di Mauro Meschini – Questo è un articolo di quelli in cui, se fosse il mare, ti tufferesti senza pensarci, tanta è la sintonia con la storia che si sta scrivendo. Per questo abbiamo deciso di lasciare ad altri che, come noi, hanno condiviso momenti di “bella Politica”, il compito di raccontare e ricordare Enrico Berlinguer.
Susanna Cressati, è stata inviata de “L’Unità” e capo ufficio stampa della Regione Toscana. Mentre Simone Siliani, ha ricoperto importanti ruoli in Regione Toscana e nel Comune di Firenze, oggi è direttore della fondazione Finanza Etica.
Nel 2016 hanno proposto insieme il volume “Berlinguer. Vita trascorsa, vita vivente” (Maschietto Editore) che, già allora, metteva in evidenza molti degli aspetti che, a cento anni dalla sua nascita, abbiamo voluto portare all’attenzione, alla conoscenza e alla riflessione di tutti.
Per questo anniversario ho subito pensato al vostro libro, anche perché, già il titolo evidenzia come, quanto detto, pensato, praticato dal segretario del Partito Comunista, si possa considerare assolutamente attuale nel nostro presente…
Simone Siliani. «Il titolo è indicativo per noi ed è una parte di una frase di Berlinguer. Questo è un libro che propone una tesi per la quale soprattutto il “secondo Berlinguer”, quello che vediamo dopo la fine del compromesso storico, è stato in grado di capire i profondi cambiamenti che erano in corso nella società italiana e mondiale; di cercare nuovi referenti sociali e politici per il proprio partito; di proporre una serie di temi, su cui fa scelte e proposte politiche, che oggi parlano per noi in un modo straordinariamente attuale.
I temi dell’austerità, della pace, dei diritti delle persone, la questione morale… sono tutti temi che la società di allora e anche il suo partito, capivano e approfondivano poco.
L’idea dell’austerità non era un richiamo ad una vita da “carmelitano scalzo”, ma l’idea sul perché si produce, come e con quale impatto sull’ambiente.
Berlinguer fece una delle sue ultime interviste sul Futuro con Ferdinando Adornato, un’intervista meravigliosa in cui parla della rivoluzione digitale, anche se non la definisce con questo termine, ma allora, nel 1982, nessuno pensava al cellulare ed esistevano ancora pochi computer. Alla fine Adornato gli chiede: “Ma il sol dell’avvenire non arriva?“. E Berlinguer rispose: “Il sol dell’avvenire… si, oggi ne parlano soprattutto gli scienziati perché in fondo il tema è quello dell’energia solare!“. Con 40 anni di anticipo Berlinguer parla di un mondo che non poteva concretamente vedere ma che riusciva a pensare con la sua capacità di andare oltre. Io non penso che la società e la politica di oggi siano in grado di apprezzare questo tipo di riflessione così profonda. Con un Berlinguer che, con un grande senso di responsabilità, si fa carico di portare un terzo della popolazione italiana verso approdi nuovi. Questo pensiamo sia il Berlinguer più interessante».
Susanna Cressati. «Questo libro raccoglie anche interviste con giornalisti, parlamentari, intellettuali. Nel ricercare questi contributi abbiamo anche esplorato il dibattito che c’è stato in questi anni sulla figura di Berlinguer. Abbiamo rilevato posizioni che affermavano che bisognava abbandonare Berlinguer. Come Miriam Mafai che invitava a dimenticare sia il compromesso storico sia l’alternativa democratica considerandole formule che non aiutavano la sinistra. Ci sono poi altri, tra questi anche noi, che invece dicono che nonostante le difficoltà, le sconfitte, i progetti incompiuti ancora c’è bisogno di fare i conti con l’eredità di Berlinguer. Non si può liquidare in modo così semplice, come fosse ininfluente, anche rispetto a quelle che possono essere le sorti di un pensiero di sinistra oggi. Abbiamo scelto le tematiche che secondo noi sono le più significative e che possono essere ancora ispiratrici di un qualche progetto, come il discorso del Teatro Eliseo su l’austerità».
Un tema che già allora poneva la questione del rispetto. Del rispetto del pianeta dove viviamo, di quello che viene fatto e prodotto e di come questo deve essere condiviso tra tutti…
Susanna Cressati. «Tra l’altro era un discorso pronunciato in ambito culturale, era un incontro con persone che, secondo Berlinguer avrebbero dovuto pensare ed essere fonte di una nuova cultura che poi il partito avrebbe potuto trasformare in progetto politico… L’eredità di Berlinguer andrebbe forse trattata come un classico, avulso da quella che è poi la battaglia politica, questo forse il modo giusto di affrontare questa riflessione».
Pensando a quello che avete detto. Un aspetto forse positivo è il fatto che, un così grande patrimonio di proposte e di idee, presentato in un modo così profondo e con una visione così avanzata, sia stato ripreso da pochi, anche perché bisognerebbe avere la capacità di gestire temi che non possono essere oggetto di banali tweet o post….
Invece, quanto sarebbe prezioso riprendere, al di là dei contenuti, il significato racchiuso nel modo utilizzato da Berlinguer per portare avanti ciò in cui credeva? Se non pensi, se non costruisci un progetto, se non rifletti non puoi avere una proposta. Il compromesso storico non è nato da una dichiarazione ad un giornalista, ma da articoli in cui Berlinguer iniziava ad analizzare quanto era accaduto in Cile…
Susanna Cressati. «C’è una testimonianza che abbiamo raccolto in Sardegna che forse può dare il senso di quale era il modo con cui Berlinguer interpretava il suo ruolo di dirigente politico. In occasione di una campagna elettorale il compagno che aveva organizzato la sua visita aveva previsto di fare tappa in un paio di fabbriche e in una di queste Berlinguer avrebbe dovuto fare un breve intervento. Ma anche da un’altra fabbrica viene poi la richiesta di incontrarlo e quando gli viene proposto Berlinguer in un primo momento non è molto contento ma poi accetta e tutto si svolge nel migliore dei modi. Il giorno dopo però Antonio Tatò (era il segretario personale di Enrico Berlinguer, n.d.r.) andò dal compagno che aveva organizzato la visita e gli fece sapere che: “Mi ha detto il segretario di dirti che non hai organizzato bene la giornata di ieri, perché avevo preparato uno specifico discorso per gli operai di una fabbrica e ho dovuto improvvisare di fronte ai lavoratori dell’altra che invece avevano il diritto di sentirsi dire cose diverse perché io non sono un politicante che ha il discorso buono per tutte le occasioni“. Questo era Berlinguer, voleva conoscere, voleva sapere, studiava per affrontare in modo puntuale ciò che riguardava le persone che aveva di fronte. Questa era il modo di interpretare la dirigenza politica di un segretario nazionale, anche se doveva parlare in un piccolo paese della Sardegna».
Simone Siliani. «Mi viene in mente che, per certi aspetti, Berlinguer potrebbe essere oggi un intellettuale di alto livello, proprio per questo tipo di impostazione profonda, di riflessione, di studio, di non dire mai le cose scontate, di pensare a quello che si dice….
Lui, tra le altre, aveva una cosa che manca ai politici del nostro tempo: il popolo. Il partito e il popolo non erano due cose diverse come accade oggi. Oggi i partiti sono strutture di “potere”, detto in senso neutro….».
In senso tecnico si potrebbe dire che sono delle agenzie di stampa…
Simone Siliani. «Esatto. Sono un po’ agenzie di stampa e un po’ un’oligarchia di persone che stanno intorno ad un capo, ma sotto hanno il vuoto, indipendentemente dal numero di voti che prendono. Il partito era come una piramide con un segretario, i dirigenti nazionali e locali, ma il popolo che stava alla base con la dirigenza interloquiva, discuteva, fino all’infinito a volte e i dirigenti erano obbligati ad andare nelle sezioni a discutere. Questa continuità tra il popolo e il partito oggi si è completamente persa e credo non sarà possibile ricostruirla perché la disintermediazione tra il popolo e le decisioni del potere è assoluta in tutti i campi, in economia, nelle istituzioni… poi c’è la disintermediazione prodotta dai social che danno l’illusione di contare, che davvero “uno vale uno”… il cittadino che partecipa sui social pensa di avere una verità assoluta che in quanto lui la dice debba affermarsi, ma questo non accade, intanto perché non esiste una verità assoluta, ma perché era il meccanismo dialettico il sistema che ti portava a discutere e vedere posizioni diverse anche cambiare. Si era obbligati ad articolare, spiegare, confrontarsi. Questo processo è definitivamente assente nei social e non potrà tornare. Ma potrebbe tornare, e ci vorrebbero politici coraggiosi, la capacità di approfondimento dei temi».
Susanna Cressati. «Penso che sia molto interessante quello che hai detto sul fatto che Berlinguer possa essere un intellettuale di alto profilo. Questo testimonia in fondo la forza delle idee. Che poi queste non passassero solo attraverso il partito, ma anche dai movimenti, Berlinguer lo aveva capito. Era importante che il partito avesse tanti iscritti, ma si doveva guardare anche al movimento delle donne, dei giovani, della pace e stare dentro queste realtà. Oggi pensando all’ambiente e a Friday for future si vede che ancora la forza delle idee è possibile, è ancora attiva, non passa più dai canali di un partito ma attraverso altre strade».
Parlando delle idee, anche il modo di proporle metteva in evidenza il rispetto di Berlinguer per la carica che ricopriva, per il luogo dove le esponeva, per la Democrazia nel suo insieme. Penso ad oggi e al lungo tempo trascorso senza che il Parlamento avesse veramente la possibilità di discutere. Andiamo avanti con decreti legge e voti di fiducia e della Repubblica parlamentare rischia di rimanere ben poco, con tutti gli schieramenti che hanno lo stesso atteggiamento, compreso quello di lamentarsi quando sono all’opposizione…
Simone Siliani. «Infatti Berlinguer ha fatto pochi discorsi alla Camera e al Parlamento europeo, penso per quello che dicevi e cioè per il rispetto istituzionale del luogo. Lui era il capo di un partito e quindi interveniva quando c’erano i grandi dibattiti, che oggi non ci sono più anche perché quello era un sistema effettivamente parlamentare. Era il segretario del partito, portava la voce della sua organizzazione con grande rispetto dato anche dal modo con cui si preparava. Ci raccontava Vannino Chiti (ex Presidente della Regione Toscana, n.d.r.) che Berlinguer una volta doveva partecipare ad un Comitato regionale, nei giorni precedenti lo chiamò Antonio Tatò e gli disse: “Purtroppo il segretario può essere presente solo alla conclusione dell’incontro ma ti chiede di prendere appunti su tutto e di inviarli“. Chiti segue le indicazioni e Berlinguer fa talmente uso dei materiali ricevuti che quando viene a Firenze chiama Chiti da parte e chiede su tutto ulteriori chiarimenti e conferme. Un lavoro da vero dirigente politico che non solo guida una struttura, ma che l’ascolta e la rispetta moltissimo. Secondo me questo è un altro elemento caratteristico di uno stile umano e politico».
Proviamo a fare adesso un’ipotesi, pensando a quello che Berlinguer farebbe oggi… Ecco, guardando la foto della copertina del vostro libro scattata in occasione della manifestazione di Firenze del 1980, oggi rispetto alla pace perduta e alla guerra in Ucraina e altrove cosa farebbe?
Simone Siliani. «È una cosa difficile questa perché da un lato, razionalmente, non possiamo pensare di dire cosa farebbe oggi Berlinguer. Dall’altro però è troppo forte la tentazione. Su questi temi della pace io penso che non sia una forzatura dire che per Berlinguer la pace venisse prima di tutto. C’era poi una contestazione che veniva avanzata dall’est sul fatto che ci fosse la pace ma allo stesso modo ci fossero anche i diritti…».
Da questo punto di vista non avrebbero avuto molto da dire…
Simone Siliani. «Vero… Comunque su questo Berlinguer ci ragionava e se si vanno a rileggere i documenti e le sue prese di posizione, vediamo con nettezza che da quando viene eletto segretario fino allo strappo vero e proprio dei primi Anni ’80, è un continuo tentare di rompere con quel mondo. Non sopportava il partito sovietico e quando ha il coraggio di andare lì e dire : “Si è esaurita la forza propulsiva della Rivoluzione di ottobre“, fa una cosa grande. Sulla pace aveva capito che quel movimento esprimeva nel suo complesso una cultura nuova. Per esempio il tema della “nonviolenza” era una cosa che il suo partito non capiva…».
Era un valore promosso anche dalla nostra Federazione Giovanile…
Simone Siliani. «Infatti ricordo che al congresso della FGCI a Napoli parlai in un gruppo di lavoro sostenendo la legge sull’obiezione di coscienza e Giancarlo Pajetta intervenne dicendo: “No, caro compagno, tutti devono imparare a sparare, soprattutto i comunisti“. Berlinguer, a differenza di Pajetta, che per la sua storia e la sua esperienza nella Resistenza aveva una diversa formazione, aveva capito che quel movimento era il frutto di un mondo nuovo. Quindi credo che lui oggi avrebbe votato contro l’aumento delle spese militari perché ci sono suoi interventi contro il complesso economico militare. Certamente sulla questione dell’invio delle armi all’Ucraina ci sarebbe stata una discussione anche lacerante, perché entravano in conflitto il rischio di allargare lo scontro con il diritto di un popolo a difendersi. Non so quale decisione sarebbe stata presa ma sarebbe stata ampiamente discussa…».
Susanna Cressati. «Io non penso sia possibile rapportare ad oggi l’esperienza di una personalità che è vissuta in un mondo che è completamente scomparso. C’era la Guerra Fredda, era un mondo abitato da equilibri diversi e mosso da poteri diversi. Di una cosa sono convinta, sarebbe ancora un uomo attento a quelle che sono le periferie più buie: il sud del mondo, l’Africa, l’America latina. Lui non trascurerebbe nell’analisi della situazione internazionale, come faceva allora, queste parti del mondo. Partiva da lì con i suoi ragionamenti per capire quale era la posta in gioco e quali le possibilità. Questo della politica internazionale, con questa ottica verso il sud del mondo, sarebbe stato il suo pane quotidiano. Per quanto riguarda la guerra non mi sento di fare ipotesi su cosa avrebbe fatto…».
L’ultima domanda è legata alle esperienze personali, probabilmente chi, come noi, ha vissuto quel periodo condividendo quella storia si ricorda delle volte che ha avuto la possibilità di incontrare Berlinguer. Io ricordo che avevo 16 anni e ho partecipato alla mia prima manifestazione a Firenze per il No al referendum sull’aborto, in quell’occasione ho potuto vederlo da vicino. Quali sono stati i vostri momenti in cui avete visto Berlinguer?
Susanna Cressati. «Io fui inviata dal giornale proprio alla manifestazione di Firenze del 1981, quella è stata la mia unica occasione. Prima, nel 1975, seguii dalla redazione de “L’Unità” la Festa Nazionale di settembre. Vidi le immagini di quella folla immensa a cui non ero ancora abituata. Certo che una persona potesse mobilitare con una tale autorevolezza una simile quantità di persone che stavano in silenzio ad ascoltare il comizio era qualcosa di particolare. Io non ho mai avuto per nessuno il culto della personalità, neppure per Berlinguer, ma era convincente c’è poco da dire. C’era lui e ti sentivi protetto, ti sentivi capito, ti sentivi dentro un mondo di idee, di pensieri di cui ti fidavi».
Simone Siliani. «Anche io non ho conosciuto personalmente Berlinguer. Ma del rapporto personale con Berlinguer ho due ricordi. Il primo è dei giorni dopo la sua morte. Stavo facendo campagna elettorale per le elezioni europee nelle Marche accompagnando Ludovico Grassi, che era candidato come indipendente nelle liste del Partito Comunista. Effettivamente la notizia della sua morte fu per me, che ancora non ero iscritto, un momento forte in cui sentivi la passione e la partecipazione di tutti.
L’altro ricordo è legato alla stesura del libro, quando abbiamo avuto la fortuna di sapere che a Reggello abitava un compagno, Giuseppe Ciari, che aveva tutta una serie di registrazioni dei comizi di Enrico Berlinguer. Siamo andati a trovarlo nella sua casa in mezzo alle vigne e mi ricordo che ci accolse con la moglie. Quando gli spiegammo che stavamo preparando un libro su Berlinguer lui, uomo di poche parole, si alzò e andò nell’altra stanza ritornando con il suo tesoro: una scatola da scarpe piena di audiocassette registrate. Ecco risentendo quei comizi, registrati in un modo molto artigianale e in presa diretta in mezzo alla folla, comprendi il calore umano che c’era. Erano situazioni diverse da quelle di oggi, i discorsi venivano letti con chiarezza e precisione, senza barzellette o battute. Io ho sentito tanto calore e vita in quelle registrazioni rappresentate anche dai commenti e dagli applausi di chi stava ascoltando. Risentire i suoi comizi, per me che non ho mai potuto conoscerlo né stringerli la mano, è stato importante».
Susanna Cressati. «Si, sentire la voce è importante, soprattutto la voce inserita in un contesto particolare come un comizio che aveva tutta una sua ritualità: prima “l’Internazionale”, poi “Bandiera Rossa”, quindi la presentazione dei presenti sul palco, gli interventi e quindi le conclusioni del segretario. Una cosa veramente coinvolgente. Forse un po’ avevamo dimenticato il suo modo di parlare. Riascoltare i suoi comizi è stato un ritorno abbagliante per l’ampiezza, per i contenuti, per la complessità, per gli spunti che offriva».