di Gemma Bui – Un’altra domanda riguarda l’Ateismo. Oggi un’obiezione molto diffusa è che la visione di un Dio onnipotente e misericordioso non sia coerente con l’esistenza dei mali del Mondo: guerre, malattie, ingiustizie. Ma come abbiamo già detto, quest’idea di perfezione divina è in realtà distante dallo stretto dato letterario che ci offre la Bibbia. Secondo te è possibile colmare questo divario tra Fede e Ateismo, basandosi su un dibattito quanto più possibile aperto e libero da pregiudizi? Il problema del Male è una delle domande che hanno fatto nascere la Bibbia, ma che in essa non ha tuttavia mai trovato risposta. La trova nella Teologia degli uomini di Chiesa. La vecchia classica domanda della Teologia, “Unde Malum?” (“Da dove il Male, se Dio è unico?” [Trad.]) è sempre stata presente, da Sant’Agostino in poi, e in particolare da San Tommaso, che mette in discussione l’esistenza stessa di Dio proprio in virtù dell’esistenza del Male. Nel Secondo Dopoguerra, il Filosofo ebreo Hans Jonas sostiene che, se si afferma che Dio è onnipotente, onnisciente e buono, allora i tre aggettivi non possono coesistere tutti assieme: se Dio è onnipotente e onnisciente non può essere buono; se è onnisciente e buono non può essere onnipotente; se è onnipotente e buono non è onnisciente. In realtà già nel Libro di Giobbe e nel Qoelet non si capisce il perché del Male: quando Giobbe dice “Perché la mia vita è andata così? Ero perfetto, ho perso tutto: figli, salute, sono rimasto solo. Perché, Dio, mi hai trattato così?”, Dio non gli risponde. Per me la Fede resta comunque un salto nel buio, riguardo il Male, come la stessa Morte. Un Rabbino americano, Harold Kushner, dice che nella Bibbia la domanda non è “Perché il Male?”, ma “Come possiamo, nonostante il Male, vivere una vita di Fede e Amore?”. Bisogna cambiare la domanda, perché al Male non c’è risposta. Ciò che ai miei occhi salva Dio è il fatto che suo Figlio muoia sulla Croce, abbandonato, rifiutato, tradito, come un disperato, un delinquente. Comunque è di certo un tema più grande di noi.
Oggi la Chiesa è pressoché l’unica istituzione a essere legittimata a fornire un’interpretazione “autentica” della Bibbia. Attenendoci però al dato strettamente testuale, riguardo i temi sociali moderni di maggior “stigma” (penso all’aborto, ai diritti LGBTQI+, all’eutanasia, alla maternità surrogata e altri; alcuni sicuramente troppo moderni per essere anche solo pensabili allora), cosa ci dice realmente ed effettivamente la Bibbia? E’ giusto che un testo redatto 2500/3000 anni fa ca. sia ancora applicabile all’indubbiamente mutata realtà di oggi? Si potrebbe pensare a una declinazione moderna della Bibbia, e come? Questo sarebbe comunque coerente coi princìpi della Chiesa? Mi sembra che il problema sia che anche la Bibbia, come tutte le Religioni e forse anche le Filosofie, abbia paura del sesso. Il sesso è una molla di Vita che non può essere messa sotto controllo, per questo ci fa paura. Nella Bibbia alcune categorie vengono trattate in maniera terribile: gli eunuchi, i figli delle situazioni irregolari, gli stranieri. Nel Deuteronomio si dice che nemmeno alla decima generazione potranno essere accolti nel Regno di Dio. Gli eunuchi ovviamente non sono gli omosessuali, ma sono considerati nella Bibbia come il peggio del peggio, l’ultimo gradino della piramide. Il Libro di Isaia dice tuttavia che eunuchi e stranieri saranno i primi a essere ospitati nel Regno di Dio. Quindi chi ha ragione? C’è un cammino aperto; a mio parere le scelte morali sono fatti che ineriscono l’individualità e la sfera privata di ognuno. Nella Bibbia – questo l’ho capito anche grazie al mio background di derivazione ebraica – più che l’ortodossia, conta l’ortoprassi: non tanto il pensare giusto, ma il fare giusto. L’unico distinguo è che tu ami o meno il tuo prossimo. Il tuo orientamento sono fatti tuoi. C’è poi chi obietta mettendo in gioco la Natura: ma l’omosessualità esiste in Natura, così come il cambio di genere e tanti altri fenomeni. La Natura è complessità; la stessa cosa deve valere per gli umani. Alcuni aspetti della Bibbia fanno peraltro capire che siamo liberi di fare ciò che vogliamo, l’importante è essere indirizzati verso una Legge di Amore. Che senso ha non benedire le nozze tra persone dello stesso sesso? Dev’essere l’Amore a dare forza alla benedizione, non il contrario, perché l’Amore è la forza più grande, non necessita di essere gratificata da una benedizione. Bisogna solo aiutare le persone ad essere in pace con sé stesse e con gli altri, poi il come ci arrivano è affar loro. Trovo il Mondo di oggi molto complicato, sono angosciato da certe posizioni che sento prendere. Non capisco l’ignoranza di chi pensa che le nostre forme occidentali di Matrimonio o Famiglia siano le forme di Dio. Basta semplicemente spostarsi in altre aree del Mondo per incontrare altre forme di Famiglia. E anche Abramo e Sara, secondo la ricostruzione data nel Libro, a un certo punto addirittura si separano. Sul punto, poi, non comprendo neanche la netta frattura tra Religione e Scienza.
La Bibbia alterna e/o fa coesistere momenti di cieca violenza e altri di assoluta misericordia, quasi che l’una non potesse esistere né dirsi pensabile senza l’altra. Come sarebbe possibile allora spiegare l’esistenza stessa e il ruolo della violenza, rendendolo quindi in qualche modo “giustificabile”, in un’ottica di lettura moderna dei Testi Sacri? La Bibbia guarda la vita, e nella vita c’è violenza. La violenza non nasce dalla Bibbia, essa legge solo ciò che c’è nel Mondo. Ho paura quando questa violenza viene usata per insegnare altra violenza. Una delle chiavi di lettura più importanti per me è legata alla violenza morale; nel mondo cristiano se tocchi la Verginità di Maria succede la rivoluzione. L’idea retrostante è quella di verginità = purezza. Ma da dove è nata questa idea? Perché fare sesso, amare, magari anche generare figli, dovrebbe rappresentare impurità? La Bibbia non sceglie mai luoghi puri per manifestare Dio. Storicamente è stato ipotizzato che gli Ebrei fossero in realtà bande di briganti, pastori che vagavano per il Mondo; oggi sarebbero assimilabili alle popolazioni Rom, che vanno di città in città senza nessuno che li accetti o li voglia. Nella Bibbia la benedizione è legata alla vitalità: nell’antichità avere molti figli era importantissimo, era tutto. La visione corretta della Verginità sarebbe quindi quella della povertà che viene abitata da Dio. Insegnando la verginità come purezza facciamo violenza sugli uomini e sulle donne. Non credo che la Bibbia sia l’unica fonte; è una fonte importante, per me la più importante; ma non si può leggere la Bibbia senza leggere anche quello che di essa abbiamo capito, la corrispondente traduzione umana. La Bibbia ci accenna qualcosa, ma ha bisogno di essere completata, aiutata, integrata. In essa possiamo trovare i princìpi: il primo è, secondo me, quello di proteggere, custodire e mandare avanti la Vita. Comunque esso funzioni, deve essere incentivato e seguito. Per legarmi a un altro tema, non credo all’idea secondo cui la sofferenza gratificherebbe Dio. Come è possibile pensarlo? Non ha senso. Dio è gratificato dalla Gioia. Nel Nuovo Testamento abbiamo problemi con la traduzione dei testi originali. Nel Vangelo di Marco troviamo Gesù intento a guarire un lebbroso. Nei manoscritti più tardi si dice che facendolo “si commosse”, in quelli più antichi che “si arrabbiò”. E Dio si arrabbia perché la sofferenza fa male. Io sono contrario a tutte le forme di sofferenza. Credo che una persona sia libera di porre termine alle proprie sofferenze quando non c’è più niente da fare. Comprendo che sia anche difficile gestire una Legge. Mi piacerebbe che su questi temi delicati la gente non pensasse ai princìpi astratti, ma che si ponesse di fronte alle persone. Io ho accudito personalmente i miei genitori nei loro ultimi momenti di vita; qualunque cosa ho potuto fare contro il dolore l’ho fatta, non ho avuto scrupoli né durante né dopo. Io sono convinto che si debba proteggere la bontà della Vita, non la sofferenza.
Ricollegandomi a ciò che dicevamo prima, un tema attuale e molto dibattuto attualmente è quello della pedofilia all’interno della Chiesa. Pensi che l’imposizione dell’obbligo di castità abbia influenzato in negativo anche le persone di Chiesa, scatenando il problema? L’obbligo di castità non è un dogma di Fede, ma una Legge momentanea. L’idea di offrire anche il proprio corpo a Dio, in un dono totale, è sempre stata presente; lo era, in modo minoritario, anche nell’Ebraismo. Nella Bibbia il Primo Comandamento è “Crescete e moltiplicatevi”. Qualunque eccezione quindi, se diventa espressione massima, disattende la Bibbia. L’offerta di verginità e castità come espressione massima di Fede è un’idiozia. Creando la Vita l’Uomo si avvicina massimamente a Dio. Credo che tutto quello che è paura del sesso abbia fatto nascere questi problemi. La paura ci impedisce di aprire le porte del nostro animo e delle nostre mancanze. Ma tutto quello che è “tappato”, prima o poi è destinato a uscir fuori. Bisogna rendersi conto che il problema è sistemico. C’è da dire in primo luogo che in moltissimi casi, i pedofili accertati sono persone che hanno a loro volta subito abusi. Bisognerebbe interrogarsi su questo innanzitutto, su quegli istituti e quelle modalità che generano tale meccanismo perverso. Lo reputo un disturbo mentale serio, che tuttavia oggi nella Chiesa viene punito con la semplice e banale riduzione allo stato laicale. L’abbiamo creato noi quel mostro. Sarebbe per me importate iniziare a studiare la Psicologia e la Psicoanalisi; il problema è umano più che morale, andrebbe trattato quindi con più umanità. Ma è indubbio che nel gestirlo si debba anche essere drastici, tutelando le vittime. Quando avevo la Casa di Accoglienza mi mandarono una persona cui erano stati imputati trentasei abusi: non aveva la minima percezione del fatto che il suo comportamento fosse sbagliato, pensava che semplicemente confessandosi o sottoponendosi alle punizioni richieste dalla Confessione sarebbe stato perdonato. Non aveva bisogno di un Prete, aveva bisogno di uno Psichiatra.
Nel Libro è presente anche un tema piuttosto singolare, quello dell’ironia. Un’altra interpretazione del “Sacrificio di Isacco” pare essere infatti quella di un clamoroso equivoco insorto tra Abramo e Dio. Viene quasi spontaneo pensare agli equivoci che per secoli e ancora oggi la Religione e la Chiesa hanno ingenerato nell’Uomo, tanto dal punto di vista collettivo e “politico”, quanto privato e spirituale. Tu, oltre che a Dio, hai votato la tua vita alla Parola. Quale credi possa essere oggi il miglior uso proprio della Parola (e con essa, anche dell’Ascolto) per avvicinare l’Uomo alla Chiesa e, ancor prima, a Dio stesso (e incoraggiare quindi quel concetto di “Fede attiva” cui fai riferimento alla fine del Libro)? Tempo fa, a una conferenza, a un relatore americano venne chiesto “Se Dio oggi venisse qui e volesse dirci qualcosa, cosa ci direbbe?”. Lui rispose: “Voi non mi avete capito”. Dovendo fare un esempio, l’equivoco che abbiamo su Dio si gioca tutto sulla figura di Giovanni Battista. Giovanni Battista fraintende Gesù, riferendosi a lui come “L’ira imminente di Dio”. Quando è in carcere manda discepoli da Gesù per chiedergli “Sei tu che devi venire, o dobbiamo aspettare un altro?”. Gesù è amico dei lebbrosi e delle prostitute, e a Giovanni risponde “Questo è quello che faccio, non dovete scandalizzarvi di me”. Quindi parla con gli Angeli, dicendo loro che Giovanni è il più grande dei nati tra gli uomini, ma è il più piccolo nel Regno dei Cieli. Questo secondo me significa che Giovanni è un grande uomo, onesto, leale, integro; ma non ha capito nulla del Regno dei Cieli. Quindi non capisco perché sia diventato così importante. In molti Profeti è presente questa incomprensione verso Dio; come anche in vari scrittori. Dio non è come crediamo: anche quella Vita che non è “coerente” con i nostri schemi o princìpi, deve essere comunque custodita. Nella Chiesa spesso non abbiamo presenti gli altri schemi, ma solo i nostri, che imponiamo anche alla realtà. Sulla Parola, voglio dire che Gesù passa in silenzio trenta dei suoi trentatré anni di Vita. Forse, da Preti, a volte ci dimentichiamo che dobbiamo ascoltare e sentire le sofferenze, provare a lenire questi dolori. Oggi farlo è complicato.
Sempre sul finale del Libro, operi una dura critica riguardo la chiusura che la Chiesa ha tradizionalmente dimostrato verso i disabili. “E’ preferibile accettare un Dio che chiede di uccidere un figlio, che ripensare il pieno accesso dei disabili ai Sacramenti”, dici. Le Chiesa quindi accoglie tutti i figli e le figlie di Dio, ma così operando, di fatto li divide in categorie, controvertendo l’intenzione stessa di Dio. Come è giustificabile questo scollamento tra il messaggio divino originale e la politica potremo dire “esclusiva” (nello specifico, abilista) che la Chiesa perora da secoli? Anche quando si parla di Chiesa, un conto è la sua immagine ufficiale, un conto è la realtà, la concretezza della Chiesa. Nella realtà della Chiesa le disabilità sono a casa, essa è molto sensibile al tema. Lo è sempre stata: pensiamo a Ospedali, Istituti, Misericordie, Cottolengo, Orfanotrofi. La realtà della Chiesa è molto più forte della sua ufficialità; ma l’ufficialità, che detiene il potere, la forza e l’immagine della Chiesa, si discosta dalla situazione; non è tanto contraria, quanto disattenta, passiva. Tuttavia, oggi come in passato, c’è un’attenzione reale alla questione. Io soffro questo divario interno alla Chiesa. La Chiesa ufficiale segue le vie del potere, della forza; ma la vera Chiesa è molto più grande di così: siamo presenti nel mondo delle debolezze e delle fragilità, fortunatamente senza averne l’esclusiva (qui fa riferimento ai Servizi di Assistenza Sanitaria e Sociale – NdA).
Don Gianni, alla luce di ciò che abbiamo detto, possiamo quindi ammettere e accettare di essere tutti “figli e figlie imperfetti»? Certo. “Perfetto” (in ebraico “tamim”) è tradotto anche nel Vangelo, quando Gesù dice, nel Discorso della Montagna, “Siate tutti perfetti, come perfetto è il Padre vostro”. “Tamim” in realtà vuol dire “integro”, significa “Sii tutto quello che sei”, non “perfetto”. Anche le nostre debolezze e le nostre paure devono quindi essere accolte. La perfezione dell’Uomo è imperfezione: per assurdo, qualunque cosa tu togli dall’imperfezione, quella non ti rende più perfetto. Se ci fosse, teoricamente, una persona perfetta, non sarebbe perfetta comunque: per essere perfetto devi essere imperfetto. Nell’Ebraismo, tutti i maschi all’ottavo giorno devono essere circoncisi, proprio lì dove per loro risiedono l’orgoglio e la forza più grande. A quel punto si diventa adatti alla vita: perché si ha una ferita. Senza di essa saremmo perfetti, ma non lo siamo. Il dinamismo è però oggi rovesciato: noi abbiamo paura della nostra imperfezione, di tutto ciò che non possiamo controllare. Ed è da lì che nascono forse tutti i problemi.