di Leonardo Previero – Chi è il personaggio casentinese più famoso del passato, che sia oggi localmente anche il più dimenticato? Interessante questione che – vedremo – ha una precisa risposta. Alcuni appunti a dir poco curiosi. Davvero una rarità per tutti coloro che amano il passato più remoto della valle.
Ci siamo infatti chiesti: ha per caso il tempo cancellato dalla storia qualche personalità davvero di ingegno che secoli fa sia stata invece celeberrima? Al di là di tanti nomi minori, è esistito qualche personaggio casentinese un tempo geniale ed oggi totalmente dimenticato?
Articoli su locali illustri, un tempo in chiara fama, ne sono stati composti parecchi. Ma a ben guardare si tratta in genere di approfondimenti su nomi comunque minori, che anche ai tempi ebbero una circolazione non eccezionale. Cercavamo noi – invece – una personalità – se mai esistita – secoli fa celebre e rinomata in tutta l’Europa di allora, lodata e conosciuta, che avesse oggi la triste prerogativa di essere completamente scomparsa dai libri di storia.
Ebbene: la soluzione è presto detta. Pronunciando oggi il nome di Donato Albanzani siamo sicuri di risultare criptici e oscuri alla gran parte di lettori dell’anno 2012.
Eppure la vicenda ha dell’incredibile: fu tale personalità una delle più conosciute della sua epoca, amica di potenti e illustri, attiva nel campo dell’arte e della politica de’ tempi suoi (il lontano Trecento).
Donato Albanzani, detto Donato del Casentino, o anche – per i natali – Donato da Pratovecchio, ha le caratteristiche da noi tanto cercate in apertura di pagina: essere stato celeberrimo, valente, noto e preclaro quanto oggi… totalmente cancellato dalla storia.
Basti dire alcune sue indubbie frequentazioni: intimo del Petrarca e del Boccaccio, in rapporti con una figlia dello scomparso Dante e persino “governatore” di importanti Stati Preunitari dell’Italia centrale.
Il suo nome sia oggi un esempio di come lo scorrere degli anni possa eliminare dalle umane memorie anche personalità un tempo conosciute per la loro valentia. Il Casentino non fa eccezione e crediamo che – se oggi potesse esistere una sorta di diritto di appello – il nome di Donato Albanzani dovrebbe aspirare giustamente a rientrare nella storia a pieni titoli. Una sorta di ritorno “al futuro” per evidenti doti di ingegno.
Qualche esempio? A leggere la sua biografia non vi sono dubbi sulla sua bravura di erudito esplicata davanti al mondo di allora in uscita da un medioevo ormai in rinascenza.
Seguiamo le parole di un monaco dell’Ottocento – altrettanto poco noto – che accenna ammirato alla figura del casentinese illustre quanto dimenticato.
“Il cenere di Dante era caldo: e, come da scintille da quello destate, si crearono le menti di Petrarca, di Boccaccio, e di altri che fecero più illustre la terra che gli ebbe prodotti: questi furono ammirati nelle corti; e la sapienza di loro consigliava i principi a farla germogliare nelle menti dei sudditi. Si fondavano università e pubbliche scuole di eloquenza e di gramatica, ed al nobile ufficio di sedervi ed insegnarvi erano deputati uomini valentissimi. Fra la schiera dei gramatici e de’ retori del secolo XIV, levò fama più splendida di sé Donato da Casentino, e per le opere che lo predicano maestro di forbita favella, e per l’amicizia che l’ebbe dolcemente unito a Petrarca, a Boccaccio, e ad altri Mastri letterati”.
Esistono anche lettere di Coluccio Salutati che testimoniano oggi l’importanza di Donato da Pratovecchio nel mondo culturale di settecento anni fa. Negli anni sessanta del Novecento il nome “perduto” del nostro personaggio fu reputato degno di entrare nel celebre Dizionario Biografico degli Italiani, dove in dettaglio – con stupore – possiamo oggi leggere di come fosse invece noto a molti letterati di fama, che dedicarono a lui perfino scritti eruditi.
Donato Albanzani: Letterato e maestro di retorica e grammatica, nato a Pratovecchio, da un tal Lorenzo, prima del 1328 (Salutati, Epist., vol. IV, p. 345,n. 7). Nel 1345-46 era già maestro di grammatica a Ravenna, dove ebbe a scolaro Giovanni di Conversino. A Ravenna si incontrò col Boccaccio, forse già nel 1350, più probabilmente nel 1353-54. Nella primavera del 1356, o più probabilmente sul finire del 1357, lasciò Ravenna per Venezia, dove conobbe il Petrarca a cui presentò Giovanni di Conversino e, nel 1364, l’altro suo alunno Giovanni Malpaghini, che fu per alcun tempo amanuense presso il poeta; nel 1366 tenne a battesimo il nipote di lui, Franceschino da Brossano (Petrarca, Sen., X, 4). Partendo da Venezia, circa il 1367, il Petrarca gli affidò momentaneamente la sua biblioteca e, poco tempo dopo, gli dedicò il De sui ipsius et multorum aliorum ignorantia (gliene mandò copia nel 1371). Nel 1367 circa il Boccaccio gli dedicò il Bucolicum carmen scrivendo l’egloga XIV, nella quale l’Albanzani appare come interlocutore col nome di Appenninus. Nel testamento del Petrarca, che è del 1370, egli è ricordato come “Venetiis habitans”.
Curioso il particolare di essere stato l’Albanzani il tenutario della collezione libraria del Petrarca – un vero onore voluto dallo stesso immortale letterato – e assai più curioso il dettaglio seguente: Petrarca stesso, invitando il Boccaccio a seguirlo a Venezia per sfuggire ad una pestilenza dell’epoca, dice di possedere stanza proprio con Donato del Casentino, e ciò con indubbio orgoglio e per invogliare l’autore del Decamerone a levar le tende da una città divenuta pericolosa.
Il periodo veneziano, per Donato da Pratovecchio, fu importante e contribuì a farlo divenire probabilmente uno dei più grandi grammatici, retori ed eruditi del Trecento italico. Insegnante così importante da essere reclamato a corte dai potenti.
Nel 1382 Donato risulta infatti a Ferrara, dove si stabilì definitivamente: lì fu precettore del figlio di Alberto V d’Este, Niccolò III (ancora in documenti del 1392). Così lo ricorda il monaco ottocentesco di cui sopra: “La fama, di Donato spiegava ampio volo per l’Italia sì che fu chiamato in Ferrara alla istruzione di Niccolò d’Este, che fu poi Signore di quelle città”
Ma non mancò perfino una rilevante carica politica. Nel 1398, quando Francesco Novello da Carrara, suocero di Niccolò, intervenne a sciogliere e sostituire il Consiglio di Reggenza, Donato del Casentino fu scelto alla carica di referendario al posto dell’amico Bartolomeo della Mella (cfr. Salutati, Epist. X, 23, vol. III, pp. 323 ss.). Era ancor vivo nel 1411 quando scrisse, a Ferrara, un secondo personale testamento.
Nel periodo ferrarese Donato del Casentino compose l’opera sua più importante, ancora oggi rintracciabile, la traduzione dal latino di un celebre testo Boccacciano “De claris mulieribus” cioè – come tradusse Donato – “Le donne famose”. Ecco, per curiosità, l’antica intestazione della suddetta opera: “Finito libro de famose donne compilado per messer Zuane Boccaccio ad petition della famosissima Reina Zuana de Puglia. Poi traslatado in idioma volgar per maestro Donato di Casentino al magnifico Marchese Niccolò d’Este principe e signor di Ferrara”.
Terminando questi cenni biografici, non si può non tramandare una indubbia bizzarria. Se è vero che Donato del Casentino fu famoso nei letterari e politici campi, non meno riconosciuto fu per la sua povertà materiale! Le sue condizioni economiche non furono molto floride: “pauper, sed honestus homo” lo dice il Boccaccio (Gen. XV, 13); il Petrarca, non sappiamo in quale occasione, dovette perfino…fargli un prestito, alla cui restituzione rinunciò poi nel personale testamento.
Un indubbio quanto triste esempio di come anche nel Trecento l’arte dell’ingegno poco servisse ad attecchire il pranzo con la cena!