di Anselmo Fantoni – Il Casentino è stata terra marginale, fatta di pinottolai, boscaioli e pecorai, e dove ci sono pecore non mancano latte, formaggi e lana. Siccome un tempo non c’erano problemi di rifiuti perché nulla veniva buttato, ogni cosa che la natura produceva veniva utilizzata e una volta finita la sua funzione veniva riutilizzata per altro, ma mai gettata. Gli armadi erano minuscoli, quando c’erano, i vestiti erano pochi; i tegami lo stesso, non c’erano batterie di novanta pezzi né credenze enormi per contenere stoviglie dalle mille forme e capacità. Tutto era parsimonioso ed essenziale, mia madre conobbe le banane a sedici anni! Avere beni a disposizione e trasformarli fu la conseguenza della rivoluzione industriale e anche qui da noi nacquero le prime industrie, le più importanti furono quelle tessili, a Soci con i Bocci e a Stia con i Ricci, vestigia di un passato che resiste parzialmente a Soci dopo il breve sussulto di fine XX secolo.
Da un po’ di tempo si fa un gran parlare di Panno casentino, e la nuova spinta commerciale, grazie anche alle diatribe che rischiavano di veder sparire la sua produzione, ha innescato una corsa ad accaparrarsi la sua paternità, ricercando la sua radice che però dai documenti fin qui analizzati sembra non volersi far trovare. Ne abbiamo parlato con Massimo Savelli della T.A.C.S. in quel di Stia e la chiacchierata amichevole non ha purtroppo risolto l’enigma, forse. Sono molte le famiglie in Casentino che hanno masticato fragole selvatiche, funghi e mirtilli insieme al “pan di legno” ovvero le castagne, prodotti che hanno sfamato generazioni intere pur essendo, a parte le castagne, regalati dai nostri boschi in maniera copiosa. Molte di queste famiglie hanno respirato spelo, un residuo della lavorazione della lana, e accarezzato i morbidi riccioli di un tessuto unico e cromaticamente simpatico.
È stato così anche per Massimo che fin da bambino ha sempre convissuto col ricciolo, raccontato dagli avi fino a farne un mestiere, un lavoro, un’azienda. Per lui questo prodotto unico è nato a Stia ma ricordiamo che Ricci e Bocci erano parenti, si saranno ritrovati qualche volta a pranzi familiari in cui avranno discusso di come sviluppare non solo le produzioni ma anche le vendite di tessuti, se erano parenti avranno sperimentato sinergie per prosperare. Le capacità produttive erano enormi per il tempo, piccolissime se paragonate a quelle odierne, a Stia si lavoravano tessuti un poco più pregiati, compresi anche dei broccati, ma tra di loro i lanifici si confrontavano certamente.
Se però questo tessuto unico si chiama Casentino vorrà pur dire qualcosa, forse la sua nascita è avvenuta proprio grazie alla collaborazione tra le due storiche famiglie é quindi patrimonio di entrambi, quello che Soci e Stia dovrebbero riscoprire, una nuova sinergia tra i vari attori per ricostituire un polo produttivo che rimarrà comunque l’espressione di una realtà di nicchia, il Panno non potrà mai essere un prodotto per tutti, un po’ come il nostro territorio. Siamo un insieme di qualità, un patrimonio limitato nello spazio e nel tempo, diviso tra modernità e tradizione, particolarità e comunione, contraddittorio e affascinante. Forse, più che guardarsi indietro alla ricerca delle radici di un prodotto sarebbe il caso di guardare al futuro spingendo di più sulla collaborazione tra privati e anche istituzioni per creare un’alternativa stabile allo sviluppo produttivo nella nostra bellissima valle.
E se poi il Panno fosse nato a Pratovecchio? Ma di questo ne parleremo prossimamente.