di Mauro Meschini – Sono mesi che conviviamo con il Covid-19, sono mesi che una valanga di numeri, cifre e percentuali ci viene proposta in ogni momento. Da quando la nuova ondata di contagi ha travolto anche aree risparmiate in primavera, ci siamo però resi ancora più conto che non si tratta solo di numeri, ma soprattutto di persone. Anche il Casentino ha visto crescere i casi di contagio, i ricoveri e, purtroppo, i decessi. Numeri per fortuna limitati, ma che hanno fatto subito saltare agli occhi quello che è successo nella RSA di Stia, chiusa da qualche giorno per permettere la sanificazione dopo lo scoppio di un focolaio di Covid-19. Le RSA fin dall’inizio sono risultate particolarmente vulnerabili, sia per scelte scellerate tipo quelle fatte in Lombardia, sia per le caratteristiche degli ospiti che li rendono più esposti e fragili. Se a marzo si poteva essere impreparati, cosa è successo oggi? Dopo che tanto si è parlato e sperimentato e cosa si è fatto per tutelare queste strutture?
Abbiamo ritenuto necessario, anche per quello che rappresenta la RSA per il paese di Stia, approfondire la vicenda, perché la chiusura di questa struttura pesa su tante persone e tante famiglie. Si devono ricordare gli ospiti e i loro cari, ma anche i lavoratori, che garantiscono assistenza e sostegno agli anziani. Sono circa 45 gli ospiti della RSA, mentre ci sono, ad oggi e comprendendo tutte le varie figure professionali, circa 25 operatori; solo qualche anno fa, invece, erano presenti circa 16/18 OSS e 5/6 infermieri, che con gli altri portavano il numero complessivo degli addetti a circa 40. Sono ancora numeri quelli che ci troviamo a leggere, che confrontati tra loro, offrono forse indicazioni utili per capire cosa può essere successo.
Abbiamo saputo che all’interno della RSA: «Fino a quando non si sono verificati casi positivi si è sempre lavorato solo con la mascherina chirurgica e senza altri dispositivi di protezione. Dopo che si sono verificati i contagi sono arrivati i camici, le tute e gli occhiali…». Abbiamo ben presente le immagini che scorrono da mesi in televisione con medici e addetti all’assistenza, non solo negli ospedali, vestiti come astronauti. Da quello che ci è stato sempre detto l’uso dei dispositivi individuali di protezione era assolutamente necessario, ancora di più nei contesti dove il contatto tra le persone era più stretto.
Per quanto riguarda la nostra domanda sui motivi che hanno potuto causare, adesso, questa drammatica situazione, dopo un primo periodo che era stato superato senza conseguenze, abbiamo invece raccolto queste considerazioni. «A marzo non ci sono stati contagi nella struttura perché la vallata è stata solo sfiorata dal virus, in tutto il Casentino ci sono stati pochi casi… Ci sono dei protocolli da seguire in caso di emergenza, ma se quando si verifica l’emergenza non vengono subito attuati…».
E allora proviamo a capire cosa è successo in questo momento di emergenza, quando la situazione per tutti è diventata pericolosa a livello sanitario, ma anche umanamente pesante per aver dovuto vedere, in pochissimo tempo, di fatto svanire un contesto di vita scandito dai suoi ritmi, dalle sue consuetudini, dai saluti che ogni giorno venivano scambiati tra gli ospiti e tra questi e il personale impegnato nell’assistenza.
«Dall’autunno c’è l’obbligo per le ASL di fare i tamponi periodicamente, circa ogni dieci/quindici giorni, per tutti gli ospiti e i dipendenti delle RSA. Verso la fine di novembre c’è stato un ritardo e i tamponi sono stati fatti dopo 21 giorni. In quel momento si è verificato prima un caso di una operatrice positiva e dopo i primi casi tra gli anziani. Dopo il primo caso non sono stati presi provvedimenti immediati e non si è provveduto ad isolare gli anziani per limitare i contatti. Soprattutto al piano terra, dove ci sono gli autosufficienti, si è continuato a lasciare che tutti si muovessero liberamente, utilizzando anche il solo bagno comune disponibile nella sala… Solo dopo i primi casi tra gli anziani sono stati attivati i protocolli di emergenza, intanto, dopo i tamponi successivi, il numero dei positivi è progressivamente aumentato… così ci sono stati gli spostamenti nelle strutture Covid di Arezzo… alcuni di quelli che sono partiti erano asintomatici in quel momento, ma poi, purtroppo, sono arrivate anche le notizie dei primi decessi…dovrebbero essere sette… Ci sono stati contagi anche tra i lavoratori e siamo arrivati alla fine con solo 5 ospiti negativi, proprio cinque anziani non autosufficienti che hanno una loro camera e non possono muoversi liberamente… A quel punto è stato deciso il trasferimento di tutti per procedere alla sanificazione totale, che dovrà essere molto approfondita e affidata ad una ditta specializzata».
Come una valanga il Covid-19 è così entrato dentro la RSA di Stia. Forse non è stato possibile farlo, ma pare che non si sia provato neppure a chiudere le porte. Se fosse stato attuato un isolamento immediato i problemi potevano essere, almeno, limitati. Ma questo adesso non si può sapere. Quello che abbiamo ascoltato lascia un senso di tristezza, proprio per quel valore umano e sociale che è sempre stato attribuito alla struttura di Stia. Non possiamo neppure provare a immaginare cosa abbia potuto significare per un anziano, che già ha dovuto ricostruire in un ambiente estraneo a casa il suo privato, trovarsi catapultato in un altro contesto dove sono totalmente assenti i contatti umani, dove non si hanno riferimenti e neppure volti conosciuti da cui ricevere un sorriso. Lo stesso senso di spaesamento, di apprensione, di paura vera, ha anche interessato i lavoratori della struttura, che hanno visto portare via in poco tempo le persone di cui si occupavano quotidianamente e che hanno dovuto imparare ad affrontare l’ansia e la tensione che salivano ad ogni controllo periodico dei tamponi.
«Quando ho fatto il secondo tampone dopo i primi casi e ho visto che era negativo ho pensato: “essere salvi è un miracolo”, visto le condizioni in cui ci siamo trovati a lavorare. Solo con la mascherina, senza camice e con gli anziani che non sempre sono in grado di tenere la mascherina…». Alla fine anche sei/sette operatori sono risultati positivi, gli altri adesso sono tutti a casa dopo un periodo dove lavorare non è stato facile.
Intanto intorno alla RSA di Stia, come abbiamo scritto proprio nel numero del giornale ora in edicola, ci sono varie discussioni in corso e non mancano criticità e attriti. «Da due anni si sentono ipotesi sul progetto della nuova RSA. Ora la Misericordia di Stia, proprietaria dell’immobile, ha voluto forzare la situazione e dato un termine per la chiusura al 31 dicembre di quest’anno avanzando problemi strutturali. Ma questa valutazione, non è stata formalizzata da una commissione, quindi il gestore ha ancora possibilità di mantenere aperta la RSA…». In questo momento di emergenza sembra fuori luogo concentrare l’attenzione su questo tipo di argomenti. Tra l’altro farebbe piacere conoscere il pensiero dei cittadini del paese e dei tanti aderenti alla Misericordia di Stia che, in un momento così delicato, sembra si sia defilata in un modo che non pare appropriato al ruolo che ricopre, non solo nel territorio del Casentino.
Comunque non sembra davvero che un evento così impattante abbia prodotto particolari reazioni o attenzioni. «Scusate, ma se c’è anche la paura di fare una domanda o di fare qualcosa, chi lavora lì e si trova nel mezzo… che cavolo di paura dovrebbe avere!… Io lo chiamo Mostro questo virus!».
In questo momento di incertezza sembra si pensi comunque a far tornare almeno alcuni anziani. Anche se, chi li conosce, è consapevole che la situazione sarà molto diversa. «Anche se rientrano, le loro condizioni non saranno delle migliori… due anni fa quando ci sono stati casi di polmonite, in un mese sono morte dieci persone… e adesso con il Covid…».
In più c’è da considerare come e, forse, anche dove riaprire. «Intanto per gennaio sembra che la cooperativa abbia a disposizione un altro spazio in piazza Tanucci per otto autosufficienti, anche se è da valutare se sia un edificio adatto… Ma sembra ci sia la volontà di riaprire comunque la RSA ancora prima di Natale facendo tornare i pochi negativi e poi gli altri in uscita dalle strutture Covid… Potrebbe anche accadere di dover accogliere però anche degli anziani ancora positivi, ma se non cambia radicalmente l’organizzazione, questo sarebbe impossibile…».
Soprattutto in vista del ritorno degli anziani sarebbe utile il massimo di collaborazione e presenza per dare supporto in un momento oggettivamente complicato. Ma sembra che proprio questa presenza sia mancata. «Oltre ai medici USCA, che venivano a fare i tamponi, non è stato visto nessuno dei responsabili della ASL di Arezzo e del Casentino venire per valutare da vicino la situazione. La RSA è stata abbandonata… nessuno si è interessato… Anche dal Comune nessuno ha mai chiesto se c’erano necessità… Qualcuno dei parenti degli ospiti ha chiesto l’intervento dei NAS, ma è stato fatto un sopralluogo che si è limitato al controllo di alcuni documenti… senza entrare nella struttura».
Non c’è molto da aggiungere, questo ci è stato raccontato ed era nostro compito riportarlo. Magari qualcuno troverà adesso il tempo per intervenire e dire o fare quello che non ha detto o fatto fino ad ora. Quello che speriamo è che ai nonni di Stia siano riconosciuti la cura e il rispetto che meritano.