Secondo appuntamento dei mini viaggi alla scoperta di angoli archeologici più o meno nascosti della nostra valle, raccontandone storia, scoperta e curiosità. Restiamo ancora in Alto Casentino, spostandoci ancora più a nord e più in alto in quota, risalendo la strada del Passo della Calla, per andare a conoscere il sito di Poggio Castellaccio e un percorso nel tempo che dal Medioevo ci porta fino alla Seconda Guerra Mondiale passando per l’età lorenese.
Il punto di partenza dell’itinerario può essere individuato a un paio di chilometri a monte di Gaviserri già all’interno del Parco Nazionale, presso il cosiddetto Ponte alla Fabbrica, dove poter lasciare l’auto per proseguire a piedi o in bicicletta. Un affascinante sentiero ben segnalato risale il corso del torrente Gorgone (o Gardone) passando accanto a diverse briglie che testimoniano l’incessante opera di regimentazione compiuta, da ultimo, durante il Ventennio, ma che risale già all’età Lorenese.
Dopo circa un paio di chilometri, passato un piccolo ponte in legno, il sentiero gira a destra e si riallaccia alla vecchia viabilità della Calla, resa carrabile in età Granducale, di cui restano ancora perfettamente visibili tratti di basolato e gli immancabili paracarri in pietra. Prima dell’apertura dell’attuale tracciato viario infatti, la viabilità della Calla correva proprio lungo il torrente Gorgone ed era una delle principali direttrici dell’economia del legname, una delle tante “vie dei legni”, che permettevano il trasporto del legname a valle e che hanno scandito per secoli una buona parte dell’economia di questi territori. Testimonianza di tutto ciò è proprio la località “L’Imposto”, adesso trasformato da Marzia in caratteristica locanda (e ottimo luogo dove prendersi una pausa e poter trovare ristoro, anche gastronomico…) ma che, come tradisce il nome, era luogo di accatastamento del legname.
Da Lì, proseguendo lungo il sentiero che risale ancora il torrente, in circa 500 m si arriva a un bivio: tenete la destra e cominciate a risalire verso la località di Campamoli, lungo l’attuale strada della Calla. Dietro al campetto della colonia si intuisce un sentiero non segnato che in circa 5 minuti vi porterà facilmente alla nostra meta. Il sentiero si inerpica attraverso un’abetina (o quel che ne resta), passa in mezzo a due grandi buche a forma di cono rovesciato (una destra e una a sinistra) portandoci poi quasi a sbattere in una piccola costruzione in cemento armato che sembra nascere direttamente dal terreno. Fatti pochi passi e girandoci attorno la sua forma appare ancora più bizzarra: una cavità circolare, profonda circa 2 m da cui si staccano delle specie di piccoli corridoi a forma di trapezio.
Di che cosa si tratta? È una delle poche testimonianze -e l’unica di questa tipologia, ossia in cemento armato- superstiti in Casentino delle fortificazioni tedesche costruite dall’organizzazione Todt lungo la famigerata Linea Gotica. In particolare questa dovrebbe essere un nido di mitragliatrice a copertura e controllo dell’accesso dalla strada a valle alle batterie di cannoni tedesche che erano posizionate nella retrostante costa di Montemezzano, indirizzate verso le truppe alleate che avrebbero risalito il Casentino da Arezzo. Le due fosse che invece abbiamo incontrato poco prima e interpretate talvolta come buche causate da bombardamenti, dovrebbero più probabilmente essere ricoveri, in origine coperti con legno e frasche, per uomini o munizioni proprio a servizio del nido di mitragliatrice.
Ma non è finita qua. Girando leggermente a destra e proseguendo sul sentiero per pochi metri si cominciano a vedere importanti resti murari, che appaiono subito come molto più antichi di quello visto finora. Arrampicandosi per altri pochi passi fino alla sommità ci troviamo su un pianoro di forma ellittica di circa 50 m x 25 in cui si scorgono tratti di mura ancora in piedi, altri crollati, piccoli fossati e tante, tantissime pietre. Ma di cosa si tratta? In realtà, a dispetto del nome -Castellaccio, appunto- non sappiamo se questo fosse stato un vero e proprio castello.
L’ipotesi più probabile, e anche più affascinante, è che possa trattarsi del monastero di S. Salvatore a Capodarno o Campo d’Arno, una struttura monastica femminile fondata dai Guidi intorno al 1130 e affidata alla badessa Sofia. Tale struttura, se l’ipotesi è corretta, fu abbandonata pochi anni dopo per motivi di sicurezza e confluì proprio nel monastero di S. Giovanni Evangelista a Pratovecchio. Interessante in tal senso è l’assonanza fra Campamoli (la località subito sottostante) e Campus amabilis, ossia una delle denominazioni proprio dell’area dell’originale Eremo.
Cosa ne resta oggi? Come dicevamo, e come può notare chiunque ci venga, restano alcuni frammenti di muratura esterna ancora in piedi, si intuiscono le varie stanze che dovevano comporre la planimetria e soprattutto si può ammirare, nella parte più alta del pianoro, la splendida cisterna sotterranea con volta a botte.
Una passeggiata quindi non troppo impegnativa che ci fa scoprire come la storia abbia attraversato la nostra terra lasciando nel suo cammino le proprie impronte.
ARCHEOCASENTINO Rubrica a cura del Museo Archeologico del Casentino ‘Piero Albertoni’