di Anselmo Fantoni – Questo mese ho avuto la fortuna di fare una chiacchierata con il Monaco Biagio della Mausolea, per noi sociani e non solo è famoso quanto la Villa stessa, e causa il caldo la notte di qualche giorno fa ho deciso di fare due passi e sono arrivato proprio alla Mausolea, non c’era nessuno ma da una camera sul lato est c’era una finestra aperta e la luce accesa.
Affacciato c’era la testa di Fra Biagio, come lo chiamavano tutti, e la sua folta barba bianca scendeva sul davanzale. Mi guarda e mi dice, che fai giovane a quest’ora in esto luogo? Avevo caldo e non riuscivo a prendere sonno, facciamo due chiacchiere? Fra Biagio scende e comincia a camminarmi a fianco, raggiungiamo l’uomo tanace in quello che fu l’orto della villa e ci mettiamo a sedere.
Mi faccio coraggio e dico: “Ma Fra Biagio, perché il suo fantasma è ancora qui ne La Mausolea? Perché la sua anima non trova pace? Quale mistero si cela dietro questa situazione?” mi risponde con calma appoggiandosi al muro e tirando su la cintura che era scivolata alla base della pancia, Vedi la mia anima è totalmente in pace, ma il mio lavoro qui non è finito, la villa ha ancora bisogno di custodia, rischia l’abbandono, è un’opera ingombrante per la Comunità camaldolese, ne è il suo cuore e la sua preoccupazione, non è più al centro dei suoi pensieri ma rimane qui a ricordare a tutti, sociani compresi, che qui ci sono le radici del nostro mondo.
La cantina storica, il torchio oramai spento, la cucina col camino, le pietre intrise di storia e che bella storia, sai qui non ci sono mai state leggende torbide, ma solo cene tra amici, lavoro duro di contadini a loro modo felici, a volte si risveglia e si piena di persone che vengono anche da molto lontano ma a volte poi si richiude per un po’, fa l’eremita, e chi se ne occupa quando rimane sola e silenziosa?
Qualcuno deve pur occuparsi di lei, sai, le case non sopravvivono molto se sono disabitate, non hanno un’anima loro, hanno bisogno di bambini che giocano, di padri e madri che lavorano e se ne prendano cura, di vecchi che riflettano con loro. Perché pensi che gli italiani tengano così tanto alle proprie case?
E’ per dare un senso alle loro anime, per tenerle al sicuro dalle tempeste della vita, non ha un sentimento religioso solo chi fa il monaco, la differenza è che il monaco coscientemente ricerca il dialogo con la propria anima e voi laici invece non siete consapevoli del tutto dell’importanza di tale ricerca, ma lo fate lo stesso anche se a volte inconsapevolmente.
Fra Biagio, voi cucinavate? Oh si, quello che più mi piaceva era il coniglio ripieno, lo mangiavo solo per Santo Stefano, il resto dell’anno pochissima carne, ma vedo che sta albeggiando, il mio tempo per stanotte è finito, sai noi fantasmi siamo figli della luna. Ci salutiamo e mi avvio verso casa, rilassato come se avessi dormito, in fondo anche i fantasmi a volte sono persone per nulla dispettosi, se non prendete sonno provate a cercare Fra Biagio, potrebbe aprirvi orizzonti impensati.
Coniglio ripieno
Ingredienti per 4/6 persone dipende dalla fame e dalle altre portate 1 coniglio circa 1,500 Kg Due uova, Tre cucchiai di Parmigiamo grattugiato ½ bicchiere di latte 1 hg di prosciutto cotto, 2 fette sottilissime di rigatino fresco Una sottiletta, 2 fette sottili di montasio Una zucchina, sale pepe e peperoncino q.b. Qualche foglia di santoreggia, origano, rosmarino, salvia Una piccola foglia di alloro tenera, tre spicchi d’aglio Un bicchiere di vino, brodo di carne q.b. Olio EVO q.b
Preparazione Per prima cosa va disossato il coniglio e posto su un ripiano, Preparare una frittata con la zucchina: far rosolare la zucchina con uno spicchio d’aglio passato allo spremi aglio con sale pepe, peperoncino, olio EVO e un trito di erbe aromatiche, poche foglie senza l’alloro, in una padella che permetta di fare una frittata sottile. Sbattete le uova, aggiungete il latte e due cucchiai di Parmigiano. Fate un po’ raffreddare dopo l’imbionditura. Ora si passa alla preparazione: sul coniglio disteso disponete la frittata, il prosciutto cotto, la sottiletta, il rigatino e infine il montasio e l’ultimo cucchiaio di parmigiano. Arrotolate con cura e legate con filo di cotone ben stretto. Prendete un tegame che riesca a contenere il coniglio diritto, io uso una pesciera, olio EVO due spicchi d’aglio in camicia erbe aromatiche e alloro. Far rosolare il coniglio come si fa per il roast-beef a fuoco vivace, sfumare col vino, meglio se quello che poi accompagnerà il piatto, aggiungere un ramaiolo di brodo, abbassare la fiamma e far cuocere per 15 minuti aggiungendo ancora brodo se necessario. I primi 5 minuti tenete il tegame coperto. A fine cottura coprite il tegame e lasciate raffreddare lentamente. Se mangiate in casa tagliate il coniglio a fette sottili ma non troppo, disponetelo su un vassoio e irroratelo col sughetto di cottura, se invece lo portate per una scampagnata togliete lo spago ma affettatelo nel bosco, il sughetto mettetelo in una bottiglietta col dispenser da cospargere nelle porzioni nei piatti.
Vino consigliato: Petruna in anfora Valdarno di Sopra DOC Sangiovese 2018 Borro srl
Il coniglio, se allevato in modo naturale, da carni delicate dal gusto raffinato. La preparazione di questo mese è un po’ elaborata e versatile, se servito caldo può allietare fresche serate autunnali, servito freddo può essere un ottima portata per pic-nic e scampagnate nelle nostre montagne all’ombra delle foreste del Parco Nazionale alla ricerca di una tregua dal caldo opprimente. Il coniglio ha rappresentato per i nostri nonni una fonte di proteine nobili a basso costo e anche un piccolo reddito per sostenere le spese familiari in un mondo dove la moneta era cosa rarissima. Prolifico e veloce si poteva avere tutto l’anno, la sua pelliccia lo riparava infatti anche dai rigidi inverni Casentinesi e con solo due fattrici si riusciva ad avere una discreta produzione. Non avendo metodi di conservazione le cucciolate venivano gestite in modo da rifornire costantemente la dispensa e spesso si usava il surplus per baratti con altri alimenti o anche con materiali vari. Se qualcuno aveva problemi di stomaco o era convalescente dall’influenza si preparava un brodo che si diceva fosse rinfrescante e ricostituente. Per questo animale veramente generoso, abbiamo scelto un vino che strizza l’occhio al passato ma che ci proietta in una nuova frontiera della vinificazione. Quella che fu la scoperta negli anni 80/90: la barrique, oggi viene inseguita in modo sempre più crescente dall’anfora. Il Petruna Sangiovese ci regala un vino dal colore suadente proprio del vitigno, un po’ cancellato dalle ultime tecniche di vinificazione e dalla concentrazione in vigna, è un rubino vivo di media consistenza con profumi delicati ed eleganti di giaggiolo, ciliegia e melograno con richiami di arancia sanguinella e un leggero balsamico. In bocca è un foulard di seta cruda pieno e rotondo dove le componenti si bilanciano in una corrispondenza totale col naso chiudendo con un piacevolissimo accenno alla caramella d’orzo. Ottimo l’abbinamento. Parlare del Borro è raccontare di un progetto di successo che va al di là del vino. Non è soltanto il recupero di un borgo medievale abbandonato, non è la cantina commovente ne l’innesto dell’arte all’interno della tenuta, non l’offerta di servizi per il benessere della persona e neanche la presenza di una cucina di livello. Il borro parla del rinascimento italiano del terzo millennio, elegante, discreto, improntato alla cura del minimo dettaglio tipico dei maestri artigiani toscani, inserito nel contesto storico, culturale, architettonico e paesaggistico della Toscana migliore. Vero, i costi non sono del tutto popolari, ma in fondo la qualità può essere acquisita a basso costo? E quanti imprenditori decidono di investire grandi risorse per regalare ai clienti momenti di assoluta piacevolezza a 360°? Certo oggi il Borro non è più soltanto il presepe meccanico che da ragazzi andavamo a visitare, con la famiglia prima e con gli amici poi, ma un piccolo paradiso in cui possiamo dare spazio a un edonismo slow, a un ritemprar le membra dopo periodi di duro lavoro, sicuri di ritornare un po’ migliori di quando siamo arrivati. Nel frattempo godiamoci i vini dell’azienda accompagnati da cibi genuini in compagnia di chi sa farci stare bene, in allegria e moderazione per la nostra ed altrui salute. Inter os et offam multa intervenire posse