di Sefora Giovannetti – Vorrei aprire questo mio scritto con due articoli, il primo estrapolato dalla Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del Cittadino, il secondo dalla Costituzione Italiana.
L’articolo 11 della Dichiarazione recita nel seguente modo: “Ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Il presente articolo non impedisce agli Stati di sottoporre a un regime di autorizzazione le imprese di radiodiffusione, cinematografiche o televisive”.
Mentre nella nostra Costituzione si trova scritto all’art. 21 che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
Ovviamente, come qualsiasi altra libertà, anche quella di pensiero è soggetta ad alcune limitazioni: non è accettabile che venga oltraggiata l’onorabilità di alcuna persona, come non si deve inneggiare ad azioni punibili dal codice penale.
Tutto il resto, cioè tutte le altre tipologie di espressioni, sono concesse dal nostro Stato, secondo cui tale libertà è una di quelle che meglio rappresenta il nostro ordinamento, come dire, è il nostro fiore all’occhiello.
Una tale premessa per esprimere tutta la mia perplessità di fronte al caso scoppiato durante la settimana del Festival di Sanremo, quando un cantante si è espresso dicendo «Stop al genocidio». Le parole hanno spezzato la pace che sembrava esistere durante la competizione canora. Sono intervenuti un po’ tutti, tra cui l’Amministratore delegato della Rai che ha voluto puntualizzare come l’emittente televisiva fosse ostile ad Hamas. Aldilà dell’ovvietà, e cioè che le persone non appoggino Hamas, mi ha sorpreso come un politico di tale portata potesse confondere una frangia politica, per una intera popolazione. Detto questo, il suddetto cantante è stato fortemente criticato, anche attraverso un comunicato stampa letto dalla povera conduttrice del momento. Non sono qui a sostenere se tale artista avesse più o meno ragione, non mi compete, ma vorrei sottolineare come siano state spropositate le reazioni a tale frase.
Stop al genocidio non è un’affermazione che invita alla violenza, tutt’altro, quindi ritengo che possa essere espressa. Alcuni mi hanno fatto osservare come tali parole, però, strizzassero l’occhio alla Palestina, e questo forse è vero. Da una tale espressione si intuisce il punto di vista di chi l’ha espressa, ma non capisco come questo possa far alzare un tale polverone. Chi non era dello stesso avviso, semmai, avrebbe potuto aggiungere, stop al genocidio e a tutte le guerre in ogni angolo della terra, ma non sentirsi in dovere di limitare il diritto ad esprimere un proprio punto di vista.
Ora, cosa c’entra tutto questo con la scuola? Forse nulla o forse tutto. In sostanza mi auguro che di questo evento si possa parlare nelle scuole, perché ritengo sia opportuno e giusto studiare Carducci, Foscolo e i grandi personaggi del passato che animano i libri di letteratura e di storia, ma ritengo sia altrettanto opportuno far entrare nelle scuole questioni attuali, se vogliamo anche spinose. I ragazzi devo imparare ad avere strumenti utili a interpretare il presente e chi, se non la scuola, dovrebbe fornirli loro?
Non siamo qui a dire con chi è giusto schierarsi, ma tentare di superare questo bieco dualismo per concentrarci su di un’etica volta alla diplomazia e alla garanzia di ogni diritto, maggiormente dei più fragili. Quindi ben vengano nelle aule i dibattiti, le discussioni su questioni attuali e i confronti che educhino i giovani allievi ad essere in futuro bravi cittadini, nel frattempo cantiamo assieme a Ghali che, in fondo, «il prato è sempre più verde e il cielo è ancora più blu».
“Scuola Società – sognando futuri possibili” è una rubrica a cura di Sefora Giovannetti e Mauro Meschini