In un paese lontano lontano, così lontano da essere anche molto vicino, viveva e lavorava il cav. Pomposo Viscidini. Pomposo era il direttore incontrastato della Banca del Credito Marittimo, Collinare e anche Montano, istituzione che spandeva a piene mani aiuti e contributi sul territorio, un ente non toccato dagli scandali, almeno fino ad allora. Un uomo strano, si diceva, di Pomposo. Abituato a non prendere mai posizioni definite, a stare nell’ombra se non quando c’era da inaugurare qualcosa o essere protagonista di servizi televisivi e giornalistici in cui si magnificava il suo lavoro e quello della sua Banca, banca che prosperava da molti decenni prima che arrivasse il cavaliere, ma che invece si voleva far credere fosse una sua creatura e che solo Lui ne avesse fatto un’eccellenza unica.
Dicevamo un uomo strano, incline al complotto, a manovrare nell’ombra, ad architettare piani machiavellici contro i suoi nemici, veri o immaginari. Un uomo degno del suo nome, viscido appunto e anche pomposo. Ma che si faceva ben volere perché elargiva a mani basse prebende a destra e a manca; dalla famosa sagra della zucchina ripiena, fino alla corsa mondiale di saltelli con una gamba sola di cui si era svolta da poco, naturalmente finanziata dalla Banca, una gara internazionale. E poi accordi, promesse, sorrisi, proclami, insomma la voglia di compiacere tutti per il suo vero fine. Una sola cosa ossessionava il cav. Viscidini, il Potere e per quello era disposto davvero a tutto.
Il tempo, si sa, passa e si stava arrivando rapidamente alla fine del suo incarico come Direttore. Viscidini aveva sperato fino all’ultimo di esser chiamato ad un’importante carica nella Capitale, ma la Banca aveva preferito altri funzionari e ora mancava poco, cosa avrebbe fatto il cavaliere senza la sua amata poltrona? Una sua riconferma non era scontata e il terrore correva nelle vene di Pomposo, la notte quando stava elaborando il prossimo piano, e se poi non sarò più al mio posto? Si chiedeva, e un brivido gli saliva su per la schiena, freddo e inesorabile.
In una di quelle notti insonni, il cav. Pomposo Viscidini concepì una delle sue contorte trovate. Per dimostrare il suo buon operato e per passare da povera vittima, si sarebbe inviato una lettera anonima con delle pesanti minacce, in merito alla sua persona, al suo incarico e alla sua correttezza. Chi avrebbe potuto negargli di continuare nel suo lavoro, proprio Lui che era stato minacciato per quanto bene lo aveva fatto e per quanto aveva fatto rispettare la legge e i sommi interessi della Banca?
Fu così che un lunedì mattina fu recapitata nell’ufficio lussuoso di Viscidini la famosa lettera, preparata e confezionata da Lui medesimo, con tutti gli accorgimenti del caso, cancellazione delle impronte inclusa.
La vecchia segretaria del cavaliere, signora Gismoda, da trent’anni impiegata fedele e integerrima della Banca e segretamente innamorata di Pomposo, trasalì e quasi cadde dalla sedia sentendo le urla che arrivavano dall’ufficio del suo amato direttore.
“Proprio a me! Io che sono un devoto servitore della legge e che ho dato tutto per questa Banca e la comunità, proprio a me! Oh, Dio, svengo!”
All’apertura della vigliacca missiva, seguì la consueta processione di tutti quelli che si sperticano per correre in soccorso al vincitore e potente di turno. Fu subito allertato il compiacente giornale locale (finanziato dalla Banca) e tutta l’altra stampa amica (finanziata dalla Banca), furono chiamate d’urgenza le forse dell’ordine. Ed iniziarono a piovere i messaggi di solidarietà e condanna, un po’ da tutti; cittadini comuni, casalinghe, politici di ambo gli schieramenti, commercianti, prelati, perfino dalla concorrenza, le altre Banche. Insomma un tripudio per Viscidini che passò alla cronaca per giorni come una vittima, minacciato solo per quanto era bravo e per quanto corretto fosse. Le indagini poi, svolte con la massima perizia, non portarono a nulla, l’infame non venne mai trovato.
Il cav. Pomposo Viscidini l’aveva spuntata un’altra volta, gongolando davanti allo specchio, si ammirò felice, li aveva fregati tutti ancora! Ora non c’era che da aspettare la riconferma o addirittura qualcosa di più…
Qualche giorno dopo l’arrivo della lettera, in un ufficio della locale gendarmeria, il colonnello Scarlatti stava chiudendo il caso di Viscidini e della lettera anonima, nessuno era stato trovato, poteva essere archiviato. La giovane e ancora inesperta recluta Asdrubaletti, arrivata appena da quattro giorni, prese il pesante fascicolo e disse: “Ma signor colonnello, a nessuno è venuto in mente che la lettera anonima, il cav. Pomposo Viscidini, se la potrebbe aver scritta e mandata lui?”
Il colonnello Scarlatti fissò la finestra e il paesaggio invernale, gli occhi gli si illuminarono come di fronte a una straordinaria rivelazione. Fu un attimo, come quando una nuvola passa veloce davanti al sole e lo oscura in una ventosa giornata di primavera, un secondo e già non c’era più. Poi si alzò e si avviò verso casa, senza dire nulla, ormai era quasi l’ora di pranzo.
Il Badalischio
La morale di questo racconto immaginario, simile a quella del capolavoro di Hans Christian Andersen “I vestiti nuovi dell’imperatore” , ci dice che il Dubbio deve essere sempre il faro con cui affrontare tutte le vicende della nostra vita. Perché le cose non sono mai come appaiono e dubitare anche di quelle che sembrano realtà e fatti scontati è il fondamento della nostra civiltà, del giornalismo e, soprattutto, del nostro essere Uomini liberi. Perché, come scriveva Andersen, il Re è nudo… quasi sempre.
Ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti è da ritenersi puramente casuale e solo frutto di fantasia.
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