di Anselmo Fantoni – Ultimamente si parla molto del Panno Casentino, vuoi per quel che resta del Lanificio di Soci, oggi Manifattura del Casentino, vuoi per quello che fanno Tacs e Tessilnova a Stia, stavolta anche grazie a quello che fanno e hanno fatto due donne in politica Chiassai e Nisini. C’è qualcuno che vorrebbe accaparrarsi la sua origine, tirando in ballo documenti e storie non sempre attendibili e allora siamo stati a fare una chiacchierata con chi ha vissuto il panno Casentino in prima persona: Franco Giovannini da Soci.
Una famiglia divisa tra la tessitura e la bottega di macellaio, Franco è un personaggio, un poeta malinconico che scava sotto le apparenze, una persona abituata al duro lavoro di tessitore, con periodi di lavoro impegnativo e altri momenti in cui i telai rimanevano desolatamente fermi. Stringe il cuore a vedere quel che resta dei due storici lanifici di Soci e Stia, ma forse abbiamo troppo rincorso il “business”, i soldi, maledetti quattrini per cui si vende l’anima, per cui si distorce la storia, per i quali si dimentica la dimensione spirituale dell’uomo.
Così, ora che il Panno va di moda, ora che anche firme importanti come Gucci si interessano a lui, c’è la caccia a rivendicarne le origini, di costringerlo in questa o quella realtà al solo fine di ricavarne il massimo profitto; attenzione, non c’è nulla di male affinché questo prodotto porti lavoro e benessere ai Casentinesi, ma questo tessuto non è stato creato dalla genialità di un imprenditore, Lui si è donato al Casentino e traducendo la storia di Franco cercheremo di spiegarlo.
Molte scoperte scientifiche avvengono per caso, per un errore, il Panno no, Lui è una somma di errori, portato alla luce dal figlio reietto della famiglia Bocci. Il Lanificio di Soci, costretto dai lanaioli fiorentini a mero fornitore di coperte per cavalli, negli ultimi anni dell’ottocento e i primi del novecento cercava una via per uscire da questo tipo di produzione che non dava una grande immagine, e soprattutto cercava un tessuto che fosse si rustico, ma al tempo stesso leggero e da potersi utilizzare per l’abbigliamento.
La prima guerra mondiale chiese il sacrificio del giovin signore destinato a dirigere la fabbrica: Adriano Bocci, così di necessità virtù, il ruolo fu ricoperto dall’innominato di famiglia: Sisto. A lui dobbiamo la creazione del Panno, a lui il grande impulso della Fabbrica, fu lui a visitare gli opifici francesi e inglesi per capire come ridurre i costi e dare slancio alla tessitura, cosi mentre i tessuti venivano lavorati nelle acque dell’Archian rubesto e asciugati dai venti dei Sacri monti di Camaldoli e La Verna, in un giorno che nessuno aveva scelto, il panno si materializzò, in tintoria si sbagliarono le dosi del colore e fu il disastro, decine di pezze avevano preso un improponibile color arancio. In un’economia in cui la lana era preziosa il fatto ebbe così tanta risonanza che per mesi in paese si respirava un’aria triste, quasi come quando arrivò la notizia della scomparsa di Adriano. Un tempo la fabbrica era la sposa, il marito, la famiglia, il paese; non era solo luogo di lavoro, di sostegno economico e sede di rivendicazioni sindacali: la fabbrica era Soci.
In Casentino non si butta via nulla, perché le cose hanno un’anima, sono preziose, così le pezze sbagliate furono dimenticate in un angolo in attesa del solito “potrebbero servire”. Intanto Sisto era tornato dalla Francia con un macchinario creato per gestire il verso dei peli della stoffa, era in grado di creare leggeri disegni su tessuti dalla trama semplice, così per fare le prove si pensò di utilizzare quelle pezze arancioni di cui non si sapeva proprio cosa farne. Ma il Panno sapeva bene cosa doveva diventare, così la rattina (il macchinario innovativo), cominciò a lavorare ma purtroppo, ancora una volta, ci fu un errore e da essa uscì un tessuto arricciato, come un vecchio maglione, per di più con un colore improponibile.
Qualcuno al secondo disastro si sarebbe arreso, ma non così il buon Sisto, per Lui nessuna strada in paese, nessun libro di memorie, nessun valzer suonato dalla Filarmonica del Lanificio, forse capì che in un giorno speciale il Panno Casentino non si era materializzato per caso nel Lanificio di Soci e una agiata signora decise di farsi fare un cappotto arancione, perché i vestiti dell’alta moda dei grandi stilisti non li comprano gli operai, sono i ricchi che vivendo nell’abbondanza e nel lusso cercano sempre di distinguersi dalle masse. Lo capì bene Franco a sue spese quando con un avanzo di stoffa, a cinque anni, si ritrovò ad andare a scuola con un cappottino arancione, all’inizio vergognandosi molto ma poi di fatto sentendosi un giovin signore, perché il Panno non si sceglie, il Panno ti sceglie.
Negli anni in molti hanno cercato di impossessarsi di questo strano prodotto, ma non ci sono riusciti, solo chi lo comprenderà, chi si avvicinerà a lui con rispetto, solo chi comprenderà che il Panno Casentino non è un “business” ma il frutto delle lane degli armenti dei nostri pascoli, dell’erba del Pratomagno brucata dagli ovini, del lavoro duro dei tessitori e soprattutto dell’acqua dura e dei venti soffici di una terra che ha un’anima, della Valle dell’Anima dove San Francesco e San Romualdo avevano capito che il Casentino non è solo scoglio e foresta.
Se quindi vogliamo dare impulso a questo prodotto, se da questo tessuto vogliamo trarre sostentamento, dobbiamo guardare oltre la trama, dobbiamo scavare sotto il colore, dobbiamo riconoscere che è Lui che è venuto da noi; allora potremmo tutti trarre vantaggio da questo nostro patrimonio comune, nato a Soci, per sbaglio, perché spesso noi chiamiamo sbagliato ciò che non dipende dalle nostre scelte, ciò che non si comporta in modo canonico, ma il Panno ha voluto rompere gli schemi e per farlo ha scelto una figura discussa, sopra le righe, fuori da ciò che si definiva “normale”.
Ma la verità fa giri strani e forse chissà, arriverà anche un tempo per intestare una strada col nome di Sisto. Tutta questa storia che può sembrare un romanzo ottocentesco ci dice che le origini sono sociane, ma questo prodotto è figlio della valle, che ha bisogno di tutti ed è per tutti, oltre i campanili, oltre i maledetti quattrini, oltre gli interessi di bottega, se capiremo questo, se inizieremo a comportarci da Casentinesi, non dimenticando i nostri paesi e i nostri boschi, allora il Panno ci avvolgerà donandoci riparo e sostegno, cerchiamo l’essenza delle cose e troveremo la via dell’abbondanza, la guerra lascia sempre croci e dolori, la concordia gioia e prosperità. Buon Panno Casentino a tutti.