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Elezioni, un’analisi

di Federico Paolini – Il 27 maggio 2019 il Casentino si è scoperto appartenere alla ‘padania’: la Lega è risultata il primo partito con una media di consensi del 35,67%, mentre il PD sì è fermato al 28,82%.
Quello che stupisce è leggere ed ascoltare – tanto a livello nazionale quanto locale – spiegazioni secondo le quali il risultato delle elezioni per il Parlamento europeo è stato il frutto di dinamiche partitiche, oppure ideologiche che immaginano i cittadini trasformati in una banda dissennata di razzisti e di fascisti. Il 35% dei casentinesi, quindi, sono razzisti e fascisti. È così? Ne siamo sicuri?
È vero che gli italiani non amano la storia e che hanno la memoria notoriamente corta, ma stupisce che si sia già fatto tabula rasa di cosa è stata la sinistra italiana ed europea dal 1992 ad oggi. Vogliamo provare a parlarne?
In primo luogo, una volta caduta l’Unione Sovietica la sinistra europea ed italiana non ha trovato niente di meglio che sposare il neo-liberismo e la globalizzazione americana resi ‘nuove ideologie’ da Tony Blair e dai suoi cloni italiani che allora militavano nel partito post-comunista (PDS e, poi, DS). Una sinistra post-comunista che nel suo nuovo pantheon collocava Bill Clinton era evidentemente preda di un severo stress post-traumatico: lo ha dimostrato anche la folle (a posteriori) scelta di confluire in un nuovo partito privo di radici, con il corpo (liquido, ovvero senza legami con i territori) in Italia e la testa negli Stati Uniti. Il risultato è stato un partito che ha gettato alle ortiche la storia per sposare pratiche made in Usa le quali, riprodotte in Italia, hanno dato i risultati che oggi sono sotto gli occhi di tutti.
In secondo luogo, l’adesione alla socialdemocrazia neo-liberista (in linea teorica un ossimoro, nella realtà ciò che è semplicemente successo) ha finito per imporre scelte che hanno accelerato la desertificazione industriale (la cui causa primaria è stata lo spostamento delle fabbriche dagli Usa e dall’Europa in Asia e nei paesi cosiddetti in via di sviluppo) e che hanno provocato forte malumore fra i cittadini (in Casentino l’esempio più pregnante, ma non il solo, è quello della privatizzazione dell’acqua). Non so se ricordate in quante centinaia di interviste i vari D’Alema, Veltroni e Rutelli hanno celebrato la fine del lavoro industriale e la modernità di questa svolta. Peccato che non si siano mai accorti che l’alternativa (il terziario avanzato) non era granchè e che generava nuove povertà. L’apoteosi di questo atteggiamento la si è raggiunta con Renzi che sproloquiava da un palco con in mano il nuovo simbolo taumaturgico del XXI secolo: uno smart phone con, ovviamente, una mela sbocconcellata in bella vista. Chi non aderiva alla religione del nuovo feticcio, questo era il ragionamento, era un barbaro incolto e un nemico della modernità. Considerati i risultati ottenuti dal PD renziano, i barbari incolti privi del suddetto ‘device’ dovevano essere un buon numero.
In terzo luogo, la sinistra priva delle sue narrazioni storiche e dell’Unione Sovietica ha pensato bene di sostituire i diritti collettivi (il lavoro!; la scuola di qualità per tutti; la sanità universale; il welfare diffuso) con quelli individuali che, lo capisce anche chi non è uno storico o un sociologo, sono parziali e divisivi. Nel senso che se a me piace ‘il rocchio’, non mi interesserò mai dei diritti avanzati dai vegani e dagli animalisti, ma, al contrario, entrerò in conflitto con loro (e/o viceversa). E questo ragionamento semplificato e banale lo si può riprodurre per argomenti molto complicati e molto seri: dalle questioni legate all’omossessualità a quelle della genitorialità ottenuta mediante surrogazione di maternità passando per quelle dello stato etico e dell’apocalisse climatica.
In quarto luogo, come se tutto il resto non fosse abbastanza, la sinistra ha usato come cemento dei diritti individuali una retorica dell’accoglienza che si è dimostrata (e si dimostra) assolutamente incapace sia di leggere la situazione globale (di cui in Italia si conosce poco o niente), sia di elaborare risposte ai problemi concreti che i flussi migratori generano. Si badi bene, i problemi principali non sono dati dal colore della pelle di chi arriva. I veri problemi sono di ordine culturale perché chi entra in Europa porta con sé un retroterra culturale che non è greco-romano-giudaico-cristiano. La maggioranza di chi arriva proviene da territori che non hanno mai fatto i conti né con l’Illuminismo, né con le trasformazioni sociali del Novecento (a cominciare dal femminismo e da ciò che ha significato).
Questo genera inevitabilmente tensioni e non potrebbe essere altrimenti perché molti dei nuovi arrivati chiedono (e, soprattutto, praticano) una società divisa in generi che è proprio quello che la civiltà occidentale ha iniziato a combattere fin dal Seicento. Come si fa a non cogliere le enormi contraddizioni proprie di una sinistra che, da un lato, ha dimenticato i diritti collettivi per farsi paladina di ogni singolo diritto individuale (anche i più discutibili e divisivi) e, dall’altro, si limita ad una retorica dell’accoglienza di nuovi cittadini che, in larga parte, sono portatori di richieste diametralmente contrarie proprio a quei diritti individuali tanto sbandierati? Qui non si tratta di razzismo o di fascismo, queste sono narrazioni di comodo urlate da chi non sa o non vuole capire.
In questo contesto – ed è successo con Trump, con la Brexit, con la vittoria in Europa di movimenti autoritari come in Polonia e in Ungheria, con la nascita di nuovi movimenti apparentemente privi di radici – i cittadini che non trovano più risposte ai loro bisogni sociali (in primo luogo a quello di un lavoro sicuro, ma anche, nel caso del Casentino, di un’assistenza sanitaria di prossimità, considerando l’invecchiamento della popolazione) si guardano intorno e scelgono l’offerta politica la cui retorica (perché di mera retorica di tratta) sentono maggiormente vicina alle loro esigenze.
Nella sbornia di tecnologia e di globalizzazione ci siamo dimenticati che la grande maggioranza delle persone è fortemente radicata in un luogo e che non possiede gli attrezzi (conoscenze linguistiche, conoscenze lavorative) per affrontare un nomadismo globalizzato (oggi si lavora in Germania, fra due anni a Dubai e fra quattro in Australia). Il modello di società liquida, post-industriale e post-stanziale può andare bene per una ristrettissima minoranza (quella simboleggiata dall’industria tecnologica della Silicon Valley o da università quali Harvard, Oxford o la Tsinghua di Pechino…), ma non certamente per la maggioranza delle persone abituate ad una vita fortemente radicata nei luoghi e negli affetti.
Non è un caso che la Lega abbia vinto nei luoghi (come lo sono i paesi del Casentino) la cui realtà è molto distante dal modello di società liquida e post-stanziale.
Queste righe affrontano in maniera fin troppo rapida questioni di enorme importanza a cui, prima o poi, la sinistra del XXI secolo dovrà provare a dare una risposta credibile cessando di nutrirsi di quell’arroganza etica che causa solamente cecità verso fenomeni che travolgono (e travolgeranno sempre di più, perché siamo agli albori di un vero e proprio sconvolgimento tecnologico che modificherà per sempre il lavoro) centinaia di milioni di persone, di cui gli abitanti del Casentino rappresentano solamente una sparuta percentuale.

Lo storico Federico Paolini è professore all’Università di Napoli e già nostro Direttore

(tratto da CASENTINO2000 | n. 308 | Luglio 2019)

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