di Francesco Benucci – Un fiume non è solo un lemma in un dizionario, un concetto geografico o una linea blu rintracciabile su una carta. Un fiume è un patrimonio di vita: è altruista perché dà tanto senza chiedere nulla in cambio, è accogliente perché ospita molteplici esistenze, è affascinante perché spesso incanta, è positivo perché apporta benefici a chi gli sta accanto. In sostanza, merita attenzione, tutela e valorizzazione, tanto più se “ancora in fasce”, se, non lontano dalla sorgente, scorre con l’impeto della gioventù verso la maturità della foce: è soprattutto in quella fase che serve il buon esempio, un rapporto di simbiosi, un’empatia forte che faccia da viatico prima della discesa a valle.
Tutte queste buone pratiche si trovano nell’Arno e nei suoi primigeni affluenti, nel tratto corrispondente alla comunità di Pratovecchio Stia: pratiche di pulizia e bonifica, di ripopolamento, di rispetto, di positiva corrispondenza tra l’uomo ed una natura in buona parte ancora incontaminata. E in questo magico contesto, dove i tesori del fiume trovano la loro dimensione ideale, uno di essi, la trota, è stato oggetto di un’iniziativa le cui proficue finalità vanno oltre il solo input ittico, aprendo uno scrigno di potenzialità ben più ampio: nel mese di giugno è stata inaugurata la zona di pesca a regolamento specifico “Capodarno”, nata dal progetto Vivere il Fiume presentato dal Comune di Pratovecchio Stia e finanziato dalla Regione Toscana tramite il Bando per la Promozione dei Contratti di Fiume, progetto che ha consentito di praticare la pesca alla trota nel rispetto di specifiche regole finalizzate alla promozione dei valori dell’attività in oggetto e alla salvaguardia del patrimonio faunistico locale; la proposta suddetta “abbraccia” il fiume Arno e il torrente Staggia: il primo per circa 5 km tra Pratovecchio e Stia, con due distinti tratti, uno, a valle, aperto a tutte le tecniche, ed uno, a monte, riservato alle tecniche con esche artificiali e rilascio obbligatorio del pescato (no kill). Nello Staggia invece, all’interno del centro abitato di Stia, è istituita una zona di protezione destinata alla salvaguardia e alla riproduzione della fauna ittica.
Al fine di limitare la pressione sul pescato e conservare la sintonia col concetto di pesca sostenibile, è stato istituto il numero chiuso, con 18 pescatori al giorno suddivisi in due turni, mattutino e pomeridiano. Il varo di questa riqualificazione del bacino fluviale ha visto, oltre a quelli citati sopra, il contributo sinergico di vari partner: il Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi, il Consorzio di Bonifica 2 Alto Valdarno, la FIPSAS di Arezzo, la Troticoltura Puccini, l’Antica Troticoltura Molin di Bucchio, l’ASD Pescatori Casentinesi; questi ultimi in particolare si sono elevati a “padrini” dell’iniziativa e, grazie anche allo storico marchio Artico Pesca che da anni li sponsorizza, li “veste” e li equipaggia, si cimentano in interventi di bonifica ambientale, svolgono attività di sorveglianza come guardie ittiche volontarie, sono disponibili a fornire informazioni o a ricevere eventuali segnalazioni sia tramite telefono (3791730119) sia tramite l’interattività di una pagina Facebook che in poco tempo ha raggiunto i 700 affiliati (e che ne aspetta di nuovi: chiunque voglia partecipare o unirsi alla società, pescatore professionista o non, può rivolgersi ai contatti riportati sopra).
D’altronde, la stessa ZRS Capodarno è fornita altresì di pagina Facebook e di sito. Insomma, tanti canali comunicativi al servizio dei nostri canali fluviali! E non si può dire che cotante attenzioni non siano meritate, anche in virtù di risultati lusinghieri, registrati nei primi due mesi di attività, in primis in termini di presenze, circa 300, numeri confortanti nonché “giusti”, per un’iniziativa che non è un business ma si prefigge piuttosto di tracciare una traiettoria di tutela/valorizzazione del contesto nostrano; in secondo luogo, una piacevole sorpresa è stata la provenienza degli utenti, aretini di città o provincia, con tanto di boom di pescatori dal Valdarno, ma anche decisamente più “forestieri”, da La Spezia al Trentino, con conseguente indotto paesano tra vitto e alloggio; infine, ad arricchire il novero di sensazioni positive, hanno contribuito i riscontri davvero favorevoli degli avventori muniti di canna ed esca, i quali hanno elogiato l’accessibilità nei vari tratti, la pulizia delle sponde, la qualità delle acque e dei pesci medesimi per colori, pinnaggio, punteggiatura e resa in pesca tanto che pure ciò che risulta di immissione pare quasi selvatico. Il tutto ha dato luogo ad un virtuoso do ut des, con il fiume che ha offerto i suoi tesori in termini di trote e non solo ed i pescatori che hanno contraccambiato rispettandolo, palesando grande educazione, tornando “a trovarlo”, trasformandolo in più occasioni in un luogo di incontro, di condivisione, di scambio. E questa comunità di intenti, non ostacolata nemmeno dal Coronavirus visto che non si tramuta in assembramenti, si svolge all’aperto, nella natura e facilita il distanziamento sociale, ha portato a ricreare quasi un cordone fluviale tra Stia e Pratovecchio, dove, grazie ad una concomitanza di interventi, a una sinergia delle associazioni Civitas e Pratoveteri, si sta recuperando persino dal punto di vista della balneazione il tratto del Lungarno delle Monache.
Un clima positivo e propositivo, quello instauratosi, che è stato recepito pure dalla popolazione “non pescatrice”: le dimostrazioni di apprezzamento ed entusiasmo da parte di quest’ultima per quanto fatto, sono particolarmente significative perché confermano che è passato il messaggio per cui si parla di un bene comune e di un progetto che arreca benefici all’intero territorio, perché tutti sono chiamati a vigilare per il raggiungimento degli obiettivi prefissati in termini di sostenibilità e benessere e quindi finanche a segnalare eventuali episodi che penalizzano o mettono a repentaglio gli stessi, perché, per consolidare l’iter intrapreso, è importante un lavoro di continuità e di gruppo, un gruppo che si spera di rendere progressivamente sempre più ampio e partecipato. E che magari, perché no, comprenda anche giovani e giovanissimi, dato che un occhio di riguardo è rivolto proprio a quella fascia d’età che tiene tra le sue mani le redini del futuro: dopo le attività di educazione ambientale, promosse in passato con gli alunni della scuola primaria, questa estate, nel mese di luglio, si è svolto un corso con i bambini, tra gli 8 e i 10 anni, dei campi solari, 4 appuntamenti in cui i partecipanti sono stati portati al Canto alla Rana, hanno conosciuto la teoria delle varie tecniche di pesca (spinning, mosca e l’inimitabile pesca “alla casentinese” con esche naturali) e hanno poi tradotto le suddette nozioni ritraendo i pescatori adulti intenti nella dimostrazione pratica: insomma, conosci la pesca, disegna la pesca, vivi la pesca, ma anche un luogo, un contesto, un ambiente.
Proprio con la speranza di incentivare altre iniziative formative in futuro, è stata inoltrata la richiesta per diventare scuola di pesca riconosciuta dalla FIPSAS, con istruttori qualificati, in modo tale che questa attività possa entrare nelle scuole non in modo episodico, ma con una progettualità a lungo termine. A proposito di lungo termine, un orizzonte temporale ampio corona ad hoc un’idea di fiume che vuole produrre frutti rigogliosi e stimolanti negli anni a venire, tanto che l’obiettivo è quello di reinvestire gli introiti non solo nella zona medesima ma anche nell’immissione di trotelle o avannotti nei torrenti circostanti, affluenti di Staggia ed Arno, che nel tempo hanno perso parte della loro fauna. La mentalità è sempre quella: godere dei tesori delle nostre acque con rispetto e tutela, contraccambiare portando tesori tra le correnti cristalline che ci circondano, condividere il tutto. Perché, non dimentichiamolo, arricchire il fiume, arricchisce noi.
(trtto da CASENTINO2000 | n. 323 | Ottobre 2020)