di Lara Vannini – Se nel 1500 il mondo non fosse stato a suo modo interconnesso oggi il pomodoro non sarebbe l’ingrediente base di ogni nostra ricetta. Longevo nelle origini, versatile nell’utilizzo, il “pomo d’oro” fu una pianta studiata fin da subito per la propria bellezza ornamentale, per i grappoli ricadenti carichi di succosi frutti rossi, per gli usi medicamentosi.
Non sempre il pomodoro è stato chiamato con questo sostantivo, si dice che una volta giunto in Europa venisse chiamato “Tomati”, una storpiatura dall’inglese della parola atzeca “xitomatl”, una pianta che colpì talmente tanto il re Sole da utilizzarla per abbellire i giardini di Versailles. In seguito il medico e botanico senese Pietro Andrea Mattioli, decise di rinominare il Tomati chiamandolo “pomo d’oro”, un pomo afrodisiaco che fu ampiamente usato in preparazioni alchemiche.
Successivamente la pianta di pomodoro si diffuse in tutta la penisola per le proprie qualità culinarie anche perché essendo un frutto facilmente coltivabile ed economico divenne ben presto il piatto forte delle cucine popolane.
A fine ‘800, la pizza Margherita, in onore della regina Margherita di Savoia, fece diventare il pomodoro emblema della bandiera tricolore italiana: verde per il Basilico, bianco per la mozzarella e rosso per il pomodoro.
Raccolta e preparazione Nel mondo contadino il pomodoro è sempre stato un alimento versatile e indispensabile. Gustato a conserva sul pane con un filo d’olio, essiccato al sole per un uso invernale, come passata o a crudo in insalata, questo alimento era un bene di prim’ordine nella dispensa dei nostri nonni, perché poteva essere conservato tutto l’anno e, grazie al sottovuoto, rappresentare una preziosissima risorsa in tempi di carestia e durante i rigori invernali. La lavorazione del pomodoro, come per qualsiasi attività stagionale del mondo contadino, aveva i suoi riti che partivano dalla raccolta e prima ancora dalla conservazione del seme. Era infatti abitudine per la stagione successiva, conservare i semi dei pomodori più belli, metterli ad asciugare in un luogo soleggiato e conservarli per la semina del successivo anno.
Come sempre e a maggior ragione nella stagione estiva, la sveglia era puntata di buon mattino. La raccolta dei pomodori utilizzati per fare la passata avveniva circa a metà agosto, generalmente il periodo più intenso di maturazione. I contadini muniti di cassette e ceste iniziavano a raccogliere i pomodori più maturi e via via gli altri, organizzandosi con traini di vario tipo per poter raggiungere agevolmente il luogo di lavoro.
Prima di iniziare con la lavorazione del pomodoro, quest’ultimo veniva fatto un po’ appassire al sole e sistemato per terra per poter eventualmente eliminare gli scarti, i frutti spaccati o quelli poco maturi. Venivano poi staccati i piccioli e nel frattempo preparati tutti gli utensili indispensabili per la lavorazione.
La passata di pomodoro Prima di essere cotti, i pomodori venivano accuratamente lavati e asciugati. Una volta pronti, si procedeva con il taglio a pezzetti di medie dimensioni e infine venivano cotti all’interno di un calderone posizionato sopra un fornello o in tempi ancora più remoti sopra un braciere in una zona ampia e aperta. In genere le donne di casa si dividevano i compiti ed ognuna era preposta a “badare” ad una o più faccende. I quantitativi degli ingredienti non venivano mai scritti ma si tramandavano di generazione in generazione. Era il “saper fare” che rendeva il pomodoro saporito e dal gusto irresistibile. Nel corso della bollitura si diceva che il pomodoro fosse pronto quando la polpa lasciava la buccia.
In alcuni casi prima di essere passato il pomodoro veniva “colato” tramite teli di lino per togliere l’acqua in eccesso. Per fare questo veniva rovesciata una sedia a terra e legato un telo di lino alle 4 gambe in modo tale che non toccasse terra. Vi veniva poi versato il pomodoro che per gravità rilasciava piano piano l’acqua in eccesso. Quando dal tessuto si intravedeva la polpa la colatura era finita. A questo punto, il pomodoro veniva passato con un passino o un’apposita macchinetta per togliere i semi e la buccia di scarto. Il passino di un tempo era di forma rettangolare con 4 manici alle estremità e al centro era costituito da una griglia di metallo forata da cui passava solo la polpa di pomodoro. Per accelerare il processo la polpa di pomodoro veniva anche strizzata con le mani.
In tempi più recenti, si utilizzava una macchinetta manuale a manovella. Il pomodoro veniva schiacciato con un mestolo all’interno di un imbuto posizionato sul collo della macchinetta. Essa veniva azionata grazie ad una manovella e il pomodoro passato aveva due destinazioni: da una parte c’era il foro per la raccolta della polpa, da un’altra parte uscivano gli scarti ovvero le bucce e i semi.
Al termine della procedura il pomodoro veniva imbottigliato in bottiglie di vetro oppure un tempo nelle bottiglie lavate della birra. Era un processo lungo e laborioso che necessitava di molte ore e grande volontà. Per garantire il sottovuoto, le bottiglie riempite potevano essere bollite nel calderone una seconda volta. Sul fondo del calderone veniva messo uno straccio e poi ogni singola bottiglia era avvolta da carta di giornale per limitare i danni degli urti.
Una volta imbottigliata la passata ancora calda veniva messa in un recipiente e avvolta da delle coperte di lana. Oggi la passata di pomodoro è chiamata indifferentemente pomarola o conserva ma in realtà questi due termini non descrivono la stessa cosa. Chi è un cultore di Pellegrino Artusi, avrà sicuramente letto nella descrizione di numerose sue ricette la dicitura “bagnate con sugo di pomodoro o conserva”, perché dobbiamo proprio al vocabolario Ottocentesco dell’Accademia della Crusca, la dicitura “conserva” dedicata al pomodoro.
Ma quali differenze esistono tra la pomarola e la conserva di pomodoro? La conserva a differenza della pomarola è un concentrato di pomodoro a cui viene tolta la parte acquosa. Alla fine del processo la conserva è nuovamente messa in forno o al sole per togliere ulteriormente l’umidità. La consistenza deve essere molto densa. Un tempo per preservare la conserva era uso comune cuocerla in tegami di coccio, e addizionarla con acido acetilsalicilico. Se con il trascorrere dei mesi iniziava a presentare della muffa superficiale poteva essere tolta senza danno al contenuto.
Il pomodoro è stato un frutto talmente amato nello scorrere dei secoli da diventare spesso protagonista di racconti e versi poetici come ci mostra il noto letterato Pablo Neruda: “Nel mezzo dell’estate, il pomodoro, astro della terra […] ci offre il dono del suo colore focoso, e la totalità della sua freschezza”.