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mercoledì, 5 Febbraio 2025

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Fabio, dal Casentino al King’s College Hospital di Londra

di Cristina Li – Non sempre le aspettative maturate nel momento della scelta del percorso universitario si realizzano. Più probabile è, nella maggior parte dei casi, che il percorso veda uno sviluppo tale da condurre verso direzioni mai nemmeno immaginate. Studiare, facoltà che ritengo essere la più alta e preziosa tra quelle possedute dall’Uomo, è assolutamente necessario, ma non sufficiente. Il flusso contingente della vita riemerge sempre, presto o tardi, portando alla graduale dissoluzione di quella beatitudine propria della giovinezza interiore, sempre curiosa e mai delusa. Tutto sta nel saper reagire, o nell’imparare a farlo. La nostra esistenza si riassume in un procedere in avanti, un perpetuo e inevitabile tendere verso la costruzione di un itinerario personale, singolare, spesso inaspettato. Inaspettata come la rotta presa da Fabio Speranza, giovane casentinese che, laureato in Infermieristica presso l’Università degli Studi di Firenze nel 2013, oggi vive e lavora a Londra.

Raccontaci un po’ di te: quali sono stati i primi passi, dalla fine degli studi verso il mondo del lavoro? «Terminati gli studi, ho iniziato subito a cercare lavoro tra Firenze e il Casentino. Dopo sei mesi di ricerche e dopo aver inviato infiniti CV, avevo trovato soltanto un posto come cameriere in centro a Firenze. Ho iniziato, quindi, a lavorare, con la speranza di esser chiamato al più presto per ricoprire ruoli inerenti al mio percorso di studi. Dopo diversi concorsi nazionali (migliaia di partecipanti per una decina di posti disponibili) e colloqui imbarazzanti (candidati già scelti prima del colloquio stesso), senza riuscire ad ottenere alcuna possibilità d’impiego, ero sempre più sconfortato. Un giorno, però, ho ricevuto un’e-mail: un ospedale inglese chiedeva la mia disponibilità a sostenere un colloquio a Milano. Messomi subito in viaggio, ho sostenuto la prova scritta e il successivo colloquio orale; dopo averli superati, avevo finalmente ottenuto un posto di lavoro in un ospedale pubblico inglese.»

Qual è stata la tua reazione? «Adoro viaggiare e, non avendo potuto vivere l’esperienza Erasmus durante il periodo universitario, l’idea di andare a lavorare nel Regno Unito mi ha attratto fin da subito. Avrei dovuto lasciare la famiglia, gli amici, i luoghi in cui sono cresciuto e iniziare una nuova esperienza non soltanto lavorativa, ma anche e soprattutto di cambiamento personale. Ero pronto per farlo, accettare il lavoro era la scelta giusta. Il Casentino mi ha accolto quando ero un bambino e il rapporto con questa terra è forte; provo un senso di attaccamento che porterò sempre con me. Tuttavia, raggiunta la maggiore età, il mio piccolo paese di provincia iniziava a starmi “stretto” e sapevo che, prima o poi, sarei partito per esplorare e vivere quello che il mondo avrebbe avuto da offrirmi.»

Inizia così una nuova sfida, una nuova parte di vita. «Una sfida, esatto. Una sfida con me stesso: sarei stato in grado di lavorare e vivere in un luogo dalla lingua, il sistema e gli usi diversi da quelli del mio Paese di origine? I primi mesi sono stati molto impegnativi, non soltanto per i problemi appena menzionati, ma anche perché si trattava della mia prima esperienza lavorativa in un ospedale. L’impatto è stato fortissimo: dovevo riuscire a combattere, quotidianamente, con l’inglese e con un sistema sanitario diverso da quello cui ero stato abituato durante i periodi di tirocinio in Italia. Inoltre, l’ospedale si trovava in un piccolo paese fuori da Londra, nel quale lo straniero dall’inglese poco fluente non era visto di buon occhio neanche dagli stessi colleghi in ospedale, oltre che dalla comunità. È stato difficile abituarsi anche alle piccole, ma pur sempre diverse, cose della quotidianità. Ricordo, ad esempio, che rimasi un po’ perplesso quando scoprii che i ristoranti chiudevano prima delle 22:00 e altri locali prima di mezzanotte, anche durante il fine settimana. La mia grande fortuna è stata intraprendere questa esperienza con altri ragazzi italiani, anch’essi partiti dal mio stesso ospedale, con cui è nata una forte amicizia e da cui ho tratto la forza di non abbattermi e superare le prime difficoltà.»

E poi… Londra! «Sì, Londra. In realtà, all’inizio, sarebbe andato bene qualsiasi altro grande centro urbano. Era chiaro a tutti noi che l’unica soluzione era di lasciare il piccolo paese da cui eravamo partiti e spostarci altrove. Personalmente, dopo aver superato il colloquio per il King’s College Hospital, mi sono trasferito nella capitale, dove vivo da quasi due anni ormai. Questa è stata la vera svolta: Londra è riuscita a farmi maturare sempre più il piacere di svolgere il mio lavoro, permettendomi di far parte di uno degli ospedali più rinomati d’Europa. L’essere riuscito a trovare il mio spazio in una così grande metropoli mi ha reso consapevole delle mie potenzialità. Nella vita di tutti i giorni, è possibile relazionarsi con persone provenienti da qualsiasi parte del mondo. Nel mio stesso reparto, lavorano spagnoli, indiani, irlandesi, greci e africani. Mi trovo nella città più multiculturale d’Europa e questo mi rende fiero di farvi parte.»

Visti i recenti avvenimenti a livello europeo, cosa cambierà per te, come per tanti altri lavoratori stranieri? «Ancora non è ben chiaro quale sarà il futuro di noi lavoratori europei, nonostante le rassicurazioni da parte dei datori di lavoro. La situazione non è ancora delineata. Per quanto riguarda Londra, non si vede ancora nessuna differenza importante dal giugno dello scorso anno. Mi dispiace soltanto che, ancora una volta, la politica sia riuscita a creare anche qui un clima d’incertezza che, a parere di molti cittadini inglesi, non si percepiva da moltissimi anni.»

Aprirsi al mondo, provare, conoscere. Possiamo riassumere così il tuo “volo”? «Sì. Lavorare e vivere in un Paese diverso da quello in cui sei cresciuto riesce ad aprirti la mente. Inizi a capire che non esiste solo la piccola realtà di una vallata toscana, nel mio caso, e a interessarti, perciò, a nuove culture, nuove persone. Cresce la curiosità di voler conoscere sempre di più il mondo che ti circonda. Londra offre molto ai giovani lavoratori, premiati sulla base della meritocrazia: se sei idoneo in quello che fai, è la società stessa che ti valorizza e ti permette di realizzarti e di far carriera. Proprio per questo, non ho intenzione di fermarmi qui: il mio progetto futuro è quello di continuare a studiare, specializzarmi in sanità pubblica e lavorare per un’importante ONLUS.»

(tratto da CASENTINO2000 | n. 282 | Maggio 2017)

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