di Cristina Li – Paolo Dei, casentinese di origine, ci racconta la sua esperienza come rappresentante italiano al Consiglio Artico e la sua carriera nella Marina Militare. Chi sceglie di andar via non sempre lo fa perché qui si sente rinchiuso in una stretta morsa. Vi sono persone che non si coprono gli occhi e decidono di cogliere quanto più la realtà, quella al di là delle schiere naturali che ci circondano, offre. In qualche modo, però, dal Casentino, qualsiasi sia il motivo per cui da esso ci allontaniamo, mai del tutto ci sentiamo separati… anche quando, in comune, vi sono soltanto le origini.
Ne è un esempio Paolo Dei, non ha mai abitato nella nostra vallata, ma questo non gli ha impedito di viverla e sentirla, allo stesso modo, parte della propria vita: “La mia famiglia ha le sue origini in Casentino: mio padre è nato alla Lappola e mia madre a Bibbiena. Mio padre, ancora giovanissimo, lasciò la famiglia dopo essere entrato in Marina, proseguendo poi tutta la carriera militare sino a diventare comandante. Mia madre lasciò la propria casa per seguire il marito e mantenere, così, la nuova famiglia unita. Mio fratello, ammiraglio e pilota di elicotteri nella Marina Militare, è nato a Bibbiena, mentre io e mia sorella a Catania, dove mio padre stanziava per lavoro. Nel corso degli anni, abbiamo sempre approfittato di ogni occasione possibile per riunirci in Casentino, dove si trovano numerosissimi parenti, e ricreare quel clima familiare al quale siamo, da sempre, tutti molto legati.”
Quali sono stati i passi verso la costruzione della strada che sta tuttora percorrendo? «Sono cresciuto a Marina di Carrara e Caniparola (MS) e, dopo aver conseguito il diploma di maturità tecnico-informatico, ho intrapreso la carriera militare in Marina, seguendo le orme di mio padre e di mio fratello maggiore, ma senza perdere di vista la mia attitudine verso la ricerca e gli studi scientifici. Mi sono, dunque, specializzato in Idrografia e in Geomantica Marina ed ho, successivamente, insegnato Oceanografia e Navigazione all’Accademia Navale di Livorno. Le mie specializzazioni mi hanno permesso di approfondire le tematiche legate allo studio dell’ambiente marino, al clima e alle conseguenze relative ai cambiamenti climatici. Ho avuto occasione di partecipare a programmi di ricerca importanti, relativi alla spedizione in Antartide, nel mare di Ross, la mappatura del Lago Maggiore e l’attività idro-oceanografica nelle acque antistanti alla Puglia e Lampedusa. Tutto ciò mi ha permesso di imbarcarmi in molte navi, come la “Amerigo Vespucci”, la più prestigiosa nave-scuola della Marina Militare italiana, la “Vittorio Veneto”, quando ancora era l’unica portaeromobili della nostra flotta, e la “Ammiraglio Magnaghi”, la più importante nave idrografica della nostra Marina. Attualmente sono in servizio presso lo stato Maggiore della Marina, in qualità di Vicecapo dell’ufficio Idro-Oceanografico. Svolgo compiti in ambito di sviluppo del settore geospaziale, meteorologico e oceanografico di Forza Armata (F.A.), con il grado di capitano di Fregata.»
Quali sono i progetti in cui è coinvolta la Sua esperienza e professionalità, al momento? «Oltre ai servizi sopracitati, sono inserito nell’ufficio “Dual Use”, un programma che impegna la marina militare non solo in attività di carattere puramente militare, ma anche nel campo della ricerca, assistenza, cooperazione e intervento civile, dunque a supporto e favore, diretto o indiretto, della collettività. Le tecnologie e i mezzi della Marina Militare, infatti, sono costruiti in maniera tale da possedere una potenziale capacità di servizio, che si concretizza in attività a supporto di operazioni e interventi della Protezione Civile, di aiuto sanitario, nella ricerca e bonifica di ordigni e residuati bellici in mare, nel supporto al controllo dei siti archeologici marini e al monitoraggio e protezione della flora e della fauna marina, oltre al supporto per lo svolgimento di campagne scientifiche e la raccolta di dati idro-oceanografici. Recentemente, inoltre, sono stato incaricato di rappresentare l’Italia al Working Group dell’Arctic Council, denominato “Emergency, Prevention, Preparedness and Response” (EPPR), volto alla prevenzione dell’inquinamento marino da idrocarburi e di ricerca e soccorso nell’Artico.»
Il Consiglio Artico è il più importante foro di dialogo in materia di aspetti e problemi legati alla regione artica, in vista di possibili forme di cooperazioni internazionali. Come specificato dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in un documento del 2015: “A vent’anni dalla sua costituzione, il Consiglio Artico ha indubbiamente assunto una dimensione molto più ampia rispetto all’idea iniziale di consultazione inter-artico, diventando uno strumento di stabilità della regione, la cui accresciuta importanza è dimostrata dal crescente numero di Stati Osservatori, che comprende Stati membri dell’UE e Paesi asiatici. Tenuto conto che i cambiamenti in atto nella regione, dovuti soprattutto a dinamiche in corso a varie latitudini, avranno rilevanti conseguenze su scala mondiale, si impone un approccio comune per far fronte alle nuove sfide: dai cambiamenti climatici all’apertura di nuove rotte di navigazione. Una responsabilità non solo degli Stati artici ma della Comunità Internazionale nel suo complesso, partendo dal presupposto che un fenomeno globale impone una risposta globale.”
Il Suo attuale impegno corre, dunque, sulla stessa linea dell’ambito a cui sono indirizzati i principali studi da Lei condotti. Di cosa trattano? «Si tratta di uno studio antecedente all’impegno di cui attualmente mi occupo. Realizzato nel 2006, dunque non più così recente, se pur sempre attuale, riguarda i cambiamenti climatici, i loro impatti sulle correnti marine e gli effetti sulle strategie militari. Negli ultimi cento anni, è stato registrato un incremento della temperatura media globale di quasi un grado, il che ha portato alla formulazione dell’ipotesi circa una possibile riduzione dell’intensità delle principali correnti oceaniche. Gli studiosi affermano che, in mancanza di azioni concrete da parte dell’intera comunità mondiale, la strada in discesa verso una serie di eventi catastrofici su tutto il pianeta sarà sempre più ripida. Entrando più nello specifico, tre sono le categorie degli effetti prevedibili derivanti dai cambiamenti climatici:
Riscaldamento globale dell’atmosfera e della superficie terrestre È previsto un generale aumento della temperatura compreso fra 1,5°C e 5,8° C, con un incremento medio di 0,3° ogni dieci anni. Questo interesserà in modo diverso le alte latitudini (con un incremento medio invernale maggiore, che determinerà un’accelerazione nello scioglimento dei ghiacci nei mari polari), le medie latitudini (le zone temperate saranno interessate da un maggiore riscaldamento estivo, mentre quello invernale si manterrà intorno alla media globale) e le basse latitudini (le zone tropicali e intertropicali saranno interessate da un minore riscaldamento rispetto alla media globale).
Accelerazione del ciclo dell’acqua Le precipitazioni aumenteranno, modificando così il ciclo dell’acqua. Ciò dipende dalla maggiore evaporazione dei mari, in conseguenza all’incremento della temperatura media globale. L’aumento delle precipitazioni coinvolgerà le zone ad alte latitudini e la fascia tropicale durante tutto il corso dell’anno, mentre nelle zone temperate l’aumento sarà significativo nel periodo invernale.
Incremento del livello dei mari Il livello dei mari si innalzerà per effetto dello scioglimento dei ghiacci polari e delle banchise. Si ipotizza un innalzamento, nei prossimi cento anni, compreso tra i 10-20 cm e –nell’ipotesi peggiore- 1 metro.
Le ricerche in campo climatico, mie come quelle di molti altri studiosi, hanno permesso di verificare che il riscaldamento globale in atto deriva in parte da fenomeni naturali, ma è stato accentuato e accelerato da cause legate all’azione dell’uomo. La rapidità con la quale quest’ultimo sta trasformando gli ambienti naturali non permette agli organismi che vi vivono di adottare le strategie opportune per difendersi e sopravvivere. Le osservazioni effettuate da biologi, zoologi e botanici confermano quanto detto, mettendo in luce evidenti trasformazioni all’interno degli ecosistemi, strettamente legati a cause antropiche. L’obiettivo primario della ricerca scientifica è quello di analizzare ogni aspetto del problema, così da riconoscerne le cause e individuare possibili rimedi ed è proprio questo il fine a cui ogni giorno puntiamo.»
Il Casentino può costituire, in un contesto simile, una piccola oasi di purezza? «Per il momento, credo possa essere considerato come tale. Spesso, durante i nostri ritrovi, mi piace andare con mia figlia e i numerosi nipoti nelle acque ancora limpide del fiume presso Corsalone. Tuttavia, mi chiedo: per quanto ancora queste acque resteranno limpide? Gli effetti dell’inquinamento globale sono già chiaramente visibili negli oceani e nei ghiacciai dell’Artico e, anche se possono sembrarvi terre lontane, non bisogna sottovalutarne l’importanza. È una sfida che riguarda il futuro di tutti noi e che richiede, se non altro, almeno l’individuale consapevolezza circa le condizioni ambientali che ci circondano. Desidero, comunque, tornare con la speranza di trovarvi la stessa purezza. Alla fine della mia carriera, vorrei trasferirmi in Casentino e poter vivere davvero, finalmente, il mio legame con quella che sento essere la mia terra.»
(tratto da CASENTINO2000 | n. 280 | Marzo 2017)