’appendicite!”.
Questo non è un racconto inventato.
Purtroppo è vero e l’ho vissuto, come testimone, in prima persona. Dico subito che ne avrei fatto volentieri a meno. Però, se può servire a qualcosa, tutta questa vicenda ha confermato, anche se non era necessario, molte delle convinzioni e idee che da anni cerchiamo di diffondere sul nostro giornale.
Intanto ho potuto avere la certezza che non ci sarà mai nessuno che avrà il coraggio di dire che l’ospedale di Bibbiena deve essere chiuso, e tanto meno ci sarà qualcun altro che avrà le “palle” per decidere di mettere i lucchetti alle porte. Non serve, non è necessario, lo stanno già consumando lentamente, un pezzo alla volta.
A Bibbiena la chirurgia è sempre stata un fiore all’occhiello, adesso non siamo in grado di intervenire in emergenza per un’appendicite?
No, non è colpa degli operatori sanitari, loro ci sono e hanno dimostrato anche in questa vicenda tutta la loro professionalità, il problema è che non hanno più la possibilità di fare quello che sanno fare benissimo.
Basta non prevedere più il personale medico necessario h24 e il gioco è fatto; l’accertamento non lo puoi fare, l’intervento neppure e ti accontenti delle operazioni programmate prima per tutta la settimana, poi dopo magari per tre giorni, poi per due, alla fine per un solo giorno la settimana quando il burocrate di turno verrà a dire che “non è economicamente conveniente”.
Eccola qui l’unità di misura che si usa prima ai vertici regionali e poi in quelli delle ASL. Bene, e allora ditemi cosa c’è di economico ad effettuare un intervento con ore e ore di ritardo e mettendo in moto una complessa macchina organizzativa che richiede ai medici di trascorrere più tempo a concordare spostamenti di pazienti invece di curarli e che necessità l’attivazione di mezzi e personale esterni all’ospedale che non sono certamente a costo zero?
Ma davvero tutte questi costi, a cui è assolutamente necessario aggiungere la tutela della salute e del benessere dei pazienti, sono inferiori a quelli necessari per garantire un’adeguata emergenza a Bibbiena?
Sono convinto che non è così, e comunque, anche se lo fosse, il valore aggiunto di un efficiente punto di assistenza medica e chirurgica h24 in una zona come il Casentino è comunque irrinunciabile a prescindere.
Così è anche per il Punto Nascita, per il quale, con la scusa delle statistiche, si sta procedendo allo stesso modo. Si inducono dubbi nelle future mamme consigliandole di andare a partorire altrove e poi si annuncia che i parti a Bibbiena sono diminuiti.
È una tecnica collaudata, utilizzata anche per le visite specialistiche, è sufficiente dare indicazione al CUP di non prendere più appuntamenti per Bibbiena, svuotando così l’offerta dei servizi del territorio.
Se non li fermiamo questa tecnica rischia di avere successo, perché i cittadini sono spinti a pensare che, alla fine, l’ospedale e gli altri presidi sanitari in Casentino non sono poi così necessari.
Ho potuto verificarlo raccontando ad altri quanto era successo, quando mi sono sentito dire: “Non conviene andare a Bibbiena al Pronto Soccorso…”.
Ascoltare un’affermazione del genere potrebbe spingere il presidente della Regione Enrico Rossi e tutta la Giunta regionale a improvvisare una Ola, sono anni che perseguono con tenacia l’azzeramento della sanità pubblica e la privatizzazione del diritto alla salute e non è proprio il caso di facilitarli le cose.
Proprio perché vediamo il nostro Pronto Soccorso in difficoltà dobbiamo continuare a rivolgerci a questo fondamentale servizio, pretendendo che gli operatori che vi lavorano siano messi nelle condizioni di curare e aiutare le persone, non di perdere il loro tempo per organizzare trasferte in quello o quell’altro ospedale.
La salute non è una merce, dovremmo sempre ricordarlo e pretendere che la politica lo ricordi mettendo in atto scelte conseguenti.
La salute non è solo essere curati; è anche la possibilità di avere facilitato l’accesso ai luoghi di cura; è anche non dover vivere la malattia lontano dai propri cari e dalla propria famiglia; è anche non essere costretti ad aggiungere alla malattia la fatica di spostamenti difficili e di attese infinite.
A rileggerle mi sembrano considerazioni elementari e di buonsenso, su cui sfido chiunque a dire qualcosa in contrario.
Allora perché in questa Regione e in Casentino si stanno facendo scelte che colpiscono al cuore uno dei diritti fondamentali dei cittadini? Per cosa e per chi si sta facendo tutto questo?
Certo sapere che assicurazioni e terzo settore stanno organizzandosi per essere in grado di offrire servizi sanitari, privati, per sostituire quelli che la Regione sta smantellando può già aiutare a comprendere cosa sta succedendo.
Anche sapere che in alcuni contratti i sindacati hanno approvato l’inserimento di polizze assicurative per i lavoratori non è un segnale troppo rassicurante, un altro tassello che spinge a considerare la salute non più un diritto garantito, ma un “bene” che devi preoccuparti di essere in grado di comprare.
Sono gravi e pericolosi passi indietro rispetto alle conquiste e ai traguardi che in questo Paese si era riusciti a raggiungere. Questo è grave, e ancora di più lo è perché i principali autori di questo smantellamento sono anche i soggetti che, storicamente, hanno sostenuto e incarnato le principali battaglie per il progresso e la crescita dell’Italia.
Ma certo niente è impossibile, visto che ancora qualcuno continua a pensare che il PD sia un partito di sinistra.
Non credo sia più il tempo di stare alla finestra, chiunque non alzerà la voce contro questo maledetto e sporco disegno ne sarà, di fatto, complice.
Questo vale per tutti, in primo luogo per i sindaci casentinesi, che continuano a diffondere comunicati rassicuranti pilotati dalla ASL; che non hanno mai veramente preso posizioni chiare e ferme o alzato la voce contro il depotenziamento dell’ospedale di Bibbiena e dei suoi reparti; che in assemblee e interventi pubblici molte volte si limitano solo a giustificare e prendere atto di scelte decise più in alto.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 267 | Febbraio 2016)