di Denise Pantuso – La violenza di un figlio verso la famiglia ha da sempre occupato spazio nei discorsi psichiatrici e psicopatologici. L’abbiamo conosciuta con gli episodi acuti di tipo allucinatorio e nelle tossicodipendenze in particolare. Se nel primo caso il familiare può assumere una connotazione persecutoria che lo rende una sorta di “nemico” da distruggere, nel secondo caso diviene colui che ostacola l’assunzione della sostanza. Infatti molto spesso la violenza filio-parentale nelle dipendenze è giustificata dal fatto che i genitori si oppongono alle richieste economiche, scoprono la sostanza in casa e la gettano oppure assumono atteggiamenti che in qualche modo mettono in crisi il rapporto che il/la figlio/a ha con l’oggetto da cui dipende.
Negli ultimi anni la violenza filio-parentale sta prendendo un’altra forma ovvero quella dell’effettivo dominio del figlio sul genitore. A metà del mese di agosto esce una notizia che riferisce che a Treviglio una ragazza di 15 anni uccide la madre. L’elemento scatenante sembra essere un mobile montato male dalla figlia stessa. La ragazza va su tutte le furie e nelle prime ricostruzioni della situazione dirà “voleva spaventare” la madre. Al momento in cui scrivo non è noto il tipo di relazione tra le due e le dinamiche familiari includendo il padre, ma ciò che può succedere è che, anche in queste nuove forme di violenza filio-parentale, si può giungere all’omicidio del genitore. La violenza filio-parentale che si è istaurata nella contemporaneità riguarda proprio l’uso della paura e del potere nella relazione. I figli non vogliono niente in particolare, né soldi, né particolari oggetti, né riconoscimento o amore ma potere sui genitori.
Questo stato di cose porta i genitori a sviluppare sentimenti di vergogna e tendenza a tenere segreto ciò che succede in casa alimentando così un modo di stare insieme che esacerba la situazione conflittuale. È importante sottolineare che la violenza filio-parentale è diversa dall’aggressività verso i genitori. L’aggressività può essere giustificata da uno stato di disagio, frustrazione, insoddisfazione, difficoltà a tollerare le scelte genitoriali. La violenza filio-parentale è invece un modo di pensare e agire continuativo atto ad avere potere sul genitore e spaventarlo.
Se in un primo momento può sembrare che il problema stia nel figlio, un’analisi psicologica più approfondita solleva come, il gesto che mette in atto il figlio non è che il risultato di un modo ben preciso che ha la famiglia di stare insieme, famiglia che paradossalmente pensa e agisce in modo da sostenere la violenza del figlio. Infatti ciò che maggiormente si nota nelle famiglie in cui c’è la violenza filio-parentale è una chiara assenza di responsabilità intesa in senso gerarchico. C’è uno scambio di ruoli continuativo che crea confusione nella definizione degli stessi.
La famiglia ha uno stile fusionale di stare insieme che si caratterizza in grosse difficoltà a prendere scelte individualmente e insicurezza della propria identità sia genitoriale che come figli. La segretezza con cui tutto questo accade fa sì che molto spesso la violenza filio-parentale giunga ai servizi pubblici o privati quando la situazione ha preso la strada legale oppure la violenza è divenuta così parte del legame che è difficile per la famiglia costruire modi diversi di stare insieme. È per tale ragione che questo articolo vuole avere la forma di un atto preventivo e di invito a chiedere aiuto a tutti coloro che si riconoscono in quanto scritto.
Dott.ssa Denise Pantuso
Psicologa e psicoterapeuta individuo, coppia e famiglia
www.denisepantuso.it – tel. 393.4079178