di Melissa Frulloni – Ammettiamolo. Quanti di noi ricorrono sempre più spesso a Dr. Google per cercare risposte, diagnosi o consigli medici? Anzi, quanti di noi ricorrono sempre più spesso a Chapt GPT, all’intelligenza artificiale, per ottenere, dettagliando i sintomi, una cura fai da te, magari da acquistare online senza sentire il parere del farmacista e ancora prima quello del medico? Lo facciamo in tanti (sì, mi ci metto dentro anche io) e i motivi che ci hanno spinti a questa deriva medica sono molti.
Da un lato c’è la comodità legata alla tecnologia; è innegabile che poter ricevere per sms la ricetta per un farmaco senza dover andare fisicamente nello studio del proprio medico è una gran cosa, ma da questo ad arrivare a saltare una visita per autodiagnosticarsi chissà che, decidendo in autonomia anche la cura, ce ne passano di Tachipirine sotto ai ponti. Come sempre la colpa è da attribuire al Tempo. Manca sempre a tutti, siamo costantemente indaffarati e in affanno; impossibile saltare un giorno al lavoro, impensabile spezzare la routine quotidiana degli impegni.
“La produttività prima di tutto” o meglio, in rincorsa verso essa senza sapere veramente se ci stiamo riuscendo ad essere produttivi. Capitalismo docet e questo ricade inevitabilmente sulla nostra salute; mentale in primis, con ansia e stress che la fanno da padrone e con un numero sempre crescente di persone che hanno bisogno di affidarsi ad un terapista per risolvere i loro problemi. Ma certamente anche fisica, proprio perché non contempliamo il riposo come forma di cura, il fermarsi come modo per guarire da un’influenza e ancora prima di questo “non abbiamo tempo” per andare dal nostro medico curante a farci visitare. Mi ricordo ancora la fila interminabile nell’ambulatorio, i “chi è l’ultimo?”, i nonni che prendevano il posto a figli e nipoti; la sala d’aspetto che diventava un luogo di socializzazione in cui si ingannava l’attesa parlando del più e del meno; ci si conosceva tutti negli ambulatori dei paesi del Casentino.
Per fortuna quelle file, che in effetti erano molto scomode da fare, non ci sono più e oggi, fissando un appuntamento, è possibile andare dal proprio medico senza troppo stress. Con loro però se ne sono andate anche quelle chiacchiere e soprattutto la volontà di molti di andare dal medico a farsi visitare. Whatsapp è più comodo e veloce. Descrivi i sintomi al dottore, lui dopo poco ti risponde formulando una diagnosi e via, corri in farmacia sperando che tutto si risolva nel giro di un paio d’ore perché si sa, non c’è tempo da perdere! Ma poi a volte succede che la cura non sia risolutiva e che tu continui a stare male, allora che fai? Sempre per avere una risposta immediata, corri al Pronto Soccorso (di Bibbiena, sì, per fortuna ce lo abbiamo e non ci stancheremo mai di dire quanto sia prezioso per la comunità casentinese).
“Il 90% delle persone che accedono in PS non sono state prima a farsi visitare dal proprio medico curante.” Così si sovraffollano gli ospedali, mandando in tilt un sistema che ha pochi operatori, con medici e infermieri ridotti all’osso. Sembra tutto un enorme equivoco; un cane che si morde la coda e che da vita ad un circolo vizioso in cui i pazienti preferiscono usare il web per le diagnosi sanitarie o al massimo rivolgersi tramite Whatsapp al proprio medico; il medico che ha troppi assistiti a cui badare risponde al messaggio contento di snellire la fila di persone che deve vedere. Ma poi può succedere che chi non si è fatto visitare finisce in PS, intasando il reparto di emergenza, spesso in carenza di personale medico, all’interno delle strutture sanitarie pubbliche.
Di contro, invece, i pazienti che vogliono farsi visitare dal proprio medico rischiano di dover aspettare anche 10 giorni prima di incontrarlo perché il numero di assistiti suddiviso per ogni medico è veramente molto, troppo alto. Non riusciamo a trovare colpe perché siamo tutti inseriti in questo sistema; ognuno fa la sua parte aggravando la situazione. Forse (e la cosa dovrebbe partire dall’alto, da chi decide le politiche sanitarie) dare più importanza al ruolo dei medici di famiglia potrebbe essere il primo passo per cambiare le cose; sicuramente diminuendo il numero di assistiti per concedergli di dedicarsi con più calma (e tempo, per l’appunto) ai propri pazienti.
Noi (anche in questo caso mi ci metto dentro anche io) dovremmo sforzarci di seguire l’iter delle cose, non pretendere tutto e subito, prenderci il tempo che serve sia per avere una diagnosi, sia per curarci, che per guarire. Perché, diciamocela tutta, la sanità ai tempi di Whatsapp non piace a nessuno…