di Melissa Frulloni – Che siate impiegati, operai, agricoltori; costretti ad una scrivania, davanti ad un pc o alle prese con macchinari di vario genere; l’orario di lavoro scandisce le vostre giornate, definisce il tempo libero, lo svago e il riposo, la routine quotidiana fatta di orari e appuntamenti… Provate però ad immaginare per un attimo di vivere un’esperienza lavorativa totalmente immersiva, capace di catturarvi testa, corpo e cuore. È quello che è successo a Janos Kung, e sua sorella Serena, casentinese di origine, da qualche anno trapiantato in Svizzera. Lo abbiamo raggiunto in videochiamata per farci raccontare la sua esperienza di tre mesi e mezzo in alpeggio, portando al pascolo del bestiame in alta montagna. Capirete bene che non è un lavoro come tutti gli altri, ma piuttosto una scelta di vita, una sterzata alla routine, un esperimento su se stessi e per testare le proprie capacità.
“In effetti sono proprio queste le motivazioni che mi hanno spinto a fare questa esperienza.” Ci ha detto Janos. “È un lavoro, certo, ti pagano per farlo, ma credo che sia soprattutto una scuola di vita; ti da la possibilità di vivere un periodo po’ particolare che credo, non tutti siano portati ad intraprendere. Bisogna amare molto la montagna, la vita nei boschi, gli animali e camminare! Perché quassù è l’attività principale che devi fare… Volevo provare a vivere con meno, senza i comfort a cui siamo abituati, riavvicinandomi ad un rapporto più autentico con la natura, lontano dalla civiltà. A me e mia sorella piace essere padroni di noi stessi, delle nostre azioni; siamo stati legati solo ai ritmi delle mucche e non a quelli che in un’azienda ti detta un datore di lavoro.” Ci ha spiegato.
Janos è nato a Bibbiena, poi si è trasferito con la sua famiglia in Svizzera all’età di 3 anni ed è tornato in Casentino quando ne aveva 13. A 21 ha poi deciso di tornare a vivere vicino a Zurigo e di specializzarsi, dopo il diploma, in una scuola professionalizzante per carpentieri. La sua famiglia vive ancora nella nostra vallata e anche lui, quando può, torna in quella che ha sempre considerato casa sua, un luogo del cuore in cui ha vissuto gli anni più belli e in cui ha ancora tantissimi amici.
Negli ultimi tre mesi e mezzo ha vissuto a circa 2000 metri, nelle Alpi svizzere, vicino al confine con Livigno. La casa che ha condiviso con sua sorella per tutto questo tempo non aveva acqua corrente al suo interno, ma solo una fontana nel giardino. Un piccolo pannello solare gli permetteva di caricare i cellulari e di avere la luce per la sera e poi c’era una stufa a legna usata per cucinare e per scaldarsi.
“Conoscevamo già questa sistemazione. Ci eravamo venuti altre volte a trovare mia cugina che, insieme alla sua famiglia, aveva preso in carico proprio questo alpeggio. Pensa che il paese più vicino è ad un’ora di cammino da qui, la strada per andarci in auto non c’è… Quando siamo arrivati ci hanno portato diverse cose e i generi alimentari a lunga conservazione con l’elicottero, poi una volta a settimana siamo andati noi a fare la spesa per acquistare frutta, verdura e alimenti freschi. Ammetto che non è una vita facile; l’ambiente di montagna non è così confortevole. Sapevamo che sarebbe stata una vita diversa da quella a valle, senza comodità. In due ci siamo aiutati, fatti forza, sostenuti, sia moralmente che praticamente, dividendoci i compiti e le cose da fare. Da solo non credo che avrei resistito per tutto il tempo. Il primo mese e mezzo è volato, poi però ho iniziato a sentire la mancanza dei miei amici, degli allenamenti di Kong Fu, disciplina che pratico da anni e anche della vita in città, delle comodità di una casa con luce corrente e acqua calda.”
Non c’è da biasimarlo; nei mesi del lockdown, con tv, Netflix, lievito e farina sempre a disposizione siamo praticamente impazziti; immaginatevi che cosa si può provare in montagna, isolati, in un mondo molto lontano da quello in cui siamo abituati a vivere.
Janos come era la vostra giornata tipo?
«Avevamo diversi pascoli a disposizione in cui far pascolare le mucche. Sono spazi molto grandi, composti da prati e bosco, in cui non riesci a vedere e quindi controllare direttamente tutti gli animali. Ogni giorno devi farli arrivare nei pascoli più in altro, fino a circa 2700 metri di altitudine, per poi farli riscendere prima che faccia buio. Prima di far arrivare in alpeggio le mucche abbiamo predisposto dei recinti per essere sicuri che non si allontanassero troppo. Ci hanno fornito anche una lista di nomi per farci identificare ogni mucca. All’inizio non è facile riconoscerle, ma poi diventa automatico; impari a conoscerle, sai quali sono più solitarie, quali più amichevoli, chi è amica con chi e capisci che sono animali veramente affascinanti e intelligenti. Ci siamo dovuti assicurare che mangiassero, che stessero bene, che non insorgessero particolari problemi di salute. Nessuno ce lo ha insegnato; prima di partire abbiamo fatto un corso online, causa Covid, ma è stato solo con la pratica che siamo riusciti a conoscerle davvero e a capire i loro reali bisogni.»
Le mucche di cui si sono presi cura Janos e Serena appartengono a diversi contadini della zona. Si dividono in mucche madri, utilizzate per la nascita dei vitelli e quindi per la produzione di carne, e in manze. Stanno in alpeggio da giugno fino al 20 settembre. Un tempo relativamente lungo che ha permesso ai due fratelli di affezionarsi molto a questi animali tanto che quando purtroppo una delle manze è precipitata da un dirupo ed è morta, per Janos e Serena è stato un momento davvero triste.
Che farai quando tornerai nella “civiltà”?
«Una lunghissima doccia calda e poi voglio ordinare una bella pizza, mi è mancata troppo! A parte scherzi, le relazioni sono la cosa che mi è mancata di più, quindi cercherò di recuperarle il prima possibile. Verrò in Casentino a trovare la mia famiglia e poi rivedrò i miei amici. Credo che sarà un bello shock tornare in città… Per fortuna abito poco fuori Zurigo, in campagna, quindi non sono in un contesto strettamente metropolitano, ma non avere intorno le mucche, gli animali selvatici, poter raccogliere i funghi o le bacche, vedere il bosco ogni giorno, mi mancherà tantissimo!
Però sono felice di tornare a casa e dopo qualche giorno di riposo riprenderò a lavorare come carpentiere. Riposarmi è un’altra cosa che voglio assolutamente fare una volta lasciata la montagna. Quassù non stacchi mai, non c’è un giorno che puoi stare sul divano o pensare di non camminare, di non uscire con le mucche. Mi godrò anche qualche giornata di ozio e di relax.»
In questa esperienza, Janos ha anche riscoperto il rapporto con sua sorella; hanno vissuto delle giornate non facili, dei momenti duri, hanno discusso e poi fatto pace, come accade in qualsiasi convivenza, ma sono riusciti a concludere questo percorso insieme, sostenendosi a vicenda.
“Per adesso siamo felici di salutarci e di non vederci per una po’!” Ci scherza su Janos anche se sa quanto è stato fondamentale avere Serena accanto. Lei ha solo 24 anni e si è dimostrata una donna davvero forte, all’altezza di un lavoro duro per mente e corpo.
Rifaresti o rifarai questa esperienza?
«Se la rifarei? Assolutamente sì! Credo che siano queste le cose che ti rimangono dentro, che ti ricorderai per sempre. Una scuola di vita che insegna il rispetto per se stessi, per la natura, per quello che ci circonda e ti fa sentire ancora più grato di tutto quello che hai. Se la rifarei non saprei dirti… Adesso ho davvero bisogno di tornare a casa, di staccare da tutto questo e di mantenere questa esperienza vivida nella mia mente come un ricordo bellissimo ed emozionante.»
Natura, isolamento, tornare a vivere con poco; sono virtù che non appartengo alla nostra società… Sicuramente quelli vissuti da Janos e Serena sono valori autentici che dovremmo riuscire a riportare “a valle” dove invece sempre più spesso regnano caos, inquinamento e bisogno di accumulare oggetti e relazioni. È come se le cose belle e buone fossero confinate in luoghi lontani, in un certo senso inospitali, non accessibili a tutti; in una realtà quasi onirica, distante da come siamo abituati a vivere ogni giorno.
Non è necessario rinunciare ai comfort e alla modernità, basterebbe solo riuscire a fermare il bisogno di accumulare, di avere sempre più; un’esperienza del genere sicuramente potrebbe insegnarcelo e ci permetterebbe di apprezzare anche una semplice, ma tanto preziosa, doccia calda.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 323 | Ottobre 2020)