di Sefora Giovannetti – Vorrei dedicare questo articolo agli educatori che mettono a disposizione degli altri la loro esperienza, il loro studio e la loro saggezza. Mi riferisco a coloro che si confrontano con i più giovani, con ragazzi e bambini. Preferirei non utilizzare parole che definiscano specificatamente una categoria rispetto ad un’altra, non citerò solo i professori, cercherò di utilizzare termini che travalichino i margini angusti di una categoria. Potrei dire di riferirmi in generale a coloro che si occupano di insegnamento, agli educatori la cui radice etimologica si trova nel latino ex duco, trarre fuori. Forse la parola però che convince maggiormente è maestro, il cui significato risiede in magis, cioè di più, colui che è di più.
Cosa vuol dire essere di più? Essere migliore?
L’interpretazione non sta nel giudicare una persona qualitativamente migliore rispetto ad un’altra. Quel di più si riferisce all’esperienza, il maestro è un soggetto che ha esperito e in quanto tale può offrire qualcosa a chi ha meno esperienza.
Maestro, lo ricordiamo alle elementari, quando passava tra i banchi a correggere i quaderni, a spiegarci la calligrafia e gli spazi, a darci quindi le fondamenta per poter affrontare gli anni a seguire. Erano tempi di paginate di A e poi B ecc… erano lezioni dai tempi distesi, per seguirci ci voleva pazienza, attenzione e un metodo ferreo. Alle medie gli insegnanti erano più numerosi e, volente o nolente, si sceglieva quello con cui si aveva maggiore affinità. Ricordo le bellissime lezioni di educazione artistica dove l’insegnante ci accompagnava in un mondo parallelo, quello dei colori e dello studio delle immagini. Ero rapita da quelle spiegazioni e appassionata quando realizzavo le mie opere. C’era poi l’insegnante di italiano, che riusciva con semplicità a farci confrontare e dibattere su temi anche spinosi o su autori complessi. Si accendevano in classe fervide discussioni su Leopardi, sulla sua visione della vita, sulle teorie articolate. Ricordo una grande partecipazione e la capacità immensa di chi dirigeva e sapeva dare un po’ di pepe (se mi passate il termine) alla conversazione in classe.
Adesso che mi trovo dall’altra parte, per così dire, mi rendo conto quanto sia importante e difficile dare vivacità alle lezioni, rendendo tutti partecipi in modo attivo.
È stata poi la volta del Liceo e del grande professore di storia e filosofia che ha dischiuso le porte di ciò che viene definito, metodo di studio: come si sottolinea, come si prendono appunti, come si strutturano schemi. In classe si affrontava ogni tipo di tematica con piglio analitico, tentando di essere critici. Questi citati sono solo alcuni dei personaggi rimasti nella mia memoria, ma anche altre figure sono state di altrettanta importanza, figure di passaggio, che hanno lasciato un loro contributo. È per questo che ho voluto dedicare il mio scritto a tali persone, come si diceva poco più sopra, ai maestri, alla loro dedizione e professionalità. Persone che quotidianamente si rapportano con ragazzi e bambini con cui tentano di creare un rapporto di collaborazione, cercando di condividere passioni e obiettivi. Non sempre i risultati sono entusiasmanti perché le circostanze che si presentano sono svariate, gli argomenti a volte ostici e non tutte le fasce d’età permettono lo stesso approccio. Ma l’insegnante si mantiene costante negli intenti, prosegue il cammino non rinunciando alla possibilità di raggiungere la meta accanto ai propri ragazzi.
A quale meta mi riferisco?
Alla possibilità di condividere una riflessione o una passione, all’affrontare tematiche impegnative, porsi domande su vecchi o nuovi problemi. Verrebbe da dire che quella dell’insegnante è una vera e propria missione che lo induce a scoprire le propensioni di ogni ragazzo. Attraverso le varie attività svolte, il maestro riesce a cogliere la strada che può condurre ognuno a raggiungere il proprio talento. Sarebbe riduttivo definire questa una semplice professione, siamo di fronte ad una vera e propria passione. Voglio concludere augurando ad ogni insegnante di mantenere viva questa propensione, mantenendosi lucido e attivo in ogni istante. Di essere attento a ciò che spiegherà, ma ancora più attento a chi lo starà ad ascoltare. Conservando intatto il legame che lo lega ai suoi discenti, facendo attenzione a non divenire né uno sterile burocrate di aride scartoffie, né un partecipante compulsivo a riunioni vuote e soprattutto a non rinunciare mai al proprio senso critico conquistato attraverso la lettura e lo studio. È solo mantenendo lucidità, equilibrio e capacità di analisi che saprà custodire la propria autonomia di pensiero, che, a quel punto, potrà tramandare come un prezioso testimone alle nuove generazioni. In fondo spetta al maestro indicare la via della libertà al discente, ed egli potrà indicarla solo se lui stesso l’avrà ben chiara davanti a sé.