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mercoledì, 2 Aprile 2025

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Aree sempre più interne

di Matteo Bocca – Nella liturgia della comunicazione istituzionale dell’ultimo decennio, c’è un soggetto che viene spesso nominato quasi come un’entità eterea, immateriale, e al tempo stesso immanente: Le “Aree Interne”.

Si tratta di fondi statali per finanziare progetti volti a sviluppare il turismo sostenibile, per potenziare il trasporto e la mobilità, per garantire il diritto alla salute e all’integrazione sociale, migliorare i servizi educativi, sviluppare l’agricoltura e la filiera del legno; finanziamenti destinati ad evitare lo spopolamento progressivo e inesorabile di aree del Paese svantaggiate rispetto ai centri urbani. Sono molteplici i campi di applicazione di questa strategia voluta da Fabrizio Barca, ministro del PD per la coesione territoriale all’epoca del governo Monti.

Era il 2013. Da quel momento, un fiume di centinaia di milioni di euro sono stati destinati allo sviluppo delle cosiddette “Aree Interne”. Ma cosa sono esattamente le Aree Interne? E in che modo quel fiume di denaro ha contribuito, se lo ha fatto, allo sviluppo del Casentino?

Con la definizione “Aree Interne” si intendono quelle parti del territorio nazionale che per ragioni geografiche si trovano distanti dai servizi essenziali come istruzione, salute, mobilità, o dai grandi centri urbani. Secondo la recente riformulazione del CIPESS (Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile), questi territori sono rappresentati da quasi 4000 comuni (circa la metà del totale), e abitati dal 22,7% della popolazione italiana. I comuni del Casentino rientrano in questa strategia economica nazionale varata da Barca, ed hanno quindi beneficiato di questo fiume di denaro attraverso bandi pubblici per l’assegnazione dei fondi disponibili.

Sul come siano stati utilizzati questi fondi in Casentino, e quali benefici abbiano recato alla popolazione e al territorio, ci eravamo già espressi in un articolo dello scorso anno sottolineando la fiducia che gli abitanti sono obbligati a riporre nelle istituzioni, perché non c’è modo di sapere dove e come siano stati spesi questi soldi. Nel sito dell’Unione dei Comuni, ente preposto alla governance dei progetti e dei bandi, non vi è infatti traccia dei finanziamenti erogati per il progetto di sviluppo “Casentino Valtiberina: Toscana d’Appennino, i Monti dello Spirito”, né vi è traccia nel Web del sito dal nome altisonante “Agorà dei Monti dello Spirito”, che avrebbe dovuto “Portare a conoscenza (della popolazione, ndr) il percorso di realizzazione della strategia attivando così azioni di monitoraggio di comunità utili a misurare le ricadute degli interventi nell’area”. Inutile dire che anche delle azioni di monitoraggio, sul sito dell’Unione dei Comuni, non vi è traccia, e quindi nemmeno il modo di sapere quali ricadute abbiano avuto questi investimenti.

Qualche tempo fa, durante un’intervista, lo stesso Fabrizio Barca era tornato sull’argomento alla luce dei dati post pandemia per riflettere e fare il punto sull’attuazione della strategia delle Aree Interne, sottolineando con amarezza che lo sviluppo di questi progetti è viziato da spinte conservatrici neoliberiste che, di fatto, ne hanno bloccato l’attuazione: «Le Aree Interne corrono il rischio della trappola del sottosviluppo, una condizione economico – sociale in cui le forze endogene della democrazia e del mercato non sono sufficienti perché non c’è abbastanza voce e conflitto, o non c’è sufficiente concorrenza e creatività».

Fabrizio Barca, quindi, sostiene che la strategia di intervento non può essere il neoliberismo, che crea continue disuguaglianze perché eroga sussidi di vario genere per compensare i danni dell’immobilismo, e tenendo buoni gli amici a suon di finanziamenti a pioggia, blocca il processo democratico e di sviluppo dei territori di queste aree interne. La soluzione proposta da Barca intendeva attuare un approccio “Place – based”, che doveva combinare gli indirizzi strategici nazionali, scegliere le priorità, indicare i criteri fondamentali, ma lasciare aperta l’applicazione territoriale. Un approccio non localista, insomma.

Nella sua riflessione, Barca, citando lo scenario postpandemico, ha anche accennato all’inversione di tendenza che si è verificata nei giovani che sembrano ora più attratti dalle aree rarefatte rispetto ai centri urbani, ma «C’è però il rischio che la domanda di questi giovani venga contrastata dalle forze conservatrici dei territori, perché le partnership che vengono a crearsi diventano un meccanismo procedurale volto a mascherare i processi decisionali che continuano ad essere presi nelle stesse stanze dagli stessi di sempre. Anche i comitati di monitoraggio vengono vanificati da documenti incomprensibili e non discussi».

Difficoltà e problemi individuati da Barca nell’attuazione dei progetti legati alle Aree Interne, che nell’intervista conclude: «Le difficoltà oggi non dipendono dai territori, ma dai partiti politici, autorità di governo, e da una parte di quella cultura che asseconda i conservatori del territorio che non vogliono cambiare perché esigono i soldi della compensazione neoliberista».

Lo scenario sulle Aree Interne descritto da Barca getta più di un’ombra sulle strategie attuate dagli enti preposti alla governance dei progetti, ma se non c’è modo di sapere dove e come sono stati impiegati questi finanziamenti in Casentino, sarà sufficiente citare un dato incontrovertibile per porsi più di una domanda sull’operato delle amministrazioni, e sulle loro responsabilità. Dal 2009 al 2019, il Casentino, come ha dimostrato la ricerca pubblicata sullo scorso numero della nostra testata a firma di Mauro Meschini, ha perso circa 2500 residenti, e nei soli ultimi due anni, altri 750. Se lo scopo della strategia delle Aree Interne doveva essere quello di prevenire lo spopolamento, per forza di numeri qualcosa non solo non è andato come previsto, ma ha addirittura prodotto l’effetto contrario: il Casentino si sta inesorabilmente spopolando a un ritmo che si moltiplica con il passare degli anni, e con il trascorrere dei progetti milionari andati in fumo.

Sarebbe dunque il caso di iniziare a porsi delle domande su come siano stati utilizzati questi fondi pubblici delle Aree Interne, e sui non benefici ricaduti sul territorio casentinese. Noi lo abbiamo fatto, ma una riflessione scaturisce dalle parole di Fabrizio Barca nella sua intervista, quando dice che le “Forze endogene della democrazia e del mercato (delle aree interne, ndr) non sono sufficienti perché non c’è abbastanza voce e conflitto, o non c’è sufficiente concorrenza e creatività”.

Voce e conflitto. La voce, quella del governo del territorio, e il conflitto delle opposizioni, che ne dovrebbero controllare e verificare l’operato per garantire la trasparenza e l’equilibrio democratico. La riflessione che scaturisce dalle parole di Barca ci induce quindi a un quesito: dove sono le domande delle opposizioni politiche in merito a tutto ciò che ci siamo chiesti fino ad ora? Qualcuno ha mai chiesto come sono stati investiti i fondi delle Aree Interne? E le azioni di monitoraggio di questi progetti, sono mai state discusse o analizzate dalle opposizioni?

La nostra speranza è di non dover rimandare ai posteri le ardue domande, perché di questo passo, i posteri potrebbero contarsi sulle dita di poche mani.

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