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giovedì, 28 Novembre 2024

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Fangacci: un rifugio nel Parco

di Fiorenzo Rossetti – “Alzai gli occhi all’orizzonte e finalmente lo vidi! Si stagliava nel crepuscolo, immerso in una grigia nebbiolina di fine autunno. Eccolo là, finalmente. Il rifugio!”
Quando pensiamo alla montagna e all’incanto della sua natura, è il rifugio, forse, l’immagine più iconica e romantica che per prima balza alla mente. La nostra idea di rifugio ha solo duecento anni. Prima del rifugio alpinistico/escursionistico ce n’erano stati tanti altri, figli di tempi e di bisogni differenti; dal giaciglio dei cacciatori, ai bivacchi dei pastori o al ricovero per gli eserciti che si spostavano di valle in valle.  La visione moderna del rifugio inizia con gli ospizi medievali, che offrivano protezione a chi si avventurava tra cime e foreste selvagge.

Ora non è più il tempo di cacciatori erranti, pellegrini o pastori e i rifugi non rappresentano l’estremo avamposto per le loro attività. A dispetto di questa tradizionale idea dell’alpe oscura e minacciosa, i nuovi frequentatori delle montagne e dei luoghi naturali non troppo antropizzati, inseguono il desiderio di una bellezza seducente, di pace. La montagna è luogo d’esercizio sportivo e d’avventura, è ricerca di emozioni, è fuga dal fallimento ideologico delle città. Tale trasformazione, in questi ultimissimi anni, ci ha portato a considerare il rifugio non più quale luogo di contemplazione della natura, ma meta di sfida: verso se stessi, verso i propri limiti, verso la natura stessa. La visione romantica del rifugio, che consente di assaporare il silenzio che avvolge la montagna all’imbrunire, i suoni del vento intorno e le voci degli animali, sembra sempre più l’immagine sbiadita di una invecchiata cartolina.

Eppure, nel Parco delle Foreste Casentinesi, c’è ancora chi scommette sul valore del rifugio.
Un bando pubblicato qualche mese fa dal Reparto Carabinieri Forestali della biodiversità di Pratovecchio, ha assegnato la gestione del rifugio “Fangacci”, sito in corrispondenza del passo che unisce la Romagna alla Toscana. Il rifugio risale agli anni ’50 del secolo scorso ed è posto lungo la via che collega Badia Prataglia all’Eremo di Camaldoli.

Ad aggiudicarselo è stata una determinata donna di terra di Toscana, l’aretina Lucia Infelici. Laureata in scienze motorie, con all’attivo i titoli professionali di Accompagnatore Turistico e Guida Ambientale Escursionistica. Parlando con lei, subito se ne coglie la genuinità di pensiero e i sentimenti che la muovono. Il suo progetto intende coinvolgere i visitatori in attività di “wellness retreat”: un’immersione nella natura e nelle foreste, per rigenerare il proprio benessere psico-fisico (quindi utile ad evocare i sentimenti, ormai quasi dimenticati, di una spartana esperienza da rifugio). Ma non solo. Accanto al servizio di ospitalità si palesa l’intenzione di utilizzare il rifugio per svolgere attività di tipo scientifico-divulgativo, d’educazione ambientale e, soprattutto, per diffondere una sana cultura della montagna e dei parchi.

Sabato prossimo 8 maggio, si celebrerà con una inaugurazione, l’apertura di questo rifugio.
Per avere una certa efficacia e far sì, come già rimarcato in precedenti miei articoli, che siffatte attività siano davvero in grado di guidare le persone a far emergere atteggianti sempre più positivi nei confronti dell’ambiente, è inderogabile che il rifugio sia esso stesso un luogo educante. Ed ecco che entra in gioco l’autorevolezza delle istituzioni: essere guida, dare segnali attivi, promuovere aiuti d’esperienza (magari anche aiuti finanziari, attraverso bandi), nonché agevolare la transizione verso tecnologie in grado di rendere le strutture dedicate all’ospitalità escursionistica e naturalistica il più possibile sostenibili.

I rifugi potrebbero così divenire un ingranaggio fondamentale nella dinamica del turismo, delle aree protette e dei parchi. Potrebbero rappresentare direttamente e metaforicamente il luogo che offre l’opportunità di sperimentare quelle belle emozioni che tutti ricerchiamo: il senso di pace, di sicurezza, la sospensione dell’ansia e dell’inquietudine, così come si manifestano dopo un lungo cammino, che sia quello a piedi o quello della vita.

Varcare l’uscio del rifugio, fradici di pioggia o madidi di sudore, con l’animo colmo di gratitudine verso chi ha costruito e verso chi gestisce quel miracoloso riparo, è un’occasione imperdibile per dimostrare quanto un Parco possa essere determinante nel migliorare la vivibilità degli ecosistemi umani, in armonia con quelli naturali.
Aiutiamo Lucia! Aiutiamo tutti quelli che credono nei valori genuini, nell’utilità dei rifugi in quest’epoca moderna ormai prossima ad un evento epocale di transumanza ecologica.
Non abbandonare i valori e le potenzialità di questi frugali luoghi di ospitalità, presidio e specchio del territorio, avamposti di trasformazione ecologica, non può che permettere un grande salto culturale: coniugare la valorizzazione e la tutela del territorio con la sua frequentazione, ristabilendo la “pace” fra uomo e natura.
Il tutto con il tocco romantico che davvero un rifugio può evocare. Provare per credere!

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