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mercoledì, 2 Aprile 2025

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C’era un tempo in cui…

testi e foto di Andrea Barghi Goaskim – La luce del giorno si riduce, il freddo ammanta paesi e foreste, ed è facile rimanere più a lungo in casa al calduccio dopo il lavoro e, per chi è in pensione, restarsene a guardare la televisione o badare ai nipoti. Queste, in parte, sembrano le cose da fare che il mese di dicembre ci impone, e pensandoci sembra sia l’unica cosa sensata. Se lo vogliamo, abbiamo però la possibilità di interrompere quel flusso che ogni fine settimana, nel periodo natalizio, quasi ci obbliga a fare le solite cose. Dicembre a tutti gli effetti, che lo vogliamo o no, è diventato il mese del Natale, e in questo non c’è nulla di male, ma non è più il Natale di una volta.

Per cambiare, almeno un po’ la strada che ci hanno tracciato e che da troppo tempo, inconsapevolmente percorriamo, dobbiamo toglierci gli orpelli del “è sempre stato così”… in una parola sola… “ribellarci” e fare quello che non abbiamo mai fatto… permetterci di andare in foresta sperando di incontrare la neve che tanto tempo fa ammantava le nostre ancestrali foreste. Scrolliamoci di dosso il sempre più commerciale periodo natalizio e tuffiamoci nel cuore delle abetine, che in vetta ai monti, per ripararsi dal freddo, si abbracciano, come la foto dimostra, per “scaldarsi” l’animo e allo stesso tempo stare con vecchi amici.

È dura alzarsi in una mattina invernale all’alba, fare una colazione frugale, indossare vestiti pesanti, scarponcini, oppure, in caso di neve doposcì, che tengono al caldo le nostre estremità. Se abbiamo fortuna, saremmo ripagati da momenti nuovi e mutevoli e i nostri occhi, almeno per quella giornata, saranno felici di non vedere pacchi fluorescenti, luci intermittenti e pubblicità televisive, che già da fine novembre ci bombardano di cose per lo più inutili, inducendoci ad acquistarle. È più che ovvio che la giornata che vogliamo dedicarci la dobbiamo vivere in solitudine, perché abbiamo bisogno di azzerare il bombardamento commerciale che ci riempie la testa di déjà vu. La foresta è ben lieta di offrirci con entusiasmo i suoi doni per farci comprendere che quel mese non deve essere associato solo al Natale, ma alla conoscenza.

C’era un tempo in cui tenevamo sempre nel nostro cuore, Babbo Natale, le renne, la meraviglia, la sorpresa e la gioia di trovare un bel regalo tanto desiderato sotto l’albero. Quei momenti si sono polverizzati come neve al sole, o almeno così sembra. Oggi sappiamo tutto, anzi crediamo di sapere tutto, ma in realtà sappiamo quel che vogliono farci sapere… cioè nulla… a nessuno interessa più aspettare Babbo Natale che porta i regali, quella è una favola che una volta da bambini credevamo fosse vera… oggi basta rivolgersi ai nonni o alla mamma e chiedere cosa vogliamo e il desiderio sarà esaudito, rovinando uno dei momenti magici che la vita ci permette di vivere.

Per uscire da quel giro vizioso, dobbiamo inoltrarci nella foresta senza una meta. Chi, meglio di voi casentinesi e romagnoli, ha una foresta mitica, ancestrale e romantica come quella che circonda i vostri paesi. Facciamolo questo giro attraverso le abetaie e le faggete, scopriremo che loro hanno un’anima se sappiamo osservarle con la poesia nel cuore. Se percorreremo sentieri in silenzio, potremmo incontrare caprioli che si sorprendono nel vederci, rimanendo per qualche minuto incantati a guardarci con stupore, meravigliandoci del calore che, nonostante il gelo li cosparga, ci trasmettono. Continuando a camminare, presto il sole ammanterà le selve, e l’alba si mostrerà raggiante, espandendo la sua luce dorata tra le faggete per avvolgersi con il suo fascino.

Questo per noi è sufficiente a strapparci un sorriso gioioso, facendoci capire che anche quello è un momento essenziale del Natale, perché in cuor nostro sappiamo che dopo l’estenuante camminata, affronteremo con serenità il ritorno a casa, ritrovandoci la sera della vigilia davanti al camino con i nostri figli e nipoti con rinnovata armonia, in attesa dell’arrivo di Babbo Natale.

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