di Fabio Bertelli – La fiaba è un racconto fantastico, solitamente di origine popolare. La storia che andremo a raccontare, per quanto possa avvicinarsi a questo genere letterario, non è tuttavia frutto della penna di Perrault o dei fratelli Grimm, ma riguarda l’incredibile vicenda che ha vissuto Danilo Tassini.
Il racconto narra di un bambino, Danilo, e del calcio di altri tempi, quello che metteva le persone a contatto diretto con calciatori ed allenatori, quello che permetteva a milioni di bambini di sognare ad occhi aperti. Danilo oggi ha 75 anni e vive a Bibbiena. Laureatosi in scienze naturali, ha dedicato la sua vita all’insegnamento (ben 38 anni) senza disinteressarsi di una sua grande passione: la storia locale, in particolare quella di Camaldoli e di Moggiona. Noi lo abbiamo incontrato e ci siamo fatti narrare i particolari di una straordinaria storia.
Ci racconta come si sono svolte le vicende? «Era l’agosto del 1957 quando a Camaldoli, dove abitavo, arrivò la Fiorentina in ritiro precampionato per ossigenarsi al fresco della foresta. La notizia ebbe un notevole clamore, tanto che appassionati da tutta la vallata raggiungevano Camaldoli ogni giorno in gran numero. Tra l’altro è giusto sottolineare che la Fiorentina di quel tempo non era composta dagli ultimi arrivati. L’anno precedente aveva vinto il campionato ed era stata la prima squadra italiana a raggiungere la finale della tanto agognata Coppa dei Campioni. Avevo nove anni ed ero emozionato da tale eccezionale evento. Fu proprio in uno di quei giorni che, mentre stavo giocando con una palla gialla che mi era stata regalata, mi si avvicinarono dei giocatori della Fiorentina per chiedermi se potessi prestargliela. Loro erano giunti senza palloni, in quanto il ritiro doveva servire più che altro a mettere benzina nelle gambe. Il caso volle che, giocando nel bosco, la palla si bucò, forse per colpa dei ricci del castagneto. I giocatori, spiaciuti dall’avvenimento, mortificati, mi promisero che mi avrebbero fatto recapitare un pallone con tutte le loro firme. Tuttavia, passavano gli anni, ma questo pallone non arrivava, ed io, sinceramente, avevo perso definitivamente le speranze. Tutto ciò sino all’estate scorsa quando mi sono visto recapitare da una signora, della quale purtroppo non conosco il nome, quel pallone che da bambino mi era stato promesso. È stato un gesto assolutamente inaspettato, che mi ha fatto molto piacere. Colgo l’occasione proprio per ringraziare la Fiorentina per questo bellissimo gesto».
Come è stato possibile questo dopo ben 66 anni? «Ciò che ha permesso tale accadimento è strettamente legato alla mia fede calcistica. Vi spiego brevemente. Da bambino scelsi per quale squadra fare il tifo. Considerando anche che ero rimasto amareggiato per il pallone, il mio cuore andò verso Roma, sponda Lazio. Da qui ho alimentato negli anni la mia passione per la squadra biancoceleste e ho coinvolto i miei familiari, in particolare mio nipote Maurizio e mio figlio Massimo. Proprio Maurizio ha giocato un ruolo particolarmente importante nello svolgersi di questa storia. Egli è attualmente il gestore dell’Albergo Ristorante Bar Tassini, storico locale di Camaldoli aperto da mio padre e da mia madre nel 1932 e gestito negli anni dalla famiglia Tassini (Maurizio fa parte della III generazione). Maurizio, innamorato, forse anche più di me, della squadra romana, ha deciso di esporne sciarpe e gagliardetti all’interno del bar. Non essendo prassi comune perqualcuno della nostra vallata tifare Lazio, molto spesso gli viene rivolta la domanda sul perché di tale scelta. Ecco che Maurizio è solito raccontare la storia che mi riguarda. La svolta è avvenuta quest’estate quando mio nipote ha narrato le mie vicende ad una signora, che rimase particolarmente colpita, tanto da raccontare tutto al marito. Questo, facendo parte dell’ambiente della Fiorentina si è sentito in dovere di rimediare e ha deciso di fare un gesto inaspettato, quello di cui vi ho parlato precedentemente. Dunque, se tutto ciò è stato possibile, un grande plauso va a mio nipote che con la sua tenacia ha raccontato questa storia a tante persone».
Di tutto ciò, cosa è che l’ha colpita maggiormente? «Sicuramente ho apprezzato il gesto della Fiorentina, che si è dimostrata una società seria e impegnata a dare un’immagine positiva di se stessa. Un altro punto che mi ha colpito è stato il clamore che questa storia ha generato nei media. All’improvviso questo racconto ha avuto un boom incredibile, tanto da essere raccontato in varie trasmissioni radiofoniche e televisive, fino a comparire al TG Studio Aperto di Italia Uno. Penso che probabilmente questo sia anche dovuto al periodo pesante e stressante che noi tutti stiamo vivendo. Notizie come questa possono alleviare, almeno per un momento, i pensieri di tutti noi e farci fare un sorriso».
Nel concludere questa piacevole chiacchierata, le vorrei chiedere che significato ha avuto, ed ha tutt’ora, il calcio nella sua vita. «Il calcio ha rappresentato una parte fondamentale della mia vita giovanile. Un bambino che cresce in un posto isolato come Camaldoli trova nel pallone un fedele compagno di gioco che lo accompagna nella crescita. Ho coltivato la mia passione per questo sport, giocando nel Soci e in altre squadre del Casentino. Quello che il calcio mi ha dato è stato veramente importante. Giocare in una squadra significa anche trovare dei compagni di vita, con i quali condividere le proprie esperienze. Per quanto riguarda il rapporto attuale, continuo ad essere un grande appassionato di questo sport e della Lazio. Questa vicenda, per quanto incredibile e straordinaria, non mi ha tuttavia fatto cambiare fede, anche se colgo nuovamente l’occasione per ringraziare la società viola del gesto». Ringraziando Danilo per la sua cordialità e disponibilità, non ci resta che chiudere gli occhi e sognare, proprio come un bambino di fronte ad una fiaba.