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venerdì, 18 Ottobre 2024

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Il Vin Santo

di Marco Roselli – Il Casentino è stato, è attualmente e sarà in futuro, sempre di più terra di vigneti, vino e Vin Santo. In questo mensile abbiamo già trattato della viticoltura in Casentino, una coltivazione di cui si trovano notizie fin dall’alto medioevo. Da che si ha nozione della vinificazione nel territorio si hanno notizie sul vin Santo locale che molti vignaioli continuano a produrre con passione. Ovviamente, nelle zone attualmente più vitate della nostra provincia, da Subbiano-Capolona fino alla Val di Chiana e in Valdarno, il Vin Santo assume una importanza maggiore. Tuttavia, anche in Valtiberina vi sono cantine che realizzano vini di grande pregio e Vin Santi particolarmente aromatizzati. Il Vin Santo è quindi un prodotto di pregio del nostro territorio provinciale.

Origini L’origine del “Vin Santo” si perde nella leggenda. Fu menzionato per la prima volta agli inizi del Cristianesimo, probabilmente in riferimento ad un vino utilizzato durante la celebrazione della messa. Secondo una leggenda, nel 1348 (anno in cui si diffuse la peste) un frate domenicano utilizzava l’antenato di questo vino per alleviare i dolori ai malati. Questa è ritenuta una delle ragioni per le quali quel nettare veniva ritenuto miracoloso, e di conseguenza “Santo”. Altre persone ritengono invece che l’origine della parola debba essere associata al ciclo di produzione di questo vino che è da sempre intrecciato e scandito con le maggiori festività del calendario liturgico cristiano. Qualunque sia l’origine è certamente legata alla volontà di conservare le uve per realizzare un vino che si potesse bere dopo anni di maturazione; per poterlo ottenere si dovevano mettere in pratica tecniche sapienti.

La “D.O.C.” Il Vin Santo del Chianti è dal 1996 un vino a Denominazione di Origine Controllata generalmente prodotto a partire da uve bianche e talvolta rosse, appassite attraverso un delicato processo naturale di disidratazione ed una lunga maturazione in botti di legno. Secondo il disciplinare del Chianti deve invecchiare per almeno 3 anni in piccole botti di legno, spesso di variegate essenze, localmente chiamate “caratelli”, dove fermenta con numerosi cicli stagionali ed affina contemporaneamente. Nella versione “Riserva”, questo procedimento di elevazione deve durare almeno 4 anni.

Le uve Tradizionalmente il Trebbiano Toscano e la Malvasia del Chianti (nella foto), sono le uve bianche autoctone più utilizzate e considerate adatte per alla sua produzione. Per legge, nell’ambito della DOC, queste devono raggiungere – unitamente o individualmente – almeno il 70% del blend. Talvolta vengono assemblate con altre uve locali quali il San Colombano o il Canaiolo bianco, o lo stesso Sangiovese, che non può comunque superare il 30% nella versione classica. Laddove invece il blend superi almeno il 50% di presenza di uva Sangiovese si può denominare il prodotto come “Vin Santo Occhio di Pernice d.o.c.”

La vendemmia La vendemmia è effettuata nella maggior parte dei casi con grappoli scelti, ottenendo già una selezione preliminare; solo per una bassa percentuale l’uva è raccolta tardivamente. Non tutte le uve si prestano a questa destinazione; meglio vi si adattano quelle con grappoli spargoli e a buccia spessa, questo perché così gli acini possono essere appassiti senza che marciscano. Ovviamente anche il terreno, l’esposizione e il sistema di allevamento, per dirla alla francese il “terroir”, incidono sui caratteri di serbevolezza del prodotto finale. Le uve provenienti da terreni troppo fertili e freschi si conservano meno bene, perché troppo ricche di sostanze azotate. Le migliori sono quelle provenienti da terreni secchi, ventilati, con una buona esposizione, raccolte da tralci con sviluppo fogliare modesto e cresciute non troppo vicino a terra.

L’appassimento Dopo un’attenta selezione dei grappoli in pianta, i cosiddetti “scelti”, l’uva viene raccolta manualmente in piccole cassette e trasportata nella “Vinsantaia”, un luogo chiuso dell’azienda che solitamente è ben posizionato e ventilato. Questo spazio corrisponde tradizionalmente al sottotetto, nelle stanze adibite per secoli allo stoccaggio di alcuni materiali e cibo essiccato, assieme alle cantine sotterranee. Il metodo tradizionalmente impiegato in Toscana e un po’ ovunque nel nostro paese, è ancora legato all’utilizzo dell’appassitoio, quella stanza nella quale si porta l’uva ad appassire sistemandola su stuoie o in cassette di legno le quali permettono all’uva la perdita di acqua.

L’appassitoio deve essere un locale molto sano, ben esposto e molto ventilato, con temperature di circa 10°C-15°C. Nella preparazione del Vin Santo toscano il metodo classico e più comune è quello di rinnovare l’aria molto spesso collocando i grappoli scelti su graticci di canne. Sui cannicci, i grappoli devono essere disposti su un solo strato e meglio se fra un grappolo e l’altro rimane un po’ di spazio libero per la circolazione dell’aria. Questi particolari luoghi sono naturalmente sensibili agli elementi esterni, in particolare agli sbalzi termici ed all’aria, che il produttore lascia sapientemente entrare aprendo le finestre nei momenti opportuni.

Questi locali sono perciò piuttosto asciutti e riflettono molto le temperature esterne, siano esse calde o fredde. Sia che si adotti la tecnica di lasciare distese le uve su “cannicci” oppure di appenderle a dei sostegni i punti fondamentali per un buon risultato sono la circolazione dell’aria intorno ai grappoli e dunque con appropriata distanza tra gli stessi. Questa lenta e delicata disidratazione, che inizia nel mese di settembre, può durare dai 3 ai 6 mesi. Durante questi mesi il produttore si premura dell’evoluzione dei grappoli, avendo attenzione di eliminare quelli eventualmente ammuffiti o con elementi estranei, scattivandoli oppure rovesciandoli.

I fattori che determinano un periodo più o meno lungo sono diversi: -stato sanitario dell’uva alla raccolta, con particolare riguardo allo spessore e resistenza della sua buccia; -grado di calore e ventilazione degli appassitoi; -modalità di sistemazione dell’uva nell’appassitoio (cannicci, penzane, casse, ecc.); -andamento stagionale; -tipo di Vin Santo che si vuole ottenere (secco, semisecco, dolce). Per ottenere 1 kg di uva appassita da Vin Santo occorrono almeno 3 kg di uva fresca e i cali variano secondo le annate e la relativa composizione dell’uva.

Lavorazione del mosto Una volta terminato l’appassimento, i grappoli vengono accuratamente ispezionati affinché non rimangano frammenti di raspo, chicchi rotti o ammuffiti, polvere e impurità in genere, e infine spremuti con delicatezza. Quando la percentuale zuccherina ha raggiunto tassi soddisfacenti (30%-40% per i Vinsanti dolci, e 25%-28% per i Vinsanti secchi) e le percentuali di acqua hanno subito una sensibile diminuzione, i grappoli vengono avviati al processo di ammostamento. L’uva così concentrata, passa alla pressatura previa un’attenta selezione che consiste nel separare i grappoli marciti, oppure troppo carichi di muffe non buone (es. peronospora), quelli immaturi e quelli vuotati dagli insetti.

Buona pratica è mantenere questo mosto carico di feccia e di vinaccia per 3-4 giorni ad una temperatura di 20-22°C allontanando successivamente il mosto e pressando la vinaccia. Qualora si impieghino i tradizionali torchi, nel caso di piccole quantità di uva, bisogna non andare mai oltre una certa pressione (al massimo 1,5 atmosfere) e poi lasciare sgrondare molto il mosto. In questo modo si producono minori quantità di feccia. Ottenuto il mosto, inizia la fase di fermentazione nel caratello.

Vinificazione ed invecchiamento Dopo una parziale decantazione, il mosto viene introdotto nei già menzionati caratelli, solitamente collocati nel medesimo ambiente di appassimento. Questi piccoli e particolari fusti di legno hanno sovente caratteristiche singolari: di piccola capacità (tra i 50, 70, 100 litri, più raramente 200), sono spesso molto vecchi (non di rado centenari) e sono composti da essenze oggi inusuali quali il castagno, il ciliegio, l’acacia, il gelso e solo in piccola parte la rovere. I caratelli vengono colmati lasciando una misura di aria all’estremità e sigillati spesso con cemento. In considerazione dell’alta concentrazione di zuccheri nel mosto, i lieviti che abitano sia i barili che l’ambiente della Vinsantaia, iniziano a consumarli lentamente nei freddi dell’inverno, generando dunque la fermentazione alcolica. Ecco dunque che si rivelano decisive le condizioni atmosferiche esterne, nell’evoluzione del Vin Santo: il freddo rallenterà le fermentazioni, il caldo invece le risveglierà fino al tumulto.

Il vino accompagna così il corso delle stagioni per anni, come in un immaginaria lunghissima danza. Questo processo è marcato anche da un fattore altrettanto rilevante di ossidazione, in quanto, le piccole botti, in ambienti ventilati e con il naturale invecchiamento tendono a ritirare le loro doghe. Questo fenomeno permette all’aria di penetrare ossigenando il vino all’interno condizionandone ulteriormente l’evoluzione. Naturalmente l’utilizzo stesso dei caratelli è determinante nel donare speciali attributi al Vin Santo: ogni botte, di fatto, è unica ed ha un sistema di fermentazione proprio. Il Vin Santo viene tenuto nei caratelli per un minimo di 3 anni, periodo durante il quale avviene sia la fermentazione alcolica (specialmente in primavera ed autunno quando le temperature favoriscono i fermenti produttori di alcol) sia altre fermentazioni condotte da diversi tipi di batteri e muffe, le quali conferiscono al Vin Santo sostanze importanti per l’acquisizione di determinanti sapori ed aromi.

Conclusioni Il Vin Santo non è solo un prodotto della tradizione ma anche un elemento caratterizzante i territori toscani. Molte sono le cantine che offrono degustazioni dei propri vini con notevole successo di pubblico e il Vin Santo resta protagonista di questi eventi e della tavola delle famiglie, accompagnando il fine pasto con i famosi cantucci ma anche con formaggi, frutta secca e altre pietanze (altrettanto famoso è l’uso di bagnare i crostini “neri” con il Vin Santo). Tuttavia è un prodotto che va fatto conoscere anche ad un pubblico più giovane: nella giusta misura può rallegrare una serata quanto e più di uno Spritz.

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