di Riccardo Buffetti – Nella notte tra il 13 e il 14 settembre 1321, esattamente 700 anni fa, ci lasciava Dante Alighieri. Simbolo della cultura e della letteratura italiana, le sue opere – tra le più famose la Divina Commedia e la Vita Nuova – hanno influenzato per secoli, e continuano tutt’ora a ispirare poeti e scrittori di tutto il mondo. Apostrofato “Profeta di speranza” da Papa Francesco, Dante ancora oggi è una figura emblematica e piuttosto attuale: la sua scrittura e i suoi argomenti colpiscono l’anima eterna dell’uomo. Sono tematiche che non si modificano nonostante il passare degli anni, perché ce le ritroviamo anche oggi, seppur con usi e costumi totalmente differenti; per questo spesso si associa il termine “eterno” accanto al nome di Dante Alighieri. Quello che vogliamo esaminare in questo articolo non è la sua storia dettagliata né le sue opere, bensì l’influenza, piuttosto rilevante, che ha avuto la nostra terra, il Casentino, nella vita del poeta.
Con Gianluca Caccialupi, dottorando in studi danteschi presso il Trinity College di Dublino (Casentino2000 n. 325 di dicembre 2020), proveremo a ripercorrere le tracce di Dante nella vallata, soffermandoci sui suoi soggiorni e sull’importanza che ha avuto per lui questa terra:
Gianluca, Dante quest’anno è stato celebrato in lungo e in largo, perché con le sue opere, patrimoni di inestimabile valore in ambito culturale e letterario, ha avuto una risonanza globale. Effettivamente, però, per trovare tracce del Sommo Poeta, noi non dobbiamo cercare molto, giusto?
«Vero, perché ci sono diversi momenti, più o meno certi, in cui è attestata la presenza di Dante in Casentino. Il primo, senza dubbio il più conosciuto, è quello che coincide con la battaglia di Campaldino, che si combatté l’11 giugno del 1289. In questo scontro fra guelfi e ghibellini ad avere la peggio furono i secondi. La vittoria a Campaldino permise all’esercito fiorentino di proseguire la marcia da Poppi verso Arezzo, non prima di aver messo sotto assedio e saccheggiato Bibbiena. Dante in questa occasione combatté nella cavalleria fiorentina, schierato in prima linea, tra i feditori guelfi, probabilmente da Vieri de’ Cerchi (i capitani dei vari sestieri decisero in quell’occasione chi dovesse stare davanti). Alcune informazioni sulla presenza di Dante a Campaldino possiamo ricavarle direttamente dalla Commedia, in particolare dal canto XXII dell’Inferno: «Io vidi già cavalier muover campo, / e cominciare stormo e far lor mostra, / e talvolta partir per loro scampo; / corridor vidi per la terra vostra, / o Aretini, e vidi gir gualdane, / fedir torneamenti e correr giostra”. Questi versi sono considerati quasi all’unanimità un riferimento alla battaglia di Campaldino e al successivo assedio di Arezzo. La partecipazione di Dante alla battaglia è confermata dalla biografia del poeta scritta da Leonardo Bruni, che ebbe accesso ad alcune lettere autografe, oggi perdute, in cui l’Alighieri affermava di aver combattuto a Campaldino. Questo fu quasi sicuramente il primo contatto di Dante con il Casentino. Esiste anche un’altra ipotesi sul primo passaggio per le terre aretine, quella secondo cui avrebbe partecipato all’assedio di Arezzo del 1288, che si concluse con un nulla di fatto per l’esercito fiorentino. Ma su questo, purtroppo, non possediamo prove certe».
Dopo Campaldino quanti anni trascorrono prima di un suo ritorno in Casentino?
«Dobbiamo attendere i primi mesi dell’esilio, in particolare l’inizio del 1302. Secondo Leonardo Bruni, Dante, quando seppe di essere stato bandito, stava rientrando a Firenze da Roma, dove aveva incontrato papa Bonifacio VIII in qualità di ambasciatore. Si pensa che nel febbraio dello stesso anno si sia riunito con gli altri esuli dei guelfi bianchi a Gargonza, per poi recarsi con loro ad Arezzo, dove fu fondata l’ “Universitas Partis Alborum de Florentia”, un’associazione degli esuli bianchi di Firenze, con a capo Alessandro da Romena, uno dei Guidi del ramo di Romena. Sappiamo altresì che entro la fine del 1302 si spostò, assieme agli altri esuli fiorentini, da Arezzo a Forlì, poiché non c’erano più le condizioni politiche per rimanere nel territorio aretino. Nella prima metà del 1303 Dante, con ogni probabilità, si separò dagli altri esuli e si diresse a Verona, dove fu ospite degli Scaligeri. Nell’ottobre dello stesso anno, dopo la morte di Bonifacio VIII, fu eletto papa Benedetto XI, più vicino ai guelfi bianchi rispetto al suo predecessore. Nei primi mesi del 1304, Benedetto XI inviò il cardinale Niccolò da Prato a trattare con Firenze per la riammissione degli esuli in città. In questa fase, Dante decide di riaggregarsi al gruppo dei guelfi bianchi, che nel frattempo erano tornati in terra aretina. Sappiamo con certezza che Dante è ad Arezzo il 13 maggio del 1304: un documento testimonia che quel giorno suo fratello Francesco contrasse un mutuo in città, probabilmente necessario a fornire liquidità all’esule. Nel corso del secondo soggiorno aretino di Dante, durato pochi mesi, il capitano degli esuli bianchi è Aghinolfo dei Guidi di Romena, fratello di Alessandro (che, come detto, era stato capitano dei fuoriusciti bianchi nel 1302). Risale probabilmente a questo periodo, la primavera del 1304, la lettera di condoglianze che Dante scrive ai figli di Aghinolfo in occasione della morte dello zio Alessandro. Questa vicinanza con la famiglia dei conti Guidi di Romena permette di supporre che Dante, nel 1302 e nel 1304, possa essere passato per il loro castello. Nel canto XXX dell’Inferno, scritto alcuni anni dopo, Dante è invece fortemente critico nei confronti dei Guidi di Romena, indicati da Mastro Adamo come i mandanti del reato che gli è costato la vita e la dannazione alle pene infernali: la falsificazione del fiorino di Firenze».
Una leggenda narra che Dante abbia trovato l’amore a Pratovecchio. È veramente così?
«Si tratta di un’ipotesi: in una lettera a Moroello Malaspina, datata dalla maggioranza degli studiosi tra il 1307 e il 1309, Dante dice di essersi innamorato di una donna mentre stava camminando vicino al corso dell’Arno. La lettera era accompagnata da una “canzone” (tipologia di poesia), dal titolo “Amor, da che convien pur ch’io mi doglia”, nota anche come “canzone montanina”, che ai versi 61-62 recita: “Così m’hai concio, Amore, in mezzo l’alpi | ne la valle del fiume […]”, un chiaro riferimento al Casentino. L’Anonimo Fiorentino, commentatore dei testi di Dante, afferma che il poeta si innamorò di una donna di Pratovecchio. Questo dato sembrerebbe confermato da Boccaccio, il quale sostiene che Dante soggiornò presso Guido Salvatico di Dovadola, che aveva tra i suoi possedimenti proprio Pratovecchio. L’insieme di questi indizi lascia dunque pensare che, tra il 1307 e il 1309, possa esserci stato un’ulteriore soggiorno di Dante in Casentino , anche se non ci metterei la mano sul fuoco, dato che tracciare gli spostamenti dell’Alighieri tra il 1306 e il 1311 è particolarmente problematico».
I “soggiorni” in Casentino hanno ispirato, in conclusione, delle parti importanti delle sue opere?
«Prima di arrivare a questo punto, dobbiamo concludere le visite di Dante nel territorio casentinese. La tappa successiva, stavolta certa, è databile alla primavera del 1311 e testimoniata da una serie di lettere legate all’arrivo in Italia del nuovo imperatore, Enrico VII, figura su cui Dante aveva riposto le proprie speranze politiche. Queste lettere, le epistole VI, VII e X, riportano nella formula di chiusura sia le date, comprese tra il 31 marzo e il 18 maggio 1311, sia il luogo in cui sono state scritte. Alcune formule sono più generiche (“scritta sotto la sorgente dell’Arno”), altre più specifiche (“inviata dal Castello di Poppi”), ma nonostante questo si può affermare con certezza che Dante nella primavera del 1311 fu ospite dei Guidi di Poppi. Parlando invece dell’influenza dei soggiorni casentinesi di Dante sulla composizione della Commedia, possiamo menzionare alcuni episodi specifici.
Nel canto V del Purgatorio, Bonconte da Montefeltro, uno dei generali dell’esercito ghibellino, morto proprio a Campaldino, racconta perché il suo corpo non fu ritrovato dopo la battaglia. Nel canto XXX dell’Inferno, Mastro Adamo, colpevole di aver falsificato il fiorino, indica i veri mandanti del suo reato, i Guidi di Romena, e fa riferimento ai “ruscelletti che de’ verdi colli / del Casentin discendon giuso in Arno”. Occorre infine menzionare il XIV canto del Purgatorio, dove, nel corso di una breve rassegna dei popoli che vivono lungo l’Arno, Dante, tramite il personaggio di Guido del Duca, associa ai Casentinesi e agli Aretini, ma anche ai Fiorentini e ai Pisani, degli epiteti animali tutt’altro che lusinghieri».