di Francesca Maggini – Il Premio Pieve nasce nel 1984, anno in cui è stato fondato, da Saverio Tutino, l’Archivio Diaristico Nazionale che raccoglie e custodisce le memorie popolari degli italiani. Oggi questo archivio vanta oltre 10 mila testimonianze frutto della memoria e dei preziosi ricordi di chi ha personalmente vissuto vicende che descrivono, partendo da un vivere e un sentire del tutto personale, spaccati di vita collettiva, pezzi della nostra società e della nostra Italia. Il Premio Pieve pertanto è un prestigioso evento culturale, un premio dedito alle memorie e ai diari e ogni anno, ormai da 40 anni, racconta testimonianze autobiografiche inedite, memorie individuali che aprono però una finestra sul mondo, su una società sempre più complessa e in continua evoluzione, dimostrando quanto sia stretto il legame tra memorie personali e storia collettiva.
Lo scorso 15 settembre nella cerimonia di premiazione finale, tra gli 8 finalisti, che concorrono con opere autobiografiche, c’era anche la casentinese Maria Rossi. Nel suo diario Terra bruciata, Maria, con grande attenzione, racconta la sua vita segnata dalla violenza coniugale; dal 1965 al 1984, ne subisce molteplici episodi aggravati dall’indifferenza generale. La sua vita appare così segnata dalla continua ricerca di una forza personale verso la rinascita per combattere la prepotenza contro di lei, contro tutte le donne. Il suo racconto, purtroppo, ha un sapore molto attuale che inevitabilmente ci riporta ai fatti di cronaca che, ogni giorno, raccontano storie di donne vittime di abusi e prepotenza.
Si sposa a 19 anni con grandi sogni e speranze che ben presto vengono infrante nelle violenze quasi quotidiane di un marito padrone, possessivo e violento. La voglia di un impegno politico, la ricerca dell’indipendenza economica e della propria autonomia sono solo alcuni dei punti salienti della sua storia. Maria, esasperata va in caserma dai carabinieri di allora per una denuncia, ma tutto rimane vano e non ne uscì neanche un verbale, come se nulla fosse accaduto.
Né un sostegno né un appoggio per uscire da questa situazione e così, contando solo sulle forze e sul prezioso aiuto del figlio che non le è mai mancato, Maria reagisce nonostante tutto e tutti e nonostante quella terra bruciata che il marito le faceva attorno criticandola per cercare di trovare una vergognosa giustificazione al suo deplorevole comportamento. Si impegna in politica, si iscrive alla scuola del partito comunista a Roma, lavora in una fabbrica della zona e poi con grandi sacrifici apre una pizzeria ad Arezzo, ma anche qui non trova pace. Solo quando il figlio ha i suoi 14 e può decidere con chi stare, Maria matura il coraggio di dire basta.
Oggi, a distanza di tanti anni, con una ritrovata serenità nello spirito, nel cuore, in armonia con tutti i suoi affetti più cari, senza mai farsi sopraffare, si racconta: «Scrivevo quando il dolore si faceva troppo forte, scrivevo quando stavo male per non morire dentro… poi, negli ultimi anni, ho deciso di raccogliere i tanti foglietti scritti di getto in quei giorni di dolore. Si tratta di pagine personali, scritte durante i momenti più duri di quegli anni, appunti di una vita, di un malessere che non ha mai trovato aiuto se non in quei stessi foglietti scritti per scaricare la paura, la rabbia, il dolore e la solitudine di un’esistenza segnata dalla violenza. Questi scritti sono preziose testimonianze che percorrono quei giorni e così, rendendoli pubblici, ho deciso di lasciare una testimonianza, un monito al futuro nella speranza che tutto questo venga posto maggiormente all’attenzione».
Dopo aver urlato al mondo la sua rabbia è una donna nuova, capace di trasmettere forza e grinta per ribellarsi ad una cultura sessista che produce solo violenze di genere persistenti e devastanti a livello fisico, personale e psicologico che incatenano e ostacolano anche la crescita personale. Quella di Maria è una testimonianza preziosa, forte e aimè molto vicina ai recenti fatti di cronaca, nel suo diario ci sono pagine interessanti, significative che toccano il cuore e le nostre coscienze. Tramite un suo personale percorso di rinascita lei l’ha scampata e vuole gridarlo al mondo per liberare se tessa da quel fardello di pensieri e sofferenza, ma anche per gettare una luce di speranza sul futuro.
Del resto la violenza sulle donne è uno dei fatti più gravi che segnano la nostra quotidianità, una triste emergenza sociale dei nostri giorni. Il suo grande desiderio di ricominciare le ha dato una nuova possibilità e le ha regalato quel sano orgoglio che le ha permesso, oggi, di raccontare con coraggio e senza paura la sua storia personale che appare come voglia di dar voce a tutte le donne prigioniere di uomini violenti, affinché non abbiano timore di dire basta, di chiedere aiuto e trasformino la loro volontà di denunciare in reale decisione di farlo.
“Terra bruciata” è un grido che squarcia il silenzio delle violenze. «Voglio dire a tutte le donne di non mollare e alle Istituzioni che è necessario cambiare approccio e regole, è fondamentale fare molto di più… basta donne ammazzate, donne offese e indifese».
La storia di Maria è quella di una piccola grande donna ed è la dimostrazione che anche di fronte ai grandi dolori e alle grandi delusioni della vita, ce la si può fare dando un taglio al passato e riprendendo in mano i propri giorni alla ricerca di una nuova meritata luce e serenità.