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martedì, 11 Febbraio 2025

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Lanificio di Soci: suona il De Profundis?

di Anselmo Fantoni – La nostra valle si regge sulla laboriosità dei suoi abitanti, piccola imprenditoria familiare che rimboccandosi le maniche, dando fondo alla fantasia e alla creatività, riesce spesso creare aziende di successo apprezzate in tutto il mondo. Qualche anno fa venne da oriente un sapiente e ci raccontò una storia diversa, ci disse che la nostra valle aveva una vocazione turistica, che si dovevano valorizzare i nostri patrimoni culturali, così da poter offrire ai visitatori prodotti unici e inimitabili così da farli innamorare di noi.

Certo di cose uniche e irripetibili ne abbiamo molte, Camaldoli, La Verna, il castello di Poppi e i manieri a lui collegati, pievi suggestive, anche un lago degli idoli. Prodotti caseari buonissimi, tradizioni di insaccati sopraffini, molini e allevamenti di trote e ultimamente anche interessanti vini prodotti sia da enologi che da imprenditori che ritornano alle proprie origini contadine.

Non ci manca nulla e nel passato avevamo, grazie all’energia green dei nostri torrenti, due importanti lanifici, uno oramai destinato ad altre attività e l’altro che con vicende alterne è arrivato fino a noi. In questi opifici nasceva il “povero” panno Casentino, destinato ai lavoratori agricoli, agli autisti di carrozze, divenuto nel tempo emblema di eleganza fino alla gloria cinematografica indossato addirittura da Audry Hepburn nel mitico Colazione da Tiffany.

Eppure la produzione di questo prodotto che fa parte della nostra storia rischia di scomparire, politiche industriali sbagliate? Congiunture di mercato disastrose? Le cause sono molteplici e la vicenda molto sfaccettata. Nel secondo dopoguerra del secolo scorso il Lanificio di Soci ha attraversato crisi anche importanti fino poi a rinascere verso la fine del novecento diventando un punto importante per la produzione di cachemire, finanziariamente andava a gonfie vele e grazie a importanti investimenti pubblici mise mano a una massiccia riqualificazione architettonica, mai portata a termine in verità, che cambiò l’aspetto del paese di Soci.

Poi la politica, abile a succhiare il sangue delle aziende che a lei si rivolgono, impose che il patrimonio del Lanificio dovesse essere sacrificato per il salvataggio della Stimet, ma purtroppo nella voragine dell’azienda di prefabbricati fu trascinato anche lo storico opificio. Cercando di non perdere la sua anima, si abbandonò il cachemire e si puntò a mantenere solo il reparto di rifinitura cercando di tenere in vita la produzione del Panno Casentino che sostiene due realtà di produzione di manufatti con questo magico tessuto: TACS e TESSILNOVA, proprio in quel di Stia mantenendo lo storico legame tra i due paesi.

Se il Lanificio chiuderà, le due storiche aziende dell’alto Casentino, dovranno trovare il “panno” fuori dalla nostra valle. Ma con la delocalizzazione Prato ha abdicato la sua vocazione produttiva ai paesi del terzo mondo e alla Cina, Soci, armai satellite di Prato, soffriva più di tutti. Poi le ultime vicende, il Covid e il rilancio del prodotto a cui si sono interessati Gucci, il Re Carlo d’Inghilterra, la vestizione del Menneken Pis a Bruxelles, il cortometraggio su Sisto Bocci presentato al festival del Cinema di Venezia; tutto lasciava ben sperare per un futuro roseo.

Poi l’ultima crisi del settore tessile ha riportato il Lanificio nel baratro, a nulla sono serviti gli sforzi degli attuali imprenditori, tutte le porte a cui hanno bussato sono rimaste chiuse. Pensate che durante il Covid un’azienda pratese ha ricevuto prestiti garantiti dallo Stato per ben 8 milioni di euro, ma per il lanificio non si riescono a trovare 200.000 euro di finanziamenti per il suo rilancio, e non stiamo parlando di fondi perduti come furono per la ristrutturazione del secolo scorso.

In effetti tutte le aziende vanno salvaguardate e sostenute soprattutto mettendole nelle migliori condizioni per prosperare e svilupparsi anche con politiche industriali supportate dalla collettività, ma in questo caso salvare quel che resta del Panno Casentino è come salvare dal degrado i nostri castelli e le nostre pievi, ma pare che tutti coloro a cui è stato chiesto aiuto abbiano declinato il sostegno, chi per difficoltà di congiuntura come la grande crisi del settore alta moda, chi per difficoltà burocratiche, chi ancora per rimbalzi di competenze istituzionali.

Ricordo da bambino, quando seguivo i miei genitori alle feste danzanti dei partiti una malinconica canzone che mi colpì moltissimo, parlava di una disgrazia in una miniera e una frase diceva pressappoco così: “manca soltanto quello dal baffo bruno, ma per salvare lui non c’è nessuno”. Pare quasi che ci sia qualche avvoltoio che non aspetti altro che il lanificio muoia per cibarsi della sua carcassa, come però abbiamo detto altre volte il Panno Casentino è magico e pare di essere stretto parente dell’araba fenice, riuscirà a risorgere anche questa volta?

Ricordiamoci che perderlo sarebbe una sciagura non solo per i lavoratori del lanificio ma di tutta la valle e allora speriamo che tutti e a tutti i livelli possano rendersi conto che la battaglia per sostenere il Panno è una battaglia per sostenere la Valle e i suoi valligiani. Chi sa cosa penserà di queste vicende il buon Sisto.

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