di Andrea Ricci – Molte volte sentiamo di avere dei limiti che ci impediscono di compiere quel passo che sogniamo di fare. Molte volte ci autolimitiamo pensando di non farcela. Spesso questi limiti sono solo nostre costruzioni mentali e ce ne rendiamo conto quando ci troviamo in fronte a persone che giornalmente superano limiti oggettivi, fisici, naturali e mentali.
Nella mia vita ho avuto la fortuna di incontrare persone straordinarie senza dovermi allontanare troppo da casa. Una di queste è sicuramente Riccardo Rossi, un ragazzo di Valle Bona nel comune di Chiusi della Verna, nato a Bibbiena con una focomelia all’arto destro, effetto collaterale di un farmaco che ha bruciato le cellule e che ha determinato una malformazione al braccio destro con conseguente diminuzione della gamba e del pettorale destro e una scoliosi molto pronunciata. Ho incontrato Riccardo per la prima volta nei campi di calcio dilettantistici di vallata. Giocava con autorità e sicurezza in sé stesso che non faceva sembrare questa deformazione una mancanza ma un’arma in più, una motivazione straordinaria, che metteva in soggezione. In quelle occasioni, mi sono scontrato con un avversario speciale, ostico, determinato, ma sempre leale: io attaccante, lui stopper, entrambi giocatori romantici vecchia scuola: poca qualità, tanto cuore.
La nostra rivalità sportiva si è presto trasformata in amicizia, nei terzi tempi dei campetti di periferia, tra birrette e risate, quando mi chiedevo, tra me e me: ma come fa quest’uomo a giocarsela e dominare in questa maniera? Senza che porgessi la domanda, lui dava la risposta, fiera, orgogliosa, totalmente trasparente, libera: “sono nato così e di conseguenza non ho perso nulla, questa è la mia natura e sto imparando a farne i conti dal giorno che sono nato”.
Ne trapelava una totale accettazione che rendeva la sua mancanza un punto di forza. Negli anni, crescendo, abbiamo continuato a coltivare la nostra amicizia e abbiamo entrambi fatto i conti con le difficoltà di nascere in un territorio come il nostro: battute, scherni, atti di bullismo, maldicenze.
Non che il Casentino sia un posto più brutale di altri sotto questo punto di vista, ma già qui si sperimenta sulla pelle la cattiveria e il dolore di una generazione, a volte di un genere intero, quello umano. Entrambi ci rendiamo conto come queste dinamiche abbiano creato aggressività, quella aggressività capace di proteggerci e in grado di spingerci a dimostrare di essere uguali agli altri, se non addirittura superiori, in grado di tirar fuori quella grinta e quella determinazione e di incanalarla, come una forza in più.
Ci siamo incontrati di nuovo in questi giorni, uniti dalla voglia di socialità e con il desiderio di mandare un forte messaggio alle persone che ci stanno intorno e che a volte si sentono di fronte a degli ostacoli insormontabili, quando in realtà il più forte avversario che affrontano sono proprio loro stessi.
Parlandomi di sé, Riccardo mi racconta: “Mi reputo una persona fortunata, nessuno mi ha messo dei limiti, sono consapevole di dovermi impegnare un po’ di più degli altri nella ricerca della normalità, da allacciarmi le scarpe a usare forchetta e coltello. Questa convinzione ha contribuito a forgiare il mio carattere, mi ha spinto a fare tantissimo sport e a superare giornalmente i miei limiti, cercando di mantenere quel fragile equilibrio nella mia fisicità: la parte destra è molto debole, la parte sinistra non la posso ingrossare perché creerebbe squilibrio”.
Riccardo è una persona molto empatica e carismatica, in grado di mettere chiunque a proprio agio in sua presenza. È consapevole della forza della sua esperienza e di come condividerla possa essere stimolante e motivazionale per molte persone che, in una maniera o nell’altra, si trovano in una situazione di invalidità o mancanza paragonabile alla sua.
Mi racconta come persone straordinarie abbiano fatto crescere in lui la voglia di mettersi costantemente in gioco: “Quando mi chiudevo in me stesso, il mio allenatore di atletica, Romano Cipriani, che ormai non c’è più, veniva a “prendermi per un orecchio” per farmi allenare. Mi regalò un paio di scarpe e con quelle andai a vincere il campionato provinciale di salto in alto. Grazie a persone come lui, nello sport ho trovato nuove famiglie, oltre che nuove sfide. Ho praticato moltissimi sport: dal calcio all’atletica leggera, dalle arti marziali alla scalata, dalla speleologia alla bicicletta. Sono due anni che pratico pallanuoto paraolimpica a Firenze, nella Rari Nantes Florentia. Questo ennesimo sport mi ha fatto fare un ulteriore step mentale nel superare i miei limiti e aprire nuovi orizzonti. Non è uno sport di compassione, ci si riempie di botte, si cerca di vincere lottando con il coltello tra i denti. Per due anni consecutivi siamo riusciti a vincere la Coppa Italia, e lo scorso 11 dicembre, abbiamo vinto la Supercoppa Italiana contro il Waterpolo Napoli Lions.”
È uno sport di cui l’Italia è l’avanguardia in Europa e nel mondo, che merita di essere sviluppato perché può portare beneficio a tantissime persone che soffrono patologie, malformazioni o disabilità di vario tipo. Ci sono persone che fanno degli incidenti e si ritrovano senza un arto e pensano che sia finito tutto, il mondo gli crolla addosso. Riccardo mi racconta di aver visto con i suoi occhi come persone con vari livelli di disabilità ritrovavano il sorriso e la voglia di vivere attraverso la pratica di questo sport: “…ad un certo punto, trovano l’acqua e una palla, la palla e una porta, il vero emblema per chi ha fatto sport, e all’improvviso, hanno l’occasione di rinascere, in acqua, e fare uno sport. Questo sport sa dare tanto e il nostro obbiettivo è di portarlo alle paraolimpiadi dove non è ancora presente. La strada è lunga perché deve essere presente in 36 stati che lo praticano per almeno 4 anni consecutivi e noi siamo i pionieri. Sono venute delle rappresentative spagnole a visionarci; da lì sono nate due squadre: il Barcellona e il Real Madrid con cui vogliamo istituire una coppa”.
Come menzionato in precedenza, un’altra attività importante per Riccardo è la bicicletta: “prima del motorino c’è la bici, l’unico mezzo a tua disposizione fino ai 14 anni. Io vivevo un po’ isolato, quindi per andare nella piazza del paesino dovevo pedalare. Con tanto cuore e un po’ di follia, con il mio inseparabile compagno di merende Andrea Bigoni, abbiamo deciso di fondare un gruppo di ciclisti per fare uscite in bici nei fine settimana, ma soprattutto per andare a bere birre dopo la pedalata. Nel tempo, il gruppo si è allargato, abbiamo fatto gare e manifestazioni storiche, tipo L’Eroica, La Leonessa e L’Intrepida. La bici è diventata la mia più grande passione e ho sperimentato molte delle sue discipline dalla mountain bike all’enduro; quest’ultima mi ha appassionato molto, perché è lo sport che mi ha creato più difficoltà”.
Molte persone si sarebbero fermate alla sola idea di fare enduro senza un braccio, altri dopo la prima caduta; non Riccardo, a cui è scattata la scintilla proprio quando ha avuto la sensazione di non potercela fare. Sfrontato, ha iniziato a fare enduro senza protesi e come dice lui era “più in terra che in sella”. Su consiglio di amici ha deciso di accettare l’idea di applicare una protesi, l’unica possibilità per diminuire il dolore.
Riccardo è un invalido civile, non sul lavoro, la cui invalidità è riconosciuta dalla ALS che gli passa una protesi ogni cinque anni: “La ASL non capisce che un invalido possa fare sport mentre l’INAIL sì. A differenza dell’INAL, la ASL non è affatto di supporto per gli invalidi che vogliono fare sport. Ad oggi non sono ancora riuscito a trovare una protesi che non mi dia quel terribile dolore e quella voglia di smettere di provarci. I prezzi sono per me proibitivi, per questo ho deciso di aprire una raccolta fondi attraverso il Go Fund Me: DAI UNA MANO A RICCA – https://www.gofundme.com/dai-una-mano-a-ricca. L’obiettivo è di fare una protesi per gare da enduro con interno in silicone che non mi dia dolor,e pensata per una bici realizzata ad hoc per le mie esigenze, per la mia fisicità, in termini di assetto, equilibrio, geometria del telaio, angolo sterzo, etc… Prima di lanciare il crowdfunding mi sono sentito con un amico del territorio, Lorenzo Cardeti, che produce bici ed è disposto a lavorare sulle specificità delle persone, pensando la bici su misura per le varie esigenze. Li è nato il sogno: avere una bici prodotta nel territorio apposta per me con la sua protesi, che possa ispirare tante persone a provarci”.
Ci vorranno più di 9.500 euro a Riccardo per realizzare questo sogno. Ma l’obiettivo è ancor più grande e ambizioso: “voglio metterci la faccia e mandare il messaggio che ci si può fare, che ogni specificità deve essere valorizzata, che gli ostacoli sono spesso mentali. Conosco gente amputata che viene a fare nuoto solo con due braccia. Come loro, voglio essere di esempio per tutte quelle persone che pensano di non potercela fare o che pensano che ormai è troppo tardi: non chiudetevi in voi stessi, lanciate il cuore oltre l’ostacolo, provateci, nonostante i muri della burocrazia che si possono e si devono abbattere”.
La volontà è di andare ben oltre e iniziare un vero e proprio percorso di sensibilizzazione per rendere fruibile gli spazi di sport a giovani e meno giovani con disabilità, rendendo qualsiasi tipologia di sport più inclusiva: “In Casentino siamo in uno stato pre-embrionale, c’è molto da fare. Ragazzi/e con difficoltà e disabilità trovano ostacoli solamente a chiedere se esiste possibilità di fare sport per loro. Si dovrebbe creare un comitato e mi rendo disponibile con la mia esperienza per farne da portavoce e metterci la faccia. Si dovrebbe lavorare con i piccoli comuni per fare pressione e supportarli a progettare e rendere agibile gli spazi e le attività sportive anche a persone con disabilità. Tante volte per chi è in carrozzina solo fare una doccia in uno spogliatoio oppure entrare dentro una piscina è un’impresa eccezionale. Le scuole giocano un altro ruolo fondamentale e mi rendo disponibile a visitare tutte le scuole per sensibilizzare i corpi docenti e motivare gli studenti e le studentesse nel realizzare le proprie aspirazioni. Lo sport aiuta moltissimo nei rapporti interpersonali, per me è stato determinante”.
Ci vorrebbe molto di più, ci vorrebbero psicologi dello sport. In Italia, siamo un po’ indietro, rispetto a tanti altri paesi per quanto riguarda il trattamento e la considerazione di un invalido: «tu sei invalido e non può fare questo». È il messaggio che troppo spesso passa. Il messaggio che lancia Riccardo invece è: “Non importa in che stato vi troviate, siate consapevoli che potete realizzare i vostri sogni. Sta a voi, non fate i pigri, provateci, cadete e rialzatevi! Si possono ottenere risultati veramente importanti, in primis con sé stessi, a livello psicologico, fisico e sociale. Ci vuole il coraggio di provarci, con la testa e con il cuore”.