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sabato, 21 Dicembre 2024

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F come Foreste

Prima considerazione: in Italia non esiste un partito che possa definirsi “ambientalista” tout court. Dalle macerie dei “Verdi” non è risorto alcunché di concreto; spiragli di una vera e propria filosofia “green” non si intravedono, eccezion fatta per l’irruzione di Elly Schlein nel modesto quadro della politica nazionale. L’attuale destra governativa, almeno a giudicare dagli interventi pubblici di Adolfo Urso, considera il futuro elettrico e la mobilità sostenibile come una pratica da riporre in secondo piano: vox populi, vox dei.

Seconda considerazione: in Italia, per decisione del Ministero dell’Ambiente, sono stati istituiti, nel corso degli anni, ben 25 Parchi Nazionali; milioni di ettari di territorio che coprono oggi circa il 5% dell’intera superficie della penisola. Tra commissariamenti e burocratici conflitti kafkiani con le amministrazioni regionali all’interno delle quali sono inseriti, servirebbe un instant book per affrontare il problema alla fonte.

Non bastavano un Ministero istituito ad hoc e un efficiente – anche se non in tutti i casi – Corpo Forestale a vigilare su un immenso patrimonio naturalistico; quest’ultimo, di recente, si è poi sciolto per confluire nell’Arma dei Carabinieri, sezione speciale di salvaguardia e tutela della biodiversità.

Lo Stato ha deciso che alla guida dei Parchi in oggetto devono essere eletti cittadini di comprovata esperienza e competenza in materia: tradotto in italiano significa nomine politiche, in un festoso quadro di moltiplicazione miracolosa di pane, pesci e incarichi.

A giudicare dai numeri e basandosi sulla relazione annuale della Corte dei Conti, comodamente reperibile sul Web, l’amministrazione dei Parchi Nazionali si regge interamente sui contributi statali e, in alcuni casi anche se non nella totalità, la stragrande maggioranza delle entrate annuali serve soltanto a coprire i costi dei dipendenti degli stessi Enti. Finalità di esclusiva tutela e salvaguardia del patrimonio naturalistico già esistente, sono sufficienti a giustificare la creazione di tali aree, strutturalmente diverse dalle già esistenti “riserve”?

Terza considerazione: flora e fauna. Concentriamoci su quest’ultima; nella sezione “Amministrazione Trasparente” del sito istituzionale del Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, scoprirete che dal 2017 ad oggi sono stati spesi migliaia di euro per consulenze ed affidamenti esterni.

Un naturalista ittiologo, ad esempio – e in questa sede non abbiamo elementi per giudicarne la competenza – percepirà, almeno a giudicare da quanto pubblicato in via ufficiale, l’ammontare di € 90.000 (novantamila) per una prestazione occasionale diluita, se non vado errato, nell’arco di tre anni. Vecchia questione quella del libero (e doveroso, aggiungerei) accesso alla consultazione degli atti pubblici, che riguardano e influenzano da vicino le nostre scelte e abitudini quotidiane.

Quarta considerazione; nel precedente numero del nostro excursus sulla Valle Silenziosa, questo nostro Casentino potenzialmente proiettato nel circolo virtuoso della transizione ecologica e della green economy, abbiamo fatto riferimento al possente lavoro del forestale Clauser e alla creazione della pluripremiata riserva naturale integrata di Sasso Fratino: ma c’era davvero bisogno, e ormai stiamo parlando di ben trent’anni fa, di istituire un Parco Nazionale che abbraccia due Regioni, con sedi operative e rappresentative distaccate e un “corpo” di sorveglianti a tutela della biodiversità? Le nostre foreste erano realmente in pericolo?

E, infine, il Parco Nazionale ha rappresentato, rappresenta o rappresenterà un concreto volano per lo sviluppo turistico del nostro territorio? Sarebbe interessante ascoltare in merito a tale questione il parere degli operatori – imprenditori, liberi professionisti, titolari di aziende agricole e quant’altro – che investono da tempo sul territorio e ne sono, per così dire, i protagonisti “attivi”, in quanto potenziali creatori di ricchezza: l’istituzione del Parco Nazionale li ha tutelati e agevolati nello sviluppo dei loro business plan? Oppure ne ha – anche se solo in parte – influenzato negativamente la crescita?

Vorremmo solo capire, riflettendo analiticamente sui numeri: a che cosa serve il Parco?

(Rubrica ALFABETO CASENTINESE del Barone Rampante)

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