di Marco Roselli – Per gelata si intende un abbassamento della temperatura dell’aria al di sotto dello zero in prossimità del suolo. L’effetto di questo fenomeno può creare danni di diversa entità a seconda del tipo di gelata e a seconda di differenti fattori:
– lo stadio fenologico (es. dormienza o germogliamento) in cui la pianta si trova;
– la specie e la varietà della pianta, più o meno precoce o tardiva;
– lo stato nutritivo, maggiore presenza di nitrati porta ad una maggiore sensibilità;
– la persistenza di temperature sotto zero per un periodo di tempo più o meno lungo.
Le gelate possono essere di due diverse tipologie:
a) per avvezione, ovvero causate dall’arrivo di una massa di aria più fredda proveniente dall’Europa settentrionale o orientale. Più frequenti durante l’inverno, comportano solitamente danni minori, quando le piante versano in uno stato di riposo vegetativo detto “dormienza”, durante il quale attuano delle strategie difensive (perdita delle foglie, rallentamento al minimo dei processi fisiologici, perule che ricoprono le gemme);
b) per irraggiamento, attraverso un raffreddamento della superficie terrestre causato dall’emissione di radiazione infrarossa da parte del suolo (anche oltre 2 °C/ora). Questo raffreddamento, favorito dall’assenza di nubi e di vento durante la notte è associato, in genere, all’inversione termica. Il fenomeno determina la stratificazione del freddo verso le valli pianeggianti (zone più esposte alle gelate tardive). Poiché l’aria fredda è più densa, tende a stagnare vicino al suolo.
Cosa è l’inversione termica Ad un’altezza che di solito è intorno ai 12 metri, si trova il cosiddetto strato di inversione termica: fino a quell’altezza la temperatura sale, poi comincia a scendere nuovamente (disegno a lato).
I danni alle colture, che si verificano spesso a inizio primavera (mesi di marzo e aprile), quando è già in atto la ripresa vegetativa delle piante, sono imputabili più frequentemente a gelate da irraggiamento, ma possono essere conseguenza di un ingresso tardivo di masse d’aria fredda dal Nord – Est Europa. Le stesse masse d’aria continentale favoriscono le inversioni termiche nei giorni successivi all’evento. Per questo motivo, spesso, i meccanismi che determinano la gelata coesistono.
Un fenomeno particolare, la tasca di freddo Quando lo scivolamento verso il basso dell’aria fredda viene trattenuto da una barriera, ad esempio un fabbricato o una fila di alberi, si forma una “tasca di freddo” che può spiegare alcuni casi di gelate in collina. In ogni caso è sempre questione di temperatura limite: se a fondo valle la temperatura è -2 °C e a metà versante è 0 gradi, probabilmente il gelo colpirà solo il fondo valle. Se le temperature sono rispettivamente -5 °C e -3 °C, nemmeno la collina avrà modo di salvarsi, tanto più che in collina ci può essere anche un anticipo del germogliamento, dovuto proprio alle minime notturne più alte.
Danni da gelo Il danno, in pratica, consiste nella necrosi e morte dei tessuti erbacei data dal collassamento delle cellule dopo l’esposizione a temperature negative per un periodo di tempo abbastanza lungo, che varia a seconda degli organi colpiti (germogli, fiori e infiorescenze, frutticini in ordine di sensibilità crescente). La difesa dalle gelate tardive, dette comunemente anche “brinate”, può essere di due tipi: diretta e indiretta.
Sistemi di difesa indiretta o preventiva La difesa indiretta si può fare attraverso degli accorgimenti atti a prevenire o comunque limitare i danni causati dal gelo:
– scelta di varietà a ripresa vegetativa ritardata, per esempio impiegando una selezione di fruttiferi a germogliamento e fioritura tardiva;
– ubicazione delle coltivazioni preferibilmente in zone meno soggette a questi eventi, evitando quindi i fondovalle;
– concimazione equilibrata, senza esagerare con le concimazioni azotate, che rendono ancor più teneri e suscettibili i germogli;
– scelta della stagione di semina più o meno adatta se si parla di una coltura erbacea o ortiva coltivata in pieno campo.
Sistemi di difesa diretta o attiva La moderna storia dell’agricoltura ha cercato di trovare rimedi ad un fenomeno antico, con il quale l’uomo ha dovuto confrontarsi da quando coltiva. Varie soluzioni tecniche sono tutt’ora praticate in diverse aree del mondo. Dall’accensione di stufe o presse di paglia, con l’intento di creare calore e fumo che impediscano perdite di energia per irraggiamento, alla installazione di ventilatori che evitano la stratificazione dell’aria fredda vicino al suolo.
Irrigazione antibrina L’irrigazione antibrina, largamente praticata in Valdichiana, in Emilia Romagna e in Trentino per difendere i pescheti e i meleti, si basa su un fenomeno fisico. Si sfrutta la cessione di calore che avviene nell’ambiente durante il passaggio dell’acqua dallo stato liquido a quello solido con formazione di ghiaccio. Questa tecnica può essere realizzata con irrigatori sopra chioma o sotto chioma (quest’ultimo meno impiegato in provincia di Arezzo).
Nelle notti a rischio, durante l’abbassamento della temperatura, si accendono degli irrigatori che nebulizzano un getto d’acqua sopra le colture. L’acqua che gela cede calore all’esterno, formando una sorta di cuscinetto attorno ai fiori/frutticini. All’interno di questa camicia di ghiaccio la temperatura rimane costante tra 0°C e – 1°C, ottenendo così la protezione dal freddo esterno, che potrebbe arrivare, ad esempio, a – 4°C. Certamente l’impianto deve essere in funzione finché le temperature non risalgono al di sopra dello zero (in genere fino al sorgere del sole), pena la distruzione del raccolto proprio ad opera del mezzo atto a difenderlo.
Come tutte le tecniche anche l’irrigazione antibrina ha i suoi limiti. Questi consistono nell’elevato costo di impianto e manutenzione, nello stress da ristagno che subiscono le piante e nell’impossibilità di difendersi da gelate molto intense (oltre -6 gradi centigradi il sistema non riesce a sviluppare abbastanza calore, dovendosi formare quantità di ghiaccio gigantesche). Del resto, oltre un certo valore di gelo, non ci sono mezzi realisticamente in grado di contrastarlo.
Pratiche agronomiche e dispersione del calore Infine un fattore importante che può incidere sulle temperature raggiunte durante la gelata è lo stato della superficie coltivata. Il terreno grazie alle radiazioni diurne assorbe una discreta quantità di energia che rilascia attraverso raggi infrarossi durante la notte, con un continuo flusso di calore. Nei terreni inerbiti avremo una minor quantità di energia che riesce a diffondersi (oltrepassare il manto erboso) e quindi, durante la notte, le temperature circostanti possono essere più basse (anche di 2 °C) rispetto ad aree con terreno lavorato. Per le aziende che non dispongono di irrigazione climatizzante è molto importante, in fase primaverile, lavorare il terreno e/o tenere l’erba più bassa possibile.