di Libero Palazzi – Questa è una breve intervista fatta senza un metodo strutturato, le domande sono quasi tutte nate sul momento e disimpegnate, perché ho voluto seguire la mia curiosità e cavalcare l’onda del divenire di pensieri di Danilo Sereni, il mio interlocutore.
Allora Danilo, come va questa faccenda dei novant’anni?
«Bene, sostanzialmente bene. Siamo condizionati da questa pandemia, ci tocca stare sempre in casa e questo condiziona ogni cosa, la vita diventa noiosa. A novantadue anni tutte le cose si appiattiscono, si ammorbidiscono. Nel senso che si guardano… ma manca la prospettiva. Non ci sono tanti anni da vivere, quindi manca la prospettiva e uno si interessa meno, si acqueta. Per il resto non manca nulla, per carità».
Novant’anni senza la pandemia come sarebbero stati?
«Intanto sarei andato fuori di più. Sarei andato al bar, a questa età andare al bar e fare la partita sarebbe stato importante, oppure passare un’ora a leggere il giornale. Il gioco che faccio io è una specie di scala quaranta, ma poi anche la briscola, la scopa, un po’ di tre sette che è un po’ più complicato. Parecchia noia… ci si salva un po’ con la televisione, ma poco. Però la televisione è un bell’aiuto, un po’ di sport, ci sono le rubriche di arte e di storia, toh. Se uno si vuole interessare c’è la possibilità…».
E leggere?
«Di leggere ora ho poca voglia, poi ci vedo anche poco bene. Mi salva un po’ l’enigmistica».
Qualcosa sulla politica…
«Ancora poche settimane fa si stava parlando di Berlusconi, ma siamo matti? Si pensava di eleggere Berlusconi presidente della Repubblica? È scoraggiante. Penso che la politica sia proprio arrivata al punto più basso, non c’è quasi niente».
Cosa pensi della tecnologia? Come ha cambiato la tua vita?… Se l’ha cambiata.
«Mah! L’ha cambiata? Io intanto la tecnologia non l’adopro. Il telefonino non ce l’ho, nella rete non ci guardo, quindi a me m’ha fatto un baffo. Di riflesso ne ho avuto esperienza nel comportamento degli altri. Perché io, te l’ho già detto altre volte, sono fuori tempo, dovevo nascere prima. Comunque la tecnologia un frutto l’ha dato: la vita privata non ce l’ha più nessuno».
Perché saresti voluto nascere nel 1829?
«Perché quei tempi si adeguavano più alla mia mentalità. Nel Quarantotto sarei stato un giovane di diciannove anni ed avrei partecipato ai moti, la Repubblica di Roma, le cinque giornate di Milano e poi il Risorgimento. Forse anche per i problemi sociali sarei stato più adatto, li avrei visti. Io ora non li vedo chiari, non vedo più rivendicazioni, nessuno ha più idee, più ideologie, nessuno ha più nulla. Qui si fa tutto individualmente, ognuno va per conto suo. Questo porta ai problemi che si vive… pensare che alla televisione si è parlato una ventina di giorni solo di Berlusconi coi problemi che si ha… una cosa incredibile».
Si diventa più saggi invecchiando?
«Ah, questo non lo so, non lo so mica (ride). Tu chiedi che dia un giudizio per conto mio? Ma forse si diventa un po’ più riflessivi, si riflette un po’ di più, siamo meno impulsivi, si cerca di vedere le cose come sono e non come si vorrebbe. Sì… questo cambia un po’, però, ovviamente, tutto il comportamento è condizionato dal fatto che uno pensa sempre che è arrivato, che manca poco… uno ci pensa. Del resto la morte, la paura della morte, la paura del dopo morte ha condizionato ogni cosa, le religioni campano con questo, perché l’uomo ha paura della morte. La morte avverrà… come morirà uno? Di malattia? Un colpo? Patirà parecchio? Chi lo sa. Io ci penso, perché qualcosa si guasta ad un certo momento».
Hai paura della morte?
«Certo eh! Ma non della morte in sé, del dolore. Io ho visto morire la tua nonna ho visto morire il tuo nonno… hanno patito eh. Non è una bella morte… non è una bella morte, e uno ci pensa».
A volte pensi se avresti potuto fare qualcosa di diverso nella tua vita?… Vivere vite diverse?
«No. Sono riuscito a fare sempre quello che mi piaceva. Per esempio ho rifiutato un posto di insegnante di musica alla scuola media, l’ho rifiutato perché mi piaceva più dirigere la banda, invece nella scuola media avrei avuto uno stipendio, una pensione. Tramite il partito, due compagni fecero il mio nome e mi fu offerta questa possibilità alla scuola media di soci. Ho cercato di fare quello che mi piaceva fare, il barbiere non lo volevo fare, perché non mi piaceva e andai a fare il meccanico, poi capitò di fare l’imbianchino e feci l’imbianchino, mi piaceva farlo. Dopo è venuta la scuola di musica. Insegnare è la cosa più bella di tutte».
Senti di aver tramandato qualcosa?
«Si, l’ho fatto senz’altro: l’amore per la musica.Tant’è vero che quattro allieve mie che ora sono tutte spose con i figlioli m’hanno fatto proprio questa dedica qui, dice: “Grazie Danilo per averci insegnato ad amare la musica”. Intendi bene eh. Io ho fatto questo lavoro, ma non sono un musicista, per essere musicista bisogna avere una predisposizione naturale e poi studiare, cosa che non ho fatto. Io ho studiato con i miei allievi. Capito? Tant’è vero che i componenti della banda li chiamano musicanti, giustamente. Si potrebbe dire che la differenza tra musicista e musicante sia come quella tra artista e artigiano. Ci sono anche stati miei allievi che sono andati al conservatorio, si sono diplomati, sono diventati professori, ma proprio perché li ho indirizzati a voler bene alla musica. Ho avuto allievi di sei anni, averli visti crescere, diventare adulti, sposarsi all’interno della banda con un altro della banda è successo tante volte, tante coppie, è una cosa bellissima. Alla fine qualcosa si faceva, te l’ho detto, non pensiamo agli artisti, però c’era un tentativo, diciamo così, abbastanza decente di eseguire anche pezzi abbastanza difficoltosi e poi si portava avanti una tradizione, perché stare nella banda è anche un cerchio di amicizie non interessate, proprio spontanee».
L’amore crescendo tra la gioventù e il diventare adulti. C’è stato, non c’è stato, è cambiato?
«C’è stato, certo c’è stato, sono stato innamorato come tutti da giovani e poi non se né fatto nulla. Non sono il tipo adatto per la coppia. Si, sono stato fidanzato con una ragazza, la sua famiglia non voleva. Ho lasciato andare».
C’è una un’esperienza o una persona che ringrazieresti di aver fatto o conosciuto?
«No».
Il ricordo più piacevole e il più spiacevole che ti vengono in mente ora…
«Tu fai certe domande… quando stavo male mia mamma mi comprò una banana e a quei tempi era un lusso, ma un lusso parecchio eh. Tu mi fai le domande, ma io per esempio, non lo so dove è, c’è una fotografia dove io ad Arezzo, in Piazza Grande, ho diretto trenta, quaranta bande tutte insieme… la Bella ciao. Ecco tanti: “Oh hai visto!”. Io… non mi sembrava una gran cosa, eppure… ma forse per il fatto che non mi interessava son andato tranquillo».
Ti piace essere chiamato maestro?
«No, non mi piace, infatti ai miei allievi gli dicevo “non mi chiamare maestro, chiamami Danilo”, poi mi chiamavano maestro lo stesso. Il maestro non deve essere il padrone, deve essere il direttore. Chi suona deve dargli retta, ma non mi piace la sottomissione. Signor maestro non mi piace».
C’è uno strumento, che avresti voluto suonare, ma che non hai mai suonato?
«No, non ci ho mai pensato a codesto. È una domanda questa che mi piove nuova. Ho suonato il clarinetto e il sassofono, mi è bastato».
Se tu fossi davanti a tutti i giovani del mondo che gli diresti?
«Che si occupino di politica. Questo è. Che pensino, che abbiano delle idee, degli ideali e anche delle ideologie. I giovani vanno tutti a ordine sparso, ma sono battuti da coloro che detengono il potere che mandano questa società. Per quanto mi riguarda, i capitalisti».
Meglio gli uomini o le donne?
«Ma… non saprei, ma perché questa differenza? Gli esseri umani sono gli esseri umani. Noi siamo meno dello 0,3% di tutti gli esseri viventi. La razza umana meno dello 0,3%! Non siamo niente, l’universo proseguirà senza noi».