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giovedì, 26 Dicembre 2024

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Il medico preferito dagli italiani? Dr. Google…

di Denise Pantuso – Questo articolo prende ispirazione da una situazione che accade sempre più spesso durante le richieste di una visita psicologica. Oramai è chiaro come la nostra psiche subisce dei cambiamenti per effetto delle consuetudini sociali e queste che stiamo attraversando, essendo nuove per tutti, richiedono una maggiore attenzione agli effetti che producono.

Mi riferisco in particolare all’uso dei motori di ricerca e alla divulgazione di testi semplici. È sempre più frequente che le persone giungano ad un colloquio presentandosi così: «Dottoressa ho un disturbo somatoforme», oppure «Ho la depersonalizzazione», o ancora «Soffro di attacchi di panico», «Sono in una relazione tossica», etc. etc.

A seguito di questo mi dicono che la diagnosi è stata fatta “googolando” nei vari siti internet di professionisti del mondo “psi” e non. L’autodiagnosi è spesso associata alla ricerca della “cura giusta”, quando non “la migliore” fino ad arrivare “all’unica cura” possibile. Di seguito le persone si mettono alla ricerca, sempre su google, dello specialista migliore, il più formato, quello che anche il logaritmo di google mette tra le prime pagine come esperto.

Tutto questo giro di cose mi ha fatto riflettere come il passaggio alla corretta diagnosi e alla corretta cura, debba subire un percorso che sembra una scalata che incontra informazioni devianti. Infatti il primo cavillo da individuare sono i logaritmi che, per esperienza personale, sono tarati sulle domande e sulle risposte più cliccate dagli utenti, nonché da quanto si paga per comparire tra i primi nomi dei motori di ricerca.

Quando ricevo telefonate dalle compagnie che promuovono un miglior marketing comunicativo su internet mi fanno un elenco di parole chiave frutto dell’analisi dei bisogni. Con ciò intendo dire che mi dicono quali sono le parole più ricercate e le soluzioni più apprezzate dagli utenti su internet.

Anche la psicologia è usata come merce da vendere e le risposte che le persone trovano su internet sono fatte per attrarre clienti. Questa cosa dirla mi procura un certo imbarazzo se penso che la necessità psicologica rientra dentro ad una logica di mercato che si inserisce riducendo il dolore anch’esso ad un algoritmo, rendendolo quindi merce. Oramai tanti testi di critica sono stati scritti, quello che ho apprezzato di più nelle mie letture è “Le persone e le cose” di Roberto Esposito.

Ora questo googolare pone un po’ di riflessioni dentro me. La prima è la costatazione che oggi c’è un aumento della necessità di affidarsi momento per momento a qualcuno che ci dica cosa succede, ovvero che nomini una serie di esperienze verso le quali le persone sembrano non aver più padronanza o una minima tolleranza. Non si può non sapere e non capire, bisogna chiedere subito spiegazione a qualcuno: Google.

C’è quindi una sorta di plus-sapere, parafrasando Lacan, il quale ci dice che c’è un plus dentro l’essere umano che compare come elemento distruttivo di cui si gode. Il sapere oggi sembra quindi non più conoscenza ma plus-sapere. Infatti questa poca padronanza di sé di fronte al malessere, la poca tolleranza al non sapere generano un accesso ad internet, ma anche alla lettura sempre maggiore di testi semplici, quando non semplicistici di psicologia, che fanno sì che le persone acquisiscano un sapere su di sé che rende poi un po’ confuso e diffidente l’incontro con un professionista.

Infatti oggi i vari siti, o i testi del divulgatore di turno, sembrano essere diventati il vero elemento diagnostico, la retta via che rende scettica poi l’eventuale diagnosi e l’iter di cura proposto da un professionista. Questo discorso non vale solo per la diagnosi ma anche per la nuova e contemporanea domanda di un “percorso di conoscenza di sé”.

Sulla scia di questo punto mi sono andata a guardare la descrizione che viene fatta su internet da alcuni siti e, seppur riconoscendo in alcuni una buona spiegazione dei fatti psicologici, credo che un lettore bisognoso di risposte possa scivolare in un punto non poco importante: come si costruisce il sapere su di sé come soggetto psichico? Come si costruisce sul sintomo? Come si capisce chi sono io?

Quello che sta succedendo alla psicologia è quello che forse lo si vede più chiaro in ambito medico. Ho un sintomo fisico, lo cerco su internet, escono fuori sei diagnosi, il soggetto si lega solitamente alla più grave. Per cui se tra le sei voci c’è “tumore” il soggetto inizia a vivere sentimenti di angoscia perché inizia a dirsi «E se fosse un tumore?». Così come, laddove si verifica la diagnosi di tumore al seno, i soggetti vanno su internet e iniziano a vedere le statistiche di mortalità, recidiva attribuibile a quel tumore.

Questo modo di fare è sempre più frequente lasciando però un’angoscia che trovo pericolosa nel rapporto con i professionisti i quali sono soliti fare diagnosi su una serie di processi mentali e scientifici, su una serie di costrutti di riferimento figli di uno studio accurato e revisionato che non sono minimamente menzionati da google. Cioè Google, pace all’anima sua, non istruisce in nessun modo sulla costruzione di una diagnosi, della relativa cura e del processo di guarigione.

Costruzione e processo sono le parole chiave che definiscono più correttamente quanto sta succedendo ad una persona. Non presentare i fattori epistemici ed ontologici di una disciplina, così come non definire i processi di diagnosi, cura e guarigione significa usare un linguaggio narrativo suggestivo e approssimativo.

Dott.ssa Denise Pantuso Psicologa e psicoterapeuta individuo, coppia e famiglia www.denisepantuso.it – tel. 393.4079178

(Rubrica ESSERE L’Equilibrio tra Benessere, Salute e Società)

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