di Lara Vannini – Piove a dirotto, il tempo è decisamente “a neve”, ma la luce è accesa nel Museo dello Sci di Stia perché i musei sono preziosi scrigni di vita e chi li custodisce conosce perfettamente l’arte di tramandare la conoscenza alle nuove generazioni.
La sede del Museo dello Sci, collocata nel pittoresco vicolo dei Berignoli, nel centro storico di Stia, è già essa stessa un esempio bellissimo di architettura del passato, travi a vista e pavimento in cotto, mostrano un meticoloso lavoro di restauro di un ambiente messo a disposizione dalla Parrocchia di Santa Maria Assunta, realizzato dallo Sci Club e finanziato dal Comune di Stia.
Ad aspettarci c’è Lando Landi, storico consigliere dello Sci Club di Stia e l’attuale Presidente Sergio Bresciani che con grande cordialità ed entusiasmo ci fanno subito entrare nell’affascinante mondo dello Sci, fatto di storie, personaggi illustri e interessanti oggetti del passato che narrano di un tempo fatto di tanta passione e sacrificio. Circondati da trofei, storiche fotografie e numerosi cimeli e curiosità, non possiamo che immergerci subito con l’immaginazione nel periodo in cui si sciava alla Burraia, dove il vento soffiava forte ma la passione aveva il sopravvento su ogni difficoltà.
Signor Landi, ricorda le grandi nevicate a Stia e alla Burraia? «E come potrei dimenticarle! Quando la neve cadeva copiosa per giorni e giorni, isolando frazioni e poderi limitrofi, ogni mezzo era valido per spostarsi e arrivare a destinazione o dove c’era un’urgenza. L’uomo di montagna sapeva che ciclicamente doveva fare i conti con la neve, prepararsi sci artigianali e munirsi di slitte. Il medico, la levatrice, le figure di rilievo di un paese, erano ben consapevoli di quanto fosse importante muoversi sulla neve. Pensate che un tempo quando la neve isolava le maggiori strade di transito, era stato addestrato un cane che ogni mattina partiva da Porciano con una slitta caricava il pane a Stia e tornava indietro. Anche a scuola i ragazzi potevano arrivare con la slitta e ogni mezzo era buono per poter superare le difficoltà della neve. Poi con il tempo lo sci in Casentino, è diventato anche un piacevole passatempo e uno sport agonistico, ma non è sempre stato così».
Come nasce l’impianto sciistico della Burraia? «Alla Burraia c’è stato proprio il passaggio dal primo “rudimentale” modo di sciare, fatto artigianalmente ai veri e propri impianti, con scuole di sci e i primi atleti impegnati in gare competitive. Erano i primi del ‘900 quando l’avvocato Carlo Beni, nativo di Stia, e noto politico e storico italiano, in giro per il mondo sia per lavoro che per escursionismo, entrò in contatto con lo sci in Svizzera e ne carpì ogni segreto. Rientrato a Stia, decise di diffondere nel territorio casentinese la passione per lo sci, la cultura dello sport e la fabbricazione dello sci di legno, scoprendo la fibra di frassino come quella più performante e modellabile. In seguito grazie alla sinergia di appassionati e atleti dello sci come: Robert Nessmann sciatore professionista della Nazionale austriaca; Varraud, proprietario di una cartiera; Giuseppe Bartolini, noto come Beppe Sodo, in seguito figura di riferimento come maestro di sci, e molti altri volontari nel 1950 vide la luce lo Sci Club di Stia, che si fece promotore della realizzazione del comprensorio sciistico Fangacci-Burraia. Lo Sci club, iscritto alla FISI, fu un’importante iniziativa per il territorio perché non si occupò solo di sci ma anche di promuovere le gite all’aria aperta in montagna, o le colonie per i bambini, entrambi importanti momenti di aggregazione».
Quali furono gli anni di maggiore attività? «Agli inizi degli anni ’60 La Burraia contava 3 impianti meccanici di risalita, 3 piste di discesa che si snodavano a valle dalla cima del Monte Gabrendo (1539) e ben due rifugi: lo Chalet del Monte Gabrendo e il Rifugio “La Burraia”. Oltre alla buona cucina sia toscana che romagnola, il Notiziario stagionale 1956-57 teneva a precisare che i servizi offerti erano completi perché includevano sia la Radio che la televisione, esisteva la possibilità di iscriversi ai campi scuola e di fare “gite magnifiche” negli sconfinati prati della Burraia. Purtroppo negli anni ‘80 piano piano l’impianto della Burraia è stato smantellato, per una serie di motivazioni tra le quali la tutela ambientale e la necessità di rinfoltire la foresta con nuovi alberi. Oggi è attiva solamente la stazione sciistica di Monte Falco-Fangacci che guarda il versante romagnolo, sicuramente un luogo ideale per chi si approccia per la prima volta allo sci e vuole trascorrere una domenica in allegria».
Che ricordi ha delle domeniche sulla neve? «Ricordo che inizialmente chi andava a sciare alla Burraia veniva portato sulle piste da chi aveva il trattore. Gli impianti di risalita non esistevano e così una volta giunti a valle la risalita doveva essere fatta a piedi con gli sci sulle spalle. Ovviamente non esisteva l’abbigliamento tecnico con cui siamo abituati ad andare a sciare oggi, per proteggersi dal freddo venivano usati dei comuni maglioni di lana che purtroppo con il progredire delle ore e delle cadute puntualmente si inzuppavano d’acqua! Il rifugio della Burraia, che vediamo ancora oggi era il luogo ideale sia per rifocillarsi sia per togliersi i vestiti bagnati. Le donne sciavano in gonna perché il pantalone non rientrava tra i capi di abbigliamento femminili. Ricordo le domeniche in cui Beppe Sodo apriva il rifugio e si cucinava il minestrone caldo o le salsicce. Pasti semplici e genuini che avevano il potere di scaldarci e ricaricarci di energie. Quando poi negli anni ’60 arrivò anche in Casentino la moda dello sci di “elite”, il perfetto sciatore della domenica sciava vestito di tutto punto con giacca e cravatta! Iniziarono ad essere istituite delle corriere di linea che da valle portavano alla Burraia, e lo sci divenne un piacevole passatempo. Lo “sci artigianale” veniva praticato anche nella vicina Consuma nella zona dove oggi è presente l’albergo Miramonti. C’era un mulattiere che tramite delle corde e il proprio mulo, aiutava gli sciatori nella fase della risalita. Il divertimento era assolutamente al primo posto e le risate non mancavano mai».
Come racconta Stia le proprie tradizioni? «All’interno del progetto “Ecomuseo del Casentino, a Stia ci sono tre interessanti musei di storia, tradizioni e antichi mestieri: il già citato Museo dello Sci, il Museo del Bosco e della Montagna e il Museo Ornitologico “Carlo Beni”. Questi tre musei, raccontano la storia di Stia ma in generale la vita di montagna dell’alto Casentino, i mestieri, gli usi e i costumi, la fauna, e le attività lavorative preminenti del passato. Il Museo dello Sci nato nel 2000 su iniziativa dello Sci Club, è suddiviso in due sezioni: il comparto storico e il comparto sportivo. Numerosissimi paia di sci, da quello più rudimentale in legno a quelli più performanti ed agonistici, ci raccontano di un passato fatto di rigidi inverni, copiose nevicate, vittorie sportive e grande divertimento. Dal primo scarpone in cuoio, legato con stringhe di fortuna, a tenute da sci recuperate da vecchi impermeabili, ogni oggetto racconta la voglia di rendere uno sport con il tempo diventato elitario, alla portata di tutti. Molti oggetti donati sono arrivati da collezionisti della provincia di Arezzo ma non mancano oggetti dalla Toscana e da tutta Italia come la cabina dell’ovovia dell’Abetone, realizzata con lo stesso stampo dell’Ape piaggio o sci donati da nomi illustri dello sport».
Signor Landi la sua passione per la montagna si ferma allo sci? «No, assolutamente! Io amo la montagna a 360 gradi, sono stato io stesso uno scalatore e mi sono cimentato con le più note vette Europee, dal Monte Rosa, al Monte Bianco e al Cervino, per poi andare sull’Island Peak sull’Himalaya a oltre 6000 m e in Tanzania sul Kilimanjaro, una delle esperienze che mi hanno messo più alla prova soprattutto per l’escursione termica che esiste dal campo base alla vetta a cui il fisico non ha il tempo di abituarsi. La montagna è qualcosa che ormai fa parte di me e alla quale io ho dedicato tutta la mia vita».