di Matteo Bertelli – C’è ancora più silenzio tra i borghi di Bibbiena, ha chiuso anche la storica bottega di Roberta. Era uno di quei luoghi sacri che nessuno ha mai visto con le saracinesche abbassate, dove generazioni di casentinesi affamati sono passati, ogni mattina, per un pezzo di schiacciata da portarsi a scuola.
Sono andato a parlare con lei, l’ultima proprietaria di un’attività commerciale centenaria, che, dopo cinquantadue anni dietro quel bancone, ha deciso di godersi una pensione meritata. Una motivazione ben diversa da quella prospettata dal brusio di sottofondo che la voleva disperata per i mancati guadagni. Una semplice – neppure anticipata – pensione.
E questo articolo potrebbe tranquillamente concludersi qui. Perché non c’è nient’altro da raccontare: le domande a cui un buon giornalista deve rispondere hanno già trovato una spiegazione chiara e coincisa. E Roberta non ha neanche troppa voglia di parlare dei bei tempi andati e delle voci in bottega; a lei non interessano pianti commemorativi o discorsi banali sul “si stava meglio quando si stava peggio”.
Eppure, siamo rimasti a parlare un’oretta abbondante, a tratti banalizzando e a tratti approfondendo un concetto bellissimo, poetico e saggio allo stesso tempo: quello del silenzio. Ciò che leggerete da qui in avanti non è tanto la storia di un negozio che veramente ha fatto la storia di uno dei nostri amati borghi casentinesi, quanto più una reinterpretazione di un concetto più ampio, di una visione, fatta di luoghi comuni e perle di rara lucidità critica, che possono nascere solo da un confronto aperto e appassionato tra due generazioni davanti a un caffè.
Dal confronto e dallo scambio tra chi è rimasto, per una vita, e chi se ne è già andato. La bottega di Roberta è quasi l’ombra perfetta di ciò che è successo a Bibbiena negli anni: ne ha seguito le forme e i movimenti, le evoluzioni e i mutamenti di pensiero, rimanendo fedelmente attaccata al suolo, ma liquida e pronta a adattarsi. È stato un luogo d’incontro, dove per anni i muri della saletta antistante – quella con il tavolino – hanno rimbombato discorsi e pettegolezzi, storie che meriterebbero ben più di questa pagina.
È stato un luogo di ristoro per generazioni di studenti e viatico confortante per chi, passeggiando di ritorno dal mercato o da una gita in piazzolina, si era scordato il pane o il burro. Chi per davvero, chi per finta, giusto per parlare un po’ con negozianti che erano anche buoni amici, riforniti abbondantemente di generi alimentari e consigli.
Può darsi che qualcuno di più bravo possa raccontarvela ancora meglio, facendovi immaginare una signora che, dovendo comprare solo un pane, si attarda per un’oretta abbondante in chiacchiere con l’incipit “ma hai saputo che…”, ma a me basterebbe vi rimanesse quel brulicare di parole, quel suono continuo e monotono del brusio di sottofondo, che c’è sempre ma si percepisce a malapena. E si nota solamente quando scompare.
Oggi è un po’ tutto diverso. Secondo Roberta questa diversità era palpabile già qualche decina di anni fa, quando, per fretta o per comodità, si è iniziato a preferire un viaggio rapido con la macchina “giù”, fuori dal paese. Rientrando dal lavoro si allungava un attimo il percorso in auto fino al supermercato più comodo, per comprare il necessario, spendendo giusto il tempo per l’acquisto.
Tutto il necessario ma nulla di più, rosicchiando tutto al minimo: dal tempo passato a fare l’acquisto alla distanza tra il posteggio e il supermercato, fino all’umanità del contatto con chi ti sta semplicemente vendendo un prodotto. Lontano dal borgo che ci porta a casa dopo una passeggiata colorata di storia medievale, facciamo tutto questo in silenzio, lasciando a chi è restato seduto in quella solita bottega un amaro silenzio che urla modernità. Personalmente ritengo che solo chi è stato così a lungo dietro a un bancone come quello possa capire veramente cosa è stata, cosa è e cosa sarà Bibbiena, e, per questo, sono rimasto ad ascoltare Roberta con attenzione, come un bimbo scettico sull’esistenza di fate ed unicorni, ma ugualmente rapito da una favola.
Una favola di quelle che iniziano con “Da dietro un banco si può raccontare una vita intera”, dipanandosi tra racconti malinconici di voci ormai spente e concludendosi, come di consueto, con una morale chiara, fatta di presagi distopici. Un futuro dipinto a tratti foschi, con pulmini e personal shopper che porteranno gli anziani a fare un tour tra i migliori e più moderni supermercati, aiutandoli anche a fare la spesa, perché loro, abituati alla bottega, non sanno poi che farsene di preciso di questa modernità.
Ma la modernità non è un male, anzi. Andremo avanti e saremo ancora più efficienti, avremo ancora più supermercati che ci accorceranno le distanze, che ci renderanno tutto più smart, più fruibile, più rapido. Più silenzioso.