di Gemma Bui – Ho intervistato Don Gianni Marmorini, Parroco della Fraternità di Papiano (Pratovecchio Stia), per parlare del suo Libro “Isacco – Figlio Imperfetto”, edito da Claudiana nel 2018 (con la prefazione di Massimo Grilli, n.d.r.). Per scriverlo, Don Gianni ha operato un lavoro di consultazione, traduzione e redazione durato ben cinque anni, e avvenuto tra Roma e Papiano.
Nel Libro Don Gianni presenta una nuova interpretazione della figura di Isacco – il figlio di Abramo che viene quasi sacrificato a Dio – ipotizzando che egli potesse soffrire di una qualche forma di neurodiversità.
E’ questo il tema centrale dell’opera, che ci porta a rivedere il concetto stesso di (im)perfezione, e l’influenza che esso ha avuto nella società antica come in quella moderna; nella comunità della Chiesa come in quella esterna a essa. La conversazione è stata molto lunga, ed ha spaziato tra varie tematiche (alcune, anche molto critiche nei confronti della Chiesa), sempre tenendo fermo il centrale concetto di (im)perfezione e il riferimento diretto alle fonti letterarie e storiche.
Mi hanno colpito, in particolare, la padronanza e la conoscenza che Don Gianni ha dei testi, a maggior ragione se si considera che li ha, in larga parte, studiati da autodidatta. Don Gianni è un uomo dotato di quella critica che si matura solo attraverso il contatto con la realtà: il legame con la sua comunità religiosa è evidente.
La calma e la lucidità che utilizza nel parlare si irradiano attorno a lui. La lettura del suo Libro e il confronto diretto mi hanno trasmesso sicuramente molto più di una semplice storia letta sulla Bibbia; proprio perché dietro la sua visione c’è molto di più di quella semplice storia. Ve lo facciamo leggere.
Quali sono stati la tua formazione, in primis, e successivamente il percorso di accesso alla Chiesa? «Provengo da una famiglia molto cattolica; eravamo tre figli, mio padre era un poliziotto, vivevamo in affitto a Firenze, con non poche difficoltà. Il Parroco, amico di famiglia da tanti anni, un giorno disse ai miei genitori che avrebbe fatto studiare uno dei loro figli. Capitò a me, entrai in Seminario quando avevo dieci anni, nel 1968, ed è lì che sono cresciuto. Dopo la Maturità ho fatto il percorso di Studi Teologici, durato sei anni. Con alterne vicende, molti spostamenti e difficoltà, ho poi iniziato a fare il Prete, ma non ho più studiato. Tornato in Casentino, mi sono avvicinato molto alla Fraternità di Romena. In quel periodo assistetti a una conferenza sulla Genesi, che mi sorprese perché mi fece capire che anche lo studio era cambiato molto nel tempo. Da quel momento ripresi gli studi, in modo libero, non scolastico, avvicinandomi soprattutto a persone ed esperti di provenienza ebrea (il mio approccio è quindi particolarmente vicino alla parte ebraica della Bibbia, quella dell’Antico Testamento). Mi sono poi avvicinato a un altro Professore, Massimo Grilli, che mi consigliò di iniziare a studiare le lingue. Ho intrapreso un percorso molto ampio, anche perché non focalizzato verso una Laurea. Ho poi preso il Baccalaureato a Firenze, facendo tutti gli esami, mi manca solo la tesi, ma il mio interesse non è quello di insegnare; io ho studiato la Bibbia per me stesso, tuttavia spero comunque di riuscire a terminare il percorso quest’anno.»
Qual è stato il processo di consultazione, traduzione e redazione di “Isacco – Il Figlio Imperfetto”? Quali sono stati, e se e come sono cambiati, durante la stesura e in seguito alla pubblicazione, i tuoi rapporti con la Chiesa istituzionale? «Il vescovo della Diocesi di Fiesole in realtà mi ha dato un enorme contributo. Il Prof. Grilli, poi, all’epoca presiedeva la Facoltà di Teologia Biblica della Pontificia Università Gregoriana di Roma, era un uomo del sistema ma anche un grande studioso. Credo – anche per via del fatto di non essere particolarmente “famoso” – di godere di una libertà di espressione e movimento, che forse finirebbe se le cose cambiassero. Vorrei sottolineare che sicuramente a un certo punto del percorso mi sarei arreso se non avessi avuto il supporto della Comunità “Papianoinsieme”, che per anni mi ha aiutato, rileggendo e rivedendo insieme a me il Libro.»
Come sono nati, più nel dettaglio, l’idea e il soggetto del Libro? «Io mi sono appassionato molto al Libro della Genesi, è quello che ho studiato di più, muovendomi soprattutto tra i racconti primordiali. Va premesso che io ho un problema con alcuni princìpi, che credo passino talvolta in modo un po’ superficiale. Io non penso che l’obbedienza sia l’espressione massima della Fede, ma credo invece in una responsabilità cosciente, che ci consente di imparare a gestire la nostra libertà. La pessima, pericolosa interpretazione che viene data alla prima disobbedienza che incontriamo nella Genesi, mi ha sempre creato difficoltà. Dio proibisce ad Adamo ed Eva di mangiare il frutto dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male, loro disobbediscono, e da lì inizia la tragedia della Vita umana; la situazione è in parte ricomposta solo in seguito da Abramo, disposto a sacrificare il proprio figlio. Questi due punti mi hanno sempre angosciato, nonostante il brano di Isacco nello specifico abbia moltissime letture. Ho capito quindi che poteva esserci una modalità diversa di leggere quest’ultimo episodio, secondo cui Dio chiede ad Abramo di accettare suo figlio e trasmettergli la sua Fede (quest’ultima tesi era peraltro già sostenuta da Rashi, uno dei più grandi commentatori della Bibbia, che affermava che Dio non avesse chiesto ad Abramo di sacrificarlo effettivamente, ma di farlo salire con lui in cima al monte per un sacrificio). »
Il Libro contiene un’inedita interpretazione della vicenda biblica di Abramo e Isacco. Il processo di traduzione ha secondo te il potere di cambiare radicalmente le fonti, e di conseguenza la storia e potenzialmente anche la Fede? «Io credo che il problema dell’interpretazione del testo biblico sia immenso. La stessa Bibbia si propone non come testo fonte di verità, ma come un cammino di mille anni, di tanti periodi diversi, durante i quali essa ha continuamente cambiato idea, crescendo con la storia dell’Uomo. Le molte riletture sono connaturali alla Bibbia, e questo è ancora più evidente nel Nuovo Testamento: infatti non abbiamo uno, ma ben quattro Vangeli. Questa diversità concerne non solo la lettura del testo, ma anche il fatto storico. La Bibbia è molto umana, non sfugge a queste regole.»
Il tema centrale dell’opera è il concetto di (im)perfezione. Il Dio che emerge da “Isacco – Figlio Imperfetto” è un Dio anch’egli imperfetto, o comunque disposto ad accettare ed ammettere l’imperfezione come elemento essenziale e connaturale dell’Uomo. L’ideale di perfezione tuttavia permane ancora oggi, influenzando profondamente anche la società moderna, votata alla competizione e alla continua messa in mostra dell’aspetto “migliore” di sé stessi. Ma non sarebbe forse meno faticoso – e più onesto – semplicemente accettare le proprie fragilità? «Io sono rimasto sorpreso, quando a più di cinquant’anni ho ripreso a studiare, della libertà presente in questo testo. Una premessa: nella Bibbia, quando si parla di Dio, si parla di lui come “personaggio». Per noi è impossibile parlare di Dio: ci mancano le categorie e la comprensione. Ma la stessa Bibbia non presenta mai neanche Dio come perfetto. Egli crea l’Uomo mettendo insieme la polvere e il proprio alito. Poi lo guarda, e dice “Non è bene che l’Uomo sia solo”. Dio quindi si mette in discussione, demolendo l’immagine di perfezione a lui associata. Tenta di correggerla, e non ci riesce subito. Cerca di capire, passa da un errore a un altro, comprendendo infine di dover ricominciare daccapo: quindi addormenta l’Uomo, lo divide a metà e crea l’alterità, le connessioni, la molteplicità. Ovviamente la Bibbia non ha un’immagine perfetta nemmeno dell’Uomo. Questo è uno dei problemi più grandi che abbiamo, aldilà della Religione: è quello di accettare i nostri limiti; alcuni devono essere superati, altri semplicemente accolti. Anche nelle relazioni d’amore, si va in crisi quando una parte non è più in grado di accettare l’imperfezione dell’altra. Vale anche per i rapporti tra genitori e figli: crescendo ci accorgiamo di non essere i migliori, di non essere perfetti. Se riusciamo ad accettare reciprocamente i nostri limiti, il rapporto si mantiene; altrimenti, si perde. Lo stesso vale per sé stessi: chi sa far pace con le proprie fragilità è sereno. Non c’è altra possibilità, la perfezione proprio non funziona.»
Nel Libro le figure femminili sono secondarie ma assolutamente funzionali agli sviluppi storici e narrativi; potremmo quindi definirle a tutti gli effetti delle co-protagoniste. Abbiamo Sara, la “dura” moglie di Abramo, e Agar, sua serva e madre di suo figlio Ismaele. Oltre a un insolito assetto familiare, molto distante da quello tradizionalista, e che in chiave moderna potremmo accostare a quello di una “famiglia allargata”, cos’altro ci dicono queste donne? E secondo te meriterebbero di esser rivalutate, rispetto alla tradizionale visione cattolica, che, oggi come ieri, le relega assolutamente a una posizione di secondo piano? «Prendendo l’espressione del Qoelet, “Sotto il sole è tutto fragile”, e così anche la Bibbia. Essa vive nell’ottica del tempo in cui è stata scritta. La visione che essa dà della Donna è oggi inaccettabile: Eva rompe fin dal principio l’armonia del Mondo (anche se questo è un punto discutibile, perché il testo mette in risalto Eva in senso positivo, la lettura in senso negativo, con un’ottica molto maschilista, come fa anche per la stessa figura di Dio). Ma ad esempio, nelle pagine del Libro di Isaia, Dio è sicuramene donna (“Può una madre dimenticarsi del figlio? Figurati io [Cit.]). La stessa parola “misericordia”, traduce la parola ebraica “rachamim”: “rechem” in ebraico significa “utero». La traduzione letterale di (Dio) “misericordioso” sarebbe quindi “uteroso”. La lettura però vede le Donne in maniera pesante, si “salvano” solo Maria nella visione cattolica e Rachele in quella ebraica. Pensiamo anche a Giacobbe. Egli ha due mogli, due serve, dodici figli: un harem, a tutti gli effetti. Ma Giacobbe in verità ha tredici figli: la tredicesima è Dina, che viene violentata, uccisa e poi dimenticata. Anche nel Nuovo Testamento la figura femminile subisce la censura maschile; ma il fatto che il primo incontro del Risorto sia con una donna, Maddalena, fa capire che la storia avrebbe dovuto essere differente. Non sono tuttavia spaventato, perché non penso che la Bibbia debba essere un libro perfetto: ha delle lacune, era un libro vivo che poi è stato “bloccato” a un certo punto del percorso storico; se questo blocco non fosse avvenuto, credo che anche la figura della Donna avrebbe subito un forte innalzamento. In tutte le Religioni, Cristianesimo, Ebraismo, Islam, credo un po’ anche in quelle Orientali, c’è una preponderanza maschile assoluta. Parlando per la mia Religione, non ci sarà mai un superamento della crisi attuale se non partiremo da una visione diversa della Donna all’interno della Chiesa. La situazione mi fa comunque molto soffrire, la trovo sbagliata.»
Nelle prossime domande, vorrei fare riferimento a temi anche di più ampio respiro, strettamente collegati alle vicende storico-politico-sociali dei tempi attuali. La prima riguarda le guerre di religione. Una delle tante interpretazioni che sono state date dell’episodio del “Sacrificio di Isacco” lo configura esattamente come un messaggio divino atto a scongiurare in modo definitivo i conflitti tra gli uomini nel nome di Dio. La Chiesa tuttavia ancora oggi viene giudicata a riguardo troppo remissiva e passiva, ben lontana da concrete prese di posizione. Qual è la tua personale visione sul tema? «Io penso che l’idea di Dio sia fragile, per questo gli uomini la possono in qualche modo gestire. Credo che quasi ogni guerra abbia avuto un vestito religioso, ma che quasi nessuna guerra abbia avuto un cuore religioso. La Religione è un elemento accattivante, è un collante forte. Anche nella Bibbia Dio è artefice di molte guerre. In alcune pagine, nel Libro dei Giudici come nell’episodio dell’uscita dall’Egitto, sembra forte la sua belligeranza. Io credo siano comunque sempre letture umane degli eventi storici; tant’è che anche nella Tradizione biblica c’è la sensazione di aver spinto Dio in ruoli non propri, come quello di capo di un esercito. La Chiesa ha molte visioni, ma l’episodio di Dio sulla Croce uccide qualunque possibilità di guerra. A me sembra che anche Gesù abbia avuto sempre un’intenzione di difesa morale dei deboli, arrabbiandosi solo nei momenti in cui era necessario difenderli. Sul punto resto incerto, ma l’idea dell’attaccare per difendersi sicuramente non è evangelica. E’ un argomento difficile, ma non ho dubbi che Dio sia sempre e solo stato usato quando è stato messo a capo degli eserciti. Il concetto di “Dio con Noi” è roba nazista, fascista.» (…)
La seconda e ultima parte dell’intervista sarà pubblicata a marzo