di Marco Roselli – Cammino e osservo ciò che mi circonda. Il mio occhio registra ciò che è in evoluzione, tutto quello che i fenomeni naturali manifestano nel divenire delle stagioni, come ho sempre fatto. Mi lascio trasportare e appunto nel mio fedele taccuino le emozioni suscitate dalla nuova stagione. In questo articolo proverò ad accostare le mie sensazioni a quelle che avrà certamente provato Lori Sacchi, una pittrice casentinese, oltre che una cara amica. Alcune sue opere selezionate, apprezzabili nelle prossime pagine, assieme ad alcuni scatti fotografici realizzati con il mio grossolano cellulare proveranno a completare le parole.
Il Casentino esprime molta bellezza nei borghi, nelle foreste, nei coltivi, nei giardini, ovunque. La poesia che canta la valle si ode in modo speciale durante i passaggi stagionali. Quello che porta via l’inverno lasciando il posto alla primavera regala suggestioni in grado di nutrire occhi, olfatto e anima. La fioritura dei Prunus, sullo sfondo di boschi ancora spogli, crea un contrasto, uno spettacolo che non ci stancheremmo mai di ammirare. I fiori sono emblema di bellezza per definizione: nelle colline o nelle montagne, l’espressione delle macchie bianche evoca fotogrammi della stagione appena trascorsa e proietta la mente verso ciò che succederà quando arriveranno i frutti.
Perfino un alito di vento può provocare un fenomeno fortemente simbolico, quasi paragonabile ad una metafora umana: i bianchi petali che lievemente cadono dai rami somigliano a fiocchi di neve tardivi, portati dalla stagione appena tramontata, come se questa non volesse ancora morire. In quel divenire posso intravede il tempo che verrà, con i suoi frutti variopinti e caldi, densi dei pigmenti offerti da un sole che sarà sempre più alto nel cielo dell’estate casentinese.
Chiazze di neve di Prunus spinosa disegnano il paesaggio ai bordi dei campi delle basse colline e di confini inesistenti, come i lievi tocchi dell’impressionismo accendono, in lontananza, il grigio verde di campi sormontati da alberi di ferro, tali sono le querce, ancora lontane dall’indossare il proprio vestito. E’ un pittore che non incontro mai perché ogni volta che mi sembra di scorgerlo, subito si dissolve tra quei petali leggeri, probabilmente per andare a rigenerarsi lontano da occhi indiscreti.
Nei parchi pubblici e nei giardini privati ascolto altre parole, quelle del Prunus “Pissardii”, che in questo periodo esibisce i suoi fiori bianchi sfumati di rosa al centro. L’albero, se ben strutturato, crea una chioma espansa delicatamente colorata, come a simboleggiare la volontà di gestire la transizione.
“Dimentica l’inverno, siamo incamminati verso la bella stagione, quella della pienezza, ma non avere fretta. Quando sarà quel tempo porterai frutti purpurei come acini di uva fin troppo matura, come vinacce in divenire sopra cannicci ad essiccare.”
Se nella percezione umana del tempo quella riferita al calendario si traduce solo in un numero, nella mia concezione visionaria della natura la scansione delle ore si dilata, trasferendomi in un futuro prossimo. Eppure può accedere anche il contrario, quando il germogliare dei sogni, innescati da un fotogramma, mi fa tornare nel vicino passato.
Ecco allora emergere il cotogno giapponese, tra i primi a portare fiori già alla fine di febbraio; petali di un colore rosso intenso, come quelli di una Euphorbia (Stella di Natale) che già adornava le case nel tempo di un avvento ormai completamente dissolto. Tuttavia, come in un gioco di specchi, possiamo cogliere in lontananza il segnale del prossimo dicembre, quando i piccoli frutti del cotogno non ci saranno più, ma tornerà il suo colore rubino, magari nelle bacche dell’agrifoglio, che ancora oggi persistono.
Sono arrivate presto le macchie del gelsomino d’inverno, che con i suoi fiori gialli hanno potuto offrire conforto nelle giornate grigie e nebbiose, lunghe e pensierose. E lo hanno fatto per la gioia di chi se ne è preso cura, ma anche per un viandante come me, che ha potuto goderne grazie ai suoi rami lunghi e flessuosi, dal colore verde intenso, che sovente scavalcano le recinzioni dei giardini. Ho notato, però, giorno dopo giorno, come il giallo si sia fatto strada per lasciare il testimone alla forsizia, meraviglioso cespuglio dai petali d’oro che annunciano l’intensità di un colore che tornerà in una stella, quando essa sarà nella costellazione del Leone e farà scintillare le acque dell’Arno. Questo carnevale della natura continua a parlarmi nel pesco, il cui fiore rosa è più intenso rispetto ad altri, ma molto somiglia a quello del melo, che pur essendo fatto di neve, conserva sul bordo le lievi sfumature di un alba che sorgerà quando giungerà l’equinozio.
Dipingere è come baciare, solo senza labbra Ragionando sullo spettacolo che la vegetazione ci offre all’ingresso della primavera mi è venuto spontaneo associare le mie sensazioni a quelle di chi la natura la dipinge con maestria, magari ornando vedute di luoghi caratteristici della nostra valle. In questo articolo voglio presentare le opere di una mia amica, Lori Sacchi di Bibbiena, sia perché trovo che siano magnifiche ma anche per evidenziare delle comuni sensibilità che altro non fanno se non esaltare le bellezze del Casentino.
Un fiore di melo che l’autrice stessa afferma essere quello che ama maggiormente, viene rappresentato con le tonalità che dal bianco virano delicatamente al rosa appena sfumato, fino ad accendersi nel magenta dei petali ancora chiusi. Una mela antica dipinta sfruttando un chiaro scuro, quello generato da un tramonto a Sarna. La luce ancora intensa ha il potere di trafiggere le foglie come fossero sottoposte ad una radiografia, al fine di carpirne l’intima composizione, ma l’ombra oscura i contorni della collina sottostante impedendo all’osservatore di cogliere un qualunque dettaglio. Tuttavia il riverbero regala il rosso del frutto che si attenua approssimandosi alla cavità calicina.
“…Luce che cerca luce ruba luce alla luce; e, prima di scoprire dov’è la luce nel buio, perdi gli occhi e la luce ti s’abbuia. Studiatemi come all’occhio dar piacere, fissandolo su un occhio più leggiadro, che lo abbagli e diventi la sua stella polare, e gli ridia la luce di cui l’avea privato…” (William Shakespeare, Pene d’amor perdute)
La fioritura dell’elleboro è stata scelta per questo articolo in quanto avviene quando è ancora inverno ed è sufficiente un timido tepore a farlo sbocciare. Tra le altre cose, il calice di questo fiore reca tonalità algide come se i petali fossero stati tagliati da una lastra di ghiaccio sporcato da filamenti di muschio. Per questo motivo è conosciuto anche come ‘Rosa di Natale’ perché l’aspetto ricorda molto quello della rosa canina, la pianta che Lori Sacchi rappresenta nell’opera successiva a quella dei fiori del freddo.
I margini dei coltivi sono il regno della rosa canina e questa bellissima pianta non sfugge alla pittrice di Bibbiena che ci regala il colore di un fiore il quale, nella sua semplicità, trionfa come un tiranno deciso ad oscurare tutti gli altri attorno. Il quadro ci offre similitudini con il colore dei fiori del Prunus pissardii oppure con quelli del pesco, ma è anche una fotografia del tempo futuro, descritto nei germogli che stanno per sbocciare, ovvero di quello passato, mostrato nei cinorroidi della scorsa estate.
La spiritualità della terra casentinese In questo ultimo quadro Lori ferma il tempo in un momento estivo, quando il sole alto proietta ombre nette tagliate come un cuneo sull’aspro selciato che conduce al santuario. La vegetazione è una macchia verde poco definita, tanto da non poter riconoscere alberi o arbusti. Allo stesso modo la pittrice non ci mostra le opere d’arte dell’interno, ma proprio in queste due apparenti carenze consiste la celebrazione della bellezza.
Avvicinandosi al “duro sasso”, magari a piedi, in una giornata autunnale, l’anima trova quella quiete che scaturisce da secoli di devozione e umiltà che uomini e donne hanno “coltivato” a Santa Maria, fin dalla sua fondazione. La mente si placa liberandosi dagli affanni della vita quotidiana e la spiritualità pervade ogni fibra del viandante che a quel punto non abbisogna di opere d’arte, visto che il miracolo si è già compiuto.
Lori sacchi, nella essenzialità delle forme pittoriche, ci regala l’essenza di un dono di cui ciascuno può godere, semplicemente aprendo gli occhi alla vita.