di Francesca Corsetti – Nicola Giovannini, bibbienese, lavora da tempo come geologo. Da alcuni anni, però, ha deciso che era giunto il momento di riappropriarsi del proprio tempo e delle bellezze che lo circondano. Il mondo delle api lo ha sempre affascinato fin da bambino: così, ha riaperto il cassetto dei sogni per dedicarsi a ciò che più gli piace: l’apicoltura.
Come e quando nasce questa passione? «È una passione nata per curiosità, perché ho sempre avuto voglia di fare questa cosa. Fin da bambino ho visto questo mondo molto fiabesco e bello. Avevo conservato questo sogno dentro di me e ho avuto la forza di realizzarlo, perché ho pensato “lo faccio adesso, o non lo faccio più”. Questa volta l’ho voluto fare perché la passione era tanta e lo era anche la curiosità. Inoltre, avevo anche l’esigenza di riappropriarmi del mio tempo, perché facendo il libero professionista, tra il lavoro e la famiglia, avevo poco tempo libero. Da qui la necessità di avvicinarmi alla vita delle api».
Ha mai pensato di dedicarsi solo alle api? «No, prima di tutto perché mi piace il mio lavoro del geologo. Poi, come tutti i lavori, credo che diventerebbe una routine e quindi probabilmente la passione verrebbe meno: perciò, mi sono dato un limite di api. La mia attività di apicoltore si ferma laddove non si concilia con la mia vita da geologo e la mia vita familiare. Però è una possibilità che, con il senno di poi, avrei sfruttato di più. Il consiglio che ho dato a mia figlia, che si sta approcciando al mondo dei grandi, è stato quello di guardarsi intorno. È un bel posto, il Casentino, che può offrire delle possibilità ai giovani, non dico l’apicoltura, ma tutto quello che riguarda il mondo dell’agricoltura, che sembra messo un po’ da parte perché oggi si pensa che il lavoro sia solo di un certo prestigio. Non c’è nulla di male nel fare l’apicoltore, l’agricoltore o qualsiasi cosa legata al nostro territorio. Quando uno entra nell’ambito non dell’apicoltura, ma di una certa sensibilità verso la natura e vede campi incolti, fiumi mal tenuti, foreste lasciate andare a sé stesse, si accorge che tutto questo è sprecato. Qualcuno che si occupi anche di queste cose bisogna che ci sia, altrimenti scompare tutto. Alla domanda se io in questo momento volessi trasformare la mia passione in un lavoro, la risposta è no, ma trent’anni fa probabilmente avrei risposto di sì. È un qualcosa che ho scoperto e che mi gratifica perché, quando passo il tempo con le api, vedo i cicli meravigliosi di vita che si ripetono anno dopo anno con le loro varianti. È affascinante vedere che la natura si ripete, si difende e si sviluppa, fregandosene dell’uomo».
Fare l’apicoltore richiede anche tanta preparazione. Come ci si prepara a questa attività? Cosa consiglia a chi vorrebbe cominciare? «Ci si avvia prendendo coscienza che è un mondo complesso. Sicuramente è una cosa che consiglio alle persone che hanno la passione di farlo, altrimenti diventa pesante e anche pericoloso, perché ci si avvicina a un mondo di cui dobbiamo accettare regole e ritmi, un mondo che non si può umanizzare. L’apicoltura sembra un passatempo, ma in realtà si ha a che fare con degli animali, con esseri viventi che meritano rispetto. Succede spesso che si esaurisce la bellezza e la passione che l’apicoltura può dare all’inizio e le persone abbandonano tutto, cosa che può comportare dei danni anche agli altri apicoltori. Personalmente, comunque, prima di iscrivermi a un corso, ho preso dei libri e ho iniziato a leggerli, per capire se potessi affrontare le difficoltà che pensavo ci fossero, e che in effetti ci sono. Dopodiché ci sono i corsi, perché, come in tutte le cose, bisogna attenersi a regole ben precise. Ci sono, per esempio, le associazioni di apicoltori della Toscana, di cui una sede è anche ad Arezzo, in cui ci sono persone che ti seguono e che tengono periodicamente dei corsi di avviamento all’apicoltura. Ti insegnano dalla A alla Z sia la vita delle api, che le varie normative da seguire. Io sono andato con mia moglie a fare un corso e ho preso quattro o cinque famiglie per cominciare e imparare ad approcciarmi. Mi sono dato degli step: il primo anno l’obiettivo era di farle sopravvivere, ma sono riuscito a farmi una decina di barattoli di miele per fare colazione, che è stata già una bella soddisfazione. La cosa mi piaceva, quindi ho iniziato a investire qualche soldo in più nelle attrezzature. Il passo successivo è stato chiedere ad amici e conoscenti se mi facessero mettere le mie arnie in più posti, come all’eremo di Camaldoli, ad Avena, Bibbiena, Santa Maria e Faltona, per vedere se riuscivo ad affinare l’arte dell’apicoltura e fare vari tipi di miele. Negli hobby, è la curiosità che muove nel volersi migliorare e mettere alla prova. Io ho avuto la fortuna di aver conosciuto una persona straordinaria che mi ha insegnato i principi del buon coesistere con le api e con se stessi. È il mio maestro, io lo chiamo il mio “guru”, che devo ringraziare perché mi ha fatto scoprire quello che c’è al di là della facciata delle api, a convivere con la natura, con i suoi ritmi, e così molte cose che mettevo in secondo piano hanno assunto dei contorni molto importanti. Questo è un mondo complesso e sorprendente, che se prendi nel modo giusto ti dà tanto. È un mondo che si sviluppa anche con confronti, visioni diverse delle cose e sensazioni, perché tutti i giorni ti pone davanti a dei quesiti e ogni giorno impari qualcosa. Paradossalmente, sto studiando più ora sui libri di quando ho cominciato».
Ad oggi come si organizza la sua attività? Quante arnie ha e quanto tempo vi dedica? «Le arnie sono variabili. Alla fine dell’estate le api cominciano a diminuire e inizia il periodo di invernamento. Questo è un periodo molto delicato perché possono andare incontro alla varroa – una malattia parassitaria – oppure all’orfanità o alla fame. Pertanto, entrando nell’inverno si sa quante arnie ci sono – nel mio caso, trentadue –, ma non si sa quante ce ne sono uscendo dall’inverno. Mediamente c’è una mortalità del 25-30% sulle api. Fortunatamente, io ho una percentuale più bassa, non perché sono più bravo, forse sono solo più fortunato. Il tempo da dedicarvi deve essere conciliabile con il lavoro. Io non ho orari precisi, perciò, posso organizzare meglio il mio tempo. In definitiva, la massima concentrazione del tempo va da giugno fino alla fine di luglio. In quel periodo devi andare a controllare un giorno sì e un giorno no. Mediamente, in un apiario con cinque o sei arnie ci stai circa mezz’ora, poi tutto dipende da quante api hai e dove le hai. Nella mia condizione, io devo fare tutto il giro del Casentino! In inverno, invece, a parte le medicazioni, mediamente vai a controllare due o tre volte al mese».
Si legge spesso che l’apicoltura, tra le altre attività, sta attraversando anni difficili per colpa dei cambiamenti climatici. Cosa ne pensa? «Da geologo, mi rendo conto che le api hanno un sistema sociale molto protettivo della loro specie, però non hanno uno spirito di conservazione della vita come lo hanno gli uomini. Noi tendiamo sempre a umanizzare. Loro sono più soggette a certi fattori, ma è anche vero che il loro ciclo biologico è di 25 giorni, il nostro di 25 anni. Perciò da geologo, da professionista dei lunghi tempi, mi rendo conto che le api hanno una capacità reattiva proporzionale alla loro delicatezza. Sono degli esseri molto fragili nei confronti dell’ambiente ma sono fortissimi a livello di società: loro hanno una capacità di immolarsi per il bene dell’arnia. Se ci sono le giuste condizioni per vivere, l’ape vive. Certo è che viviamo in un mondo in cui ci muoviamo in macchina, usiamo tutti i prodotti possibili per coltivare e questo non fa bene a loro, ma non fa bene neanche a noi. In sostanza, io non credo che le api siano in maggiore difficoltà nei confronti dell’ambiente rispetto a noi. Tutto questo allarme nei confronti delle api è dovuto al fatto che l’ape è un essere delicato».
Una domanda che volevo farle era «cos’è che le piace di più delle api e dello stare a contatto con loro?», ma credo che dalle sue parole si sia capito molto bene… «La passione per le api ci vuole, ma è tutto il contorno che è bello, perché ti rendi conto che quella delle api è una società immersa in un mondo di cui tu fai parte. Credo che il problema di oggi sia che la gente pensi che certe cose non siano importanti. Per me, forse perché sono un po’ nostalgico, stare con le api significa riassaporare delle cose che pensavo che non avrei più riassaporato. È un modo di tornare un po’ bambini, di vedere delle favole che sono necessarie, perché quando uno fa qualcosa è perché ne ha bisogno, perché trova un motivo. Io mi sono domandato perché ho fatto questa cosa ed è perché avevo bisogno di riappropriarmi del mio tempo, del mio mondo e del mio Casentino, perché viviamo in un luogo in cui certe cose, se non vissute, un giorno potrebbero essere un rimpianto».