di Andrea Barghi Goaskim – «It was 20 years ago today, Sgt Pepper taught the band to play». Erano 20 anni fa oggi che il Sergente Pepper ha insegnato alla band a suonare. (tratto da “Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles). Cantavano così i Beatles nel 1967… Mi hanno ricordato che trenta anni fa, usciva il mio primo articolo su questa prestigiosa rivista. Pensando a quel periodo, non avrei mai immaginato di arrivare a questo traguardo. Il merito credo sia dei lettori che ancora oggi non si sono stufati di leggere i miei racconti sul mondo del Casentino e le sue foreste, che mi sono rimaste nel cuore.
Credo che molto del merito sia anche di Massimo e Roberto, che mi permisero d’iniziare il mio percorso di scrittore. Ancora oggi mi sembra una parola “grossa”, riferita a me. Perciò dedico questo “pezzo” a loro, raccontando la poesia che suscita in me l’autunno.
Variopinti colori si susseguono in straordinaria follia per raggiungere le lettiere e creare soffici tappeti multicolori. Un connubio speciale è dato dalla nebbia; un mondo da me preferito, non certo quello delle città, ma piuttosto questo delle foreste Casentinesi. In questa valle, “chiusa”, ho trovato il mio spirito ribelle e l’ho acquietato, sentendomi libero e appagato. Mi trovo da stamani all’alba a Prato alla Penna, e mi sto incamminato a piedi su per la Giogana. Son tornato bambino, trascino i piedi nelle lettiere sollevando foglie, e il suono che ne esce mi emoziona. Sono pazzerello lo so, ma ci sono cose nella natura che mi commuovono.
Seduto su una roccia tappezzata di muschio smeraldino, contemplo l’esuberanza dell’autunno e penso al canto del cigno quando sta per morire. Così è l’autunno, mentre sta portandosi dietro il verde della foresta con la complicità della nebbia, annuncia la fastosità dell’evento. Ci fa sapere però, che tutto risorgerà prorompente e vitale; come da secoli su questo mondo accade… e infonde speranza nei nostri cuori e gioia di vivere.
Mi alzo dal morbido muschio che mi ha bagnato i pantaloni e tolgo dalla borsa la mia Canon, per fermare la struggente bellezza che l’autunno fa entrare nel mio cuore con dolcezza infinita. Il giallo dorato delle foglie, che ancora non si decidono a lasciare i rami degli alberi, chiede di esser ritratto ed io, non lo faccio attendere. Trascorro ore frenetiche alla ricerca di colori e soggetti incompresi dai più, come foglie sdraiate su un letto di muschio smeraldino, rinvigorito da gocce di umida nebbia.
In fondo al viale che sto percorrendo, una luminosissima luce proietta nella mia fantasia, una porta immaterica e percepisco che oltre, ci sia un mondo abitato da Elfi e Fate intenti a cantare inni alla natura… la oltrepasso… Mi trovo oltre il mondo materialista. Non sento più il fruscio che le mie gambe causano spostando profonde lettiere di foglie dai caleidoscopici colori. C’è una quiete poetica, dove il cinguettio degli uccelli crea un momento di sospensione, le foglie, che stanno abbandonando i rami degli alberi, sono ferme a mezz’aria. Cince e codirosso, con le ali aperte se ne stanno immobili negli spazi celesti che fanno capolino tra le nubi, ed io mi sento leggero… mi sembra di volare… un afflato poetico carezza il mio volto… sono in estasi e mi abbandono all’aria librandomi e danzando tra i vapori che salgono dalle valli… Un refolo di vento interrompe il mio viaggio interiore spazzando via la nebbia, facendomi trovare nel mezzo di una radura circondata da faggete cosparse di foglie rosse e gialle, che lentamente cadono sull’erba tappezzata da mille colori.
Un sordo tump-tump-tump, in quattro quarti, invade il silenzio e vedo uscire al galoppo dalla fitta faggeta, un possente cervo. Si ferma al mio cospetto. Alza il muso in alto lanciando un potente urlo. Mi fissa e, forse convinto che per lui non sono una minaccia, riprende la corsa, attraversa la radura e scompare nel fitto del bosco. Riprendo il cammino, meravigliandomi del dono che l’autunno fa ogni anno a noi comuni mortali.
Giungo a fine radura, vedo un paletto di legno recante un cartello di metallo di colore verde, con il testo bianco nel quale sta scritto: Prato al Soglio 1.353 metri s.l.m. Rimango in silenzio appoggiato a un faggio e ammiro la faggeta multicolore… Torno sui miei passi, dopo circa 3 km sono a Prato alla Penna. Il viaggio nella poesia è terminato e rimarrà per sempre nel mio cuore.