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sabato, 19 Aprile 2025

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Gli Alberi… Testimoni del Tempo

testo e foto di Andrea Barghi Goaskim – Girovagando tra le meraviglie naturali del Casentino e del suo Parco ho incontrato alberi maestosi intrisi di storia, emblemi di vita; è stato emozionante fare la conoscenza della regale Roverella, del magico Acero, dell’impavido Pioppo e degli altri Testimoni del Tempo e scoprire le loro personalità: li ho voluti ritrarre in bianco e nero per rivelarne l’anima. Accogliendomi mi hanno fatto sentire parte del loro mondo spronandomi a pubblicare il libro «Testimoni del tempo» e realizzare una mostra fotografica con testi del dott. Claudio D’Amico; perché nei suoi scritti rivivono le mie immagini e condivido la sua visione sentimentale della natura. Oggi sono 43 anni che siamo amici e ho deciso di pubblicare uno dei suoi testi da me preferito e che trovo adatto al Casentino e ai suoi testimoni del tempo.

I Guardiani Cipresso (Cupressus sempervirens L.), loc. Castello di Romena. Cosa sarebbe la Toscana senza i cipressi? Ad essere precisi il cipresso (nello specifico parliamo del Cupressus sempervirens L.) vegeta, secondo Gellini “…allo stato spontaneo nel Mediterraneo orientale: Grecia e isole Egee, Creta, Cipro, Samo, Leukos, Corfù, Asia Minore, fino alla Giordania. Si trova anche in Cirenaica e in piccole zone della Tunisia e del Marocco. Incerto in Persia e nella Siria settentrionale. Nei paesi mediterranei è coltivato ovunque ormai da millenni…”. Rieccoci dunque, per un altro verso, ai “Testimoni del Tempo”. Non sono certo millenari i due guardiani del Casentino che, da Romena, incorniciano la prospettiva sul crinale e sulle foreste del Parco nazionale. È millenaria invece la cultura che essi rappresentano, una cultura di grazia, bellezza, armonia.

Nel paesaggio toscano il cipresso è come un segnale, un avviso ai viaggiatori che lì c’è qualcosa di caratteristico: un incrocio, una chiesa o, più spesso, un cimitero, una villa o il viale che a quella conduce. Per qualche tempo, nel vortice degli Anni ‘60, si era persa un po’ la tradizione del cipresso, interessato da una preoccupante epidemia indotta da un agente patogeno, e si era ripiegato su un suo pseudo-sostituto: come nelle case era avvenuto con la formica e i mobili in teak al posto di fratine e madie in massello, così nei giardini era entrato l’infausto Cipresso dell’Arizona, indenne dagli attacchi di “cancro corticale”.

Quello dell’Arizona è vero che del “nostro” cipresso è un qualche lontano parente (i due appartengono alla stessa famiglia e allo stesso genere), ma per carità non c’entra nulla con la nostra cultura e col buon gusto. Diffonderlo ulteriormente nel nostro paesaggio sarebbe come pensare di installare infissi d’alluminio anodizzato alle pievi romaniche. Può sembrare una contraddizione, un’invettiva contro una specie che è comunque un elemento della natura.

Non c’è niente di male invece: gli americani si tengano caro il loro cipresso argentato nelle foreste di quell’ambiente, noi difendiamo il nostro “spilungone” e sosteniamo la ricerca per la sua tutela. Se non altro, grazie anche a lui, tanti e tanti americani avranno ancora motivo di venire a incantarsi per paesaggi che da loro non esistono.

Amo immaginare come ogni giorno di ogni mese, per tutto l’anno, nei più disparati angoli del mondo i Testimoni del Tempo continueranno a trasmettere la bellezza che li pervade e a raccontare le loro storie.

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