di Francesco Benucci – Caro diario, l’inizio di un nuovo anno scolastico è arrivato e io già provo l’emozione di chi sta per muovere i primi passi in un ulteriore capitolo della propria vita. Tutto scorre, è vero, ma a tutto, al contempo, è giusto dare un valore: e questo percorso non è certo da meno, tra banchi, lavagne, amicizie, prove, impegno, gioie, delusioni, crescita, conoscenza. Studenti, insegnanti, genitori, collaboratori: siamo pronti a metterci in cammino, ora come nel passato, con modalità differenti che rispecchiano le varie epoche ma sempre con la finalità di predisporre la nostra persona alla piena realizzazione, fornendole gli strumenti, le nozioni e le competenze per forgiare un futuro ad hoc.
E se oggi cerchiamo di raggiungere i suddetti obiettivi con la didattica a distanza, con l’uso delle tecnologie, con i progetti, con la flessibilità dei programmi, ebbene, alcuni decenni fa, il sistema scuola richiedeva sacrifici di segno diverso, di cui vorrei richiamare il ricordo, proprio per evidenziare una vocazione che, in qualsiasi forma, nobilita, nel senso più genuino del termine, ogni attore coinvolto.
Pertanto, caro diario, permettimi, una tantum, di assumere il punto di vista non di un alunno, bensì di una maestra che, negli anni ’50, ’60 e ’70, soprattutto nel primo decennio citato, si trovava ad operare in un Alto Casentino uscito dal dramma della Seconda Guerra Mondiale e ancora prevalentemente agricolo. In tale contesto, per quanto riguarda le elementari, la scuola di campagna si configurava così: frazionata in miriadi di edifici, spesso ubicati, considerata la mancanza dei mezzi pubblici di trasporto, anche nelle frazioni più piccole, edifici frequentati da un piccolo numero di studenti e concessi per farne l’uso in oggetto da famiglie locali.
Erano scuole “di fortuna” ma contemporaneamente erano anche una “fortuna” niente affatto banale in un periodo di ricostruzione e dove un sistema di istruzione e formazione meno elitario del passato si stava facendo le ossa. E pensare, caro diario, che oggi diamo tutto per scontato! Allora non era evidentemente così e la presenza di queste “scuoline”, vere ancore di salvezza disseminate sul territorio, è testimoniata dal curriculum vitae della nostra maestra, che nella sola zona dell’odierno comune di Pratovecchio Stia, fece supplenze più o meno durature a Campolombardo, Casalino, Castel Castagnaio, Gaviserri, Gualdo, Lonnano, Moriccia, Papiano, Porciano, Pratariccia, Tartiglia, Vallucciole, Villa! A proposito di Villa e della menzionata problematica del trasporto pubblico, sai che, per arrivare in loco, partiva a piedi da Stia tutte le mattine alle 6 e, costeggiando il fiume, inerpicandosi per un saliscendi interminabile tra i monti, con un coltello riposto nella borsetta a tracolla (perché, pur, col senno di poi, inutilizzato, non si sapeva mai che incontri si poteva fare nei boschi), giungeva a destinazione dopo quasi due ore?
Se già così la vicenda ti sembra abbastanza avventurosa, caro diario, devi sapere che una mattina accettò un passaggio in auto, quando, all’improvviso, iniziò a nevicare copiosamente: nonostante ciò, scese di macchina e a piedi, in condizioni impervie, proseguì fino alla meta. Te lo confesso: io, nell’immagine generosa di questa maestra che per raggiungere i suoi alunni affronta le intemperie, ritrovo quella scuola di vita, umana e piena di calore, che vorrei vedere sovrapporsi alla scuola burocratica, “automatizzata”, fredda, che talvolta, ai nostri tempi, va per la maggiore. E pensa allo stupore di quel pugno di studenti, generalmente una decina, al suo arrivo, affaticata, ricoperta di un candido manto, ma pronta a prendersi cura dei suoi bambini, accomunati, visti i numeri, in una sola classe, con un’unica maestra chiamata al difficile compito di concentrare, nelle ore di lezione, ben cinque programmi.
Questo avveniva in un piccolo edificio, nato non come scuola e perciò non strutturato come tale, nell’ambito del quale la famiglia proprietaria aveva concesso due stanzine ad uso formativo, una adibita ad aula e un semplice ingresso in cui lasciare i cappotti. Niente segreteria, niente presidenza, niente portineria. Tuttavia, una famiglia della frazione in oggetto, ospitava le maestre che, invece di viaggiare, preferivano sostare lì. Insomma, pur in assenza di molto, si cercava di far bastare quel qualcosa, che non era affatto poco, considerato il periodo. A proposito del periodo, ecco emergere due immagini, una quasi romantica, l’altra… decisamente meno. La prima si riferisce al frangente in cui la nostra docente insegnava a Porciano: qui le educatrici erano due mentre la scuola era il consueto appartamento “privato” con stanza adattata come aula ma ciò che colpisce la nostra fantasia è il fatto che una maestra si recava a scuola… a cavallo!
Caro diario, prova a chiudere gli occhi e a figurarti la suddetta maestra che si reca a fare lezione sul suo nobile destriero mentre sullo sfondo troneggia l’imponente mole della torre, bello, vero? Un po’ meno bello, ma ugualmente curioso ed interessante, è invece l’episodio che ha visto lavorare la nostra in una scuola, a Chiusi della Verna – Val della Meta, situata sopra una… stalla! In fin dei conti, bisognava adattarsi alle situazioni più disparate, eppure, anche questo sarà stato un fattore di crescita, no? E poi va detto che anche tra le scuole di campagna c’erano quelle più attrezzate, nate come tali e, di conseguenza, strutturate in maniera più funzionale, come, ad esempio, a Papiano: qui, la maestra che ci sta conducendo in questo viaggio tra i ricordi, ha lavorato dal 1958-1959 per ben undici anni, in una realtà che comprendeva due insegnanti, due aule (una al piano inferiore e una al piano superiore), le cinque classi elementari accorpate nelle due aule citate e un numero di alunni che variava dai venti ai trenta circa.
Ed è davvero un peccato osservare un edificio così bello e ricco di memoria nello stato di rovina in cui si trova adesso. Capisco e condivido il dispiacere, caro diario, ma non ti voglio vedere con le lacrime agli occhi perciò cerco di farti ritrovare il sorriso con un altro aneddoto: sai che in quei tempi talvolta per i bambini andare a scuola era quasi una liberazione? Non ti devi stupire troppo: pensa che, nel contesto rurale delle campagne di allora, i ragazzi potevano essere chiamati ad aiutare nello svolgere le mansioni nei campi, ovviamente pure in orario mattiniero; ti puoi dunque immaginare quanto preferissero recarsi tra i banchi di un’aula, per modificare i connotati della loro quotidianità, per ampliare, in un mondo privo delle risorse tecnologiche, i loro orizzonti e le loro possibilità future, per interagire con amici che, vivendo magari in frazioni isolate, non sempre erano facilmente raggiungibili.
Caro diario, quante storie ci ha raccontato la nostra maestra, quanti spunti ci ha suggerito, quanti temi di confronto con l’attualità sono emersi. E allora, nel ringraziarla e nell’augurare un buon anno scolastico a tutti, concludiamo questo viaggio con l’auspicio che le tante opportunità della scuola di oggi si possano incontrare, in un proficuo abbraccio, con i valori e l’umanità trasmessi dalla scuola del passato, così da assicurare ad ognuno quella realizzazione personale e quella crescita che alimenta la scuola più grande: la vita.