di Denise Pantuso – Arriva il tempo in cui la caducità di un genitore diventa visibile agli occhi di un figlio. Che sia attraverso una malattia fisica, un atteggiamento di ritiro dal mondo, da una certa lamentela per i dolori corpo, il cambiamento del sonno e dell’appetito un figlio ad un certo punto della vita si ritrova di fronte ad una persona che é solo apparentemente la stessa.
Questa “apparenza” di un primo momento diventerà nel tempo una certezza tanto da richiedere un cambiamento di prospettiva da cui guardare un genitore. Il figlio stesso si accorge che non può più affidarsi alla disponibilità della propria madre o del proprio padre né come nonni né per le piccole mansioni come stirare panni e fare la spesa, chiedere un consiglio o ristoro. Un figlio si ritrova a dover fare i conti con una mancanza, un venire meno del modo con cui era solito relazionarsi ed immaginarsi i genitori. Questo cambio di prospettiva non è così semplice poiché non sempre il venir meno della disponibilità genitoriale coincide con un aggravamento delle piccole abilità quotidiane.
Il fatto è che il genitore, per vari motivi che rimangono spesso chiusi nella propria intimità, non ce la fa più ad essere la stessa persona e questo molto spesso per un figlio, seppur lo sappia, non è accettato. Il lutto che fa il genitore su se stesso è contemporaneo al lutto che il figlio stesso fa per trovarsi un genitore diverso dal solito. Così diventa frequente come prima reazione la rabbia, l’incomprensibilità, l’enigma del figlio che si domanda come sia possibile che il genitore ancora “in sé” non sia più la stessa persona.
C’è inoltre un altro grande ostacolo alla comprensione della caducità genitoriale: la relazione che si è istaurata nel tempo. Riscontro spesso che molti figli di genitori anziani sono soliti interpretare il proprio padre e la propria madre come se fossero le persone di sempre. Ecco che il “padre assente” rimane tale senza diventare “l’uomo che si ritira” a causa della senescenza. La madre ansiosa rimane tale a discapito di una tendenza fisiologica dell’anziano a sentirsi indifeso e vulnerabile che lo porta a chiedere più presenza e a fare più domande. Riuscire a leggere e comprendere, per poi ricalibrare le parole che si attribuiscono ai genitori non è una cosa semplice. Fosse anche per il poco tempo che si ha per farlo!!!
Far perdere al genitore la condizione di familiare per considerarlo un essere umano nel mondo, al tramonto della vita e solo con la sua caducità è un’esperienza che richiede ai figli una profonda trasformazione interna. Ecco che i primi passi di questo cambiamento prendono la forma del tedio, dell’angoscia, la sensazione di non farcela, desiderio di non occuparsene e affidare a qualcun altro i piccoli e grandi accorgimenti che il genitore richiede.
Nei casi più gravi in cui l’invecchiamento si manifesta attraverso le varie forme di demenza ecco che il figlio ha difficoltà a discernere i momenti di lucidità del genitore dalle cose dette che, seppur sensate, sono dettate dalla malattia e quindi già dimenticate. Questo attraversamento diviene dunque un continuo alternarsi di rispetto e indifferenza, svalutazione e venerazione, rabbia e tristezza, scoraggiamento e speranza fino a che tutto questo si trasforma nella consapevolezza della vulnerabilità umana alla fine dei giorni.
Dott.ssa Denise Pantuso – Psicologa e psicoterapeuta individuo, coppia e famiglia www.denisepantuso.it – tel. 393.4079178