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domenica, 27 Aprile 2025
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Le marze per gli innesti

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di Marco Roselli – L’innesto, insieme con la talea, la margotta, la propaggine, è una tecnica di moltiplicazione o propagazione agamica delle piante arboree da frutto. L’innesto è una pratica molto antica, secondo certi autori già conosciuta dai cinesi alcuni secoli prima di Cristo e certamente praticata dai Fenici e dagli Egizi nonché dai Greci e dai Romani. L’applicazione pratica di questa tecnica deriva, probabilmente, dall’osservazione intelligente di qualche agricoltore di innesti spontanei per approssimazione, che consistono nella saldatura permanente dei tessuti di due rami o branche rimaste a contatto tra loro per un certo periodo di tempo. Dall’unione di due parti di una stessa pianta all’unione di due parti di piante diverse, il passaggio deve essere stato breve e così è nato l’innesto come tecnica agronomica per diffondere le varietà desiderate, mantenendone inalterate le caratteristiche. Ciò non avvenire nella propagazione per seme, a causa dell’eterozigosi più o meno accentuata che dà luogo ad una spiccata variabilità genetica dei caratteri nei semenzali della stessa cultivar da frutto.

Perché si innesta L’innesto è fondamentalmente una pratica di ingentilimento delle piante. Passeggiando in campagna, un occhio attento può facilmente riconoscere le piante “selvatiche” ovvero nate spontaneamente da semi portati dal vento o più frequentemente dagli animali (ad esempio, il ciliegio ha nome latino Prunus avium, “degli uccelli”, ed è facile intuirne il motivo). Queste Piante nate da semi di cui si ignorano i genitori e sviluppatesi in ambiente non coltivato (es. bosco) hanno sempre alcune caratteristiche intrinseche alla loro origine genetica: – Sono molto vigorose e eterogenee. – Hanno una lenta entrata in produzione. – Quando la produzione arriva è scarsa e alternante. – Hanno una tendenza ad avere gemme spinose anziché fertili, tipico carattere selvatico.

Tra i loro aspetti positivi ci sono la rusticità, da intendersi anche come resistenza alle più comuni malattie delle piante da frutto. Ciò non di meno, sarebbe difficoltoso realizzare un frutteto amatoriale usando queste piante così come si trovano allo stato spontaneo, ecco perché già nell’antichità avevano capito che con l’innesto si potevano ottenerne indubbi vantaggi. Alcuni vantaggi dell’innesto: 1. Indebolire la vigoria di una varietà per anticiparne l’entrata in fruttificazione e ridurne lo sviluppo della chioma. 2. Diffondere una varietà che ci interessa. 3. Sostituire una varietà, quando ci accorgiamo che questa, purtroppo non produce. 4. Prevenire malattie o attacchi parassitari (per esempio l’impiego della vite americana, quale portinnesto, contro la fillossera). 5. Adattare una specie o una varietà a un terreno o a un clima non idoneo. 6. Ringiovanire e/o rinvigorire una pianta vecchia, ammalata o debole, innestando sul tronco una o più marze prelevate da una pianta giovane. 8. Ricostituire le branche o parte della chioma, distrutte da eventi metereologici o attacchi parassitari, così come inserire gemme su branche che ne sono prive, al fine di ottenere chiome regolari. Questi sono solo alcuni dei motivi che hanno spinto l’uomo a migliorare le tecniche di innesto e come è evidente l’ingentilimento è uno dei principali da cui diversi altri discendono.

Definizione di innesto “Unione durevole ed efficiente di porzioni di piante diverse nella costituzione di un nuovo individuo” Da questa definizione ne discende che deve avvenire una saldatura tra i tessuti del nesto e quelli del portainnesto quindi, in sostanza, l’innesto consiste nel far saldare una parte viva di pianta (definita nesto, oggetto o gentile) destinata a formare la chioma del futuro esemplare su un’altra pianta definita portainnesto (detto anche soggetto) che ha il compito sia di sostenere e ancorare sia di assorbire le sostanze nutritive dal terreno. Le parti, provenienti da due piante diverse, danno così origine a un nuovo esemplare bimembre. Ognuna delle due parti, o bionti, infatti, pur dipendendo dall’altra per l’alimentazione, conserva la propria individualità. Da ciò il nome di marza dato alla porzione superiore che costituisce la chioma e di portinnesto (o soggetto) alla porzione inferiore al punto di innesto.

Il soggetto può aver avuto origine da: a) seme: in tal caso lo si chiama franco, se deriva dal seme raccolto da una pianta coltivata; selvatico, se deriva dal seme (sovente raccolto nei boschi) di una pianta spontanea; b) talea; c) barbatella; d) pollone; e) pianta già innestata. Soggetto e oggetto possono anche appartenere a specie diverse.

I tipi di innesto I tipi di innesto sono molteplici, per adattarsi alle esigenze specifiche delle varie piante. A seconda dello stato di lignificazione dei bionti, gli innesti si suddividono in erbacei, semi legnosi e legnosi. Tra gli innesti legnosi si trovano l’innesto a gemma, quando il nesto è fornito di una sola gemma, e l’innesto a marza quando il nesto è costituito da una porzione di ramo con almeno due gemme.

Come accennato in questo primo articolo ci occuperemo degli innesti a marza mentre più avanti nella stagione affronteremo anche gli innesti a gemma (gemma dormiente e gemma vegetante).

Istogenesi dell’innesto Per la riuscita di qualsiasi tipo di innesto deve avvenire una saldatura tra i tessuti dell’oggetto e quelli del soggetto. Questo fatto è un vero e proprio miracolo della natura, ma richiede che alcuni requisiti siano soddisfatti, pena il fallimento dell’operazione. Ruolo fondamentale è quello del cambio, una esile parte di tessuto meristematico posto tra il libro (tessuto sotto la corteccia) e l’alburno (tessuto interno al cambio stesso) in grado di far accrescere le piante in senso diametrale e responsabile del lavoro di saldatura e cicatrizzazione di questo vero e proprio “matrimonio” tra parti di piante diverse.

Dopo che la marza e il portainnesto sono stati uniti, il cambio da ordine alle cellule di produrre il cosiddetto “callo di cicatrizzazione” e di moltiplicare la parte di tessuto del portainnesto, atta ad unire i canali vascolari dei due bionti, in modo che la nuova parte non muoia. Questo processo richiede alcuni giorni, ecco perché le marze devono essere assolutamente in stato di riposo al momento dell’innesto, mentre è auspicabile che il portainnesto abbia avviato l’attività vegetativa.

Affinità di innesto Tra piante di specie diversa non esiste affinità perché non c’è compatibilità tra i tessuti: il nesto non si salda al portainnesto o in breve tempo avviene il rigetto. Non si può quindi innestare un ciliegio su un olivo o su un melo. Esiste una affinità tra specie diverse appartamenti però alla stessa famiglia, (tra cotogno e pero, tra ciliegio di Santa Lucia e ciliegio dolce oppure, al limite, tra biancospino e pero o anche tra pesco e susino). E’ chiaro che hanno maggiore probabilità di riuscita quelle combinazioni in cui i due bionti sono botanicamente vicini.

Innesto a marza Prevede l’impiego di una porzione (marza) di ramo lignificato provvista di 2-3 gemme, che viene inserita sul portinnesto mediante opportune fenditure e intaccature. L’epoca di esecuzione varia dalla seconda metà dell’inverno fino all’inizio della primavera e la marza deve trovarsi in totale stato di riposo. Le principali tecniche di innesto a marza sono: innesto a spacco diametrale (es. reinnesto vite), doppio spacco inglese, triangolo e corona (es. reinnesto fruttiferi). Marze: consigli per la raccolta e la conservazione – Come detto, la varietà deve essere affine al portainnesto. – Si prelevano rami di un anno provvisti di gemme a legno del diametro di circa 10 mm. – Il materiale deve essere esente da malattie. – Si scelga la marza prelevandola dalla parte mediana del ramo. – Epoca indicativa di raccolta: tra gennaio e febbraio. – Le marze vanno conservate a 4° C in sacchi di film nero (di solito si mettono nel frigorifero di casa in un sacchetto di plastica in cui siano stati praticati dei fori) ma possono essere tenute anche in cantina, sotto sabbia mantenuta umida ma non fradicia.

Al termine del lavoro si chiude la ferita con mastice per innesti.

Quando i due non vanno d’accordo… Che stare insieme sia una vera sfida lo sappiamo tutti e l’innesto delle piante rappresenta una metafora davvero azzeccata. E’ esperienza comune ritrovare grosse ciambelle anche a 1 metro da terra di vecchie piante da frutto. In questi casi l’innesto (il matrimonio) si è protratto a lungo ma è anche possibile che duri pochissimo con il risultato che il punto di innesto si frattura e le due parti si separano.

A Stia torna il Gran Veglione di Carnevale

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COMUNICATO STAMPA – Dopo molti anni di assenza, finalmente torna uno degli eventi più amati e attesi del Casentino: il Gran Veglione di Carnevale di Stia! Grazie alla collaborazione con Francesco Z., la Società del Carnevale di Stia ha riportato in auge questa storica tradizione, regalando al paese e a tutta la vallata una serata indimenticabile all’insegna dello spettacolo, della musica e del divertimento.

Sabato 22 febbraio 2025 il Teatro di Stia si trasformerà in un palcoscenico di festa, pronto ad accogliere tutti coloro che vorranno vivere un Carnevale unico e travolgente! La serata inizierà con una cena spettacolo dove il divertimento farà da padrone: cantando e ballando, ci si immergerà in un’atmosfera di pura allegria, accompagnata dall’emozionante Brazilian Show! Costumi ammalianti, colori sfavillanti e ritmi travolgenti trasporteranno tutti nella magia del Carnevale brasiliano.

Dopo cena, si apriranno le danze con un DJ set tutto da ballare e cantare a cura di @Lello Show e @Dj Debs, per scatenarsi fino a tarda notte. Preparate il vostro costume migliore! In palio premi speciali per le tre maschere più originali della serata, grazie alla collaborazione con molte attività del Comune e non solo. L’evento è reso possibile grazie alla collaborazione con Pro Stia, con il servizio di catering curato da Eventy Catering.

Dopo tanti anni, il Gran Veglione di Carnevale è pronto a tornare più spettacolare che mai! Teatro di Stia
Sabato 22 febbraio 2025
Non mancate, sarà una gran festa!

Sarà Elena Lippi a dare il volto alla bella popolana Bartolomea

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da Carnevale Storico di Bibbiena – Sarà Elena Lippi a dare il volto alla bella popolana Bartolomea, detta Mea, per l’edizione 2025 del Carnevale storico. La ragazza che vestirà i panni della più bella del paese è stata presentata al “popolo di Bibbiena” giovedì 20 febbraio nella Sala delle Bandiere del municipio, prima del Consiglio comunale.

Classe 2002, Elena segue il corso di laurea magistrale in Storia all’Università di Siena e si è laureata con una tesi in storia medievale sulle antiche attività lavorative nella vallata casentinese, in particolare sulla produzione laniera e del legno, sulle botteghe artigiane e sul baliatico delle donne casentinesi presso l’Ospedale degli Innocenti. Elena ha giocato per anni a pallavolo, forte anche della sua altezza, in particolare negli ultimi anni della sua carriera ha giocato con la VBC Arnopolis di Pratovecchio Stia: «una bellissima famiglia e una grande passione che purtroppo ho dovuto abbandonare per un infortunio al ginocchio – commenta – Continuo comunque a fare movimento soprattutto a contatto con la natura, infatti nel tempo libero mi piace fare passeggiate con il mio cane, andare a cavallo, fare giardinaggio e scattare foto all’aria aperta, oltre che viaggiare per l’Europa». Elena fa parte del consiglio dell’AVIS che aiuta nell’organizzazione della festa dei giovani in programma in estate: «Penso che sia una bella realtà ed è molto importante coinvolgere i giovani nella donazione del sangue».

Sul Carnevale storico già suo nonno, anche se viveva a Ortignano, andava sempre a vedere il Carnevale di Bibbiena e un aneddoto che amava raccontare alla nipote era che il “pomo” veniva decorato con mandarini e arance e una volta che si era avvicinato per prenderne una, poiché era l’ultimo di sei figli e le arance erano merce rara, aveva davvero rischiato di bruciare insieme alla pianta di ginepro. Negli anni poi suo padre aveva iniziato a vestirsi da guardia convincendo poi anche la mamma, originaria di Talla, che aveva indossato gli abiti da piazzolina (nobile). «Una decina di anni fa la mia biscugina Arianna Lippi ha interpretato la Mea e prima di lei lo aveva fatto anche sua mamma, quindi nella nostra famiglia la tradizione del Carnevale storico è molto sentita. Io mi sono vestita fin da bambina indossando i panni dei fondaccini (popolo, ndr), poi ho iniziato ad aiutare l’associazione vestendomi anche da nobile e qualche volta da Mea, quando la protagonista
era assente, come per il Capodanno dell’Annunciazione nel 2023 ad Arezzo e nel 2024 a Massa Marittima. Mia mamma ha riscoperto con me la passione per il Carnevale affiancandomi nelle sfilate. Mi piace cogliere l’opportunità di mettere in pratica la passione che ho per la danza, i giochi e le tradizioni del Medioevo, dato che sto anche cercando di farne un lavoro. Soprattutto sono contenta che si sia realizzato il desiderio di mio nonno, ai cui occhi ero ovviamente bella e lui mi diceva sempre che essendo castana avrei potuto interpretare la lavandaia Bartolomea, purtroppo lui è mancato nel 2019, ma spero che da lassù possa vedermi ed esserne felice» – racconta commossa.

Cecco, che la leggenda vuole fidanzato con Mea, sarà invece interpretato da Gabriele Bertelli, i cui nonni Adriana e Mario hanno sempre coltivato la passione per il Carnevale, partecipando attivamente e aiutando negli allestimenti insieme al figlio Cesare. «I suoi nonni sono sempre stati vicini di casa dei miei nonni e abbiamo sempre scherzato sul fatto che se fossi mai stata la Mea lui avrebbe vestito i panni di Cecco. Speriamo di trasmettere il nostro entusiasmo anche alle giovani
generazioni, intanto ho convinto il mio gruppo di amici, che studiano fuori ma hanno radici in Casentino, a vestirsi insieme a me!».

Oltre le parole…

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di Federica Andretta – «La fotografia siamo noi che la facciamo, ci rappresenta. È impudica, e a diffonderla occorre coraggio. Lo so che oggi come oggi miliardi di fotografie sono condivise con la massima leggerezza e noncuranza sui social network. Ma non è il tipo di foto di cui stiamo parlando. Qui parliamo delle fotografie che realizziamo quando siamo presi da un impeto di creatività o di desiderio; sono le fotografie necessarie, o inevitabili. Nascono al di là della nostra volontà, e a prescindere dal soggetto, rappresentano sempre un po’ di noi».

Leggendo le parole di Marco Scataglini non possiamo non condividere il fatto che la fotografia sia qualcosa che ci rispecchia. Ogni qualvolta ne scattiamo una, ci mettiamo dentro un po’ di noi. Dietro ad ogni scatto si cela un lato nascosto della nostra personalità che a volte non vogliamo mostrare, ma che nella fotografia esce dirompente come un fiume in piena. Una foto non riproduce soltanto ciò che si mostra dinanzi a noi, non è solo qualcosa di realistico; rappresenta piuttosto un portale che conduce al nostro Io più profondo, è quel qualcosa che si nasconde per paura del mondo, ma che attraverso una foto trova il coraggio di farsi conoscere. Grazie alla propria immediatezza la fotografia è un mezzo senza tempo tanto semplice quanto potente per comunicare ciò che a parole non sapremmo fare. Esprime molto più delle parole, è un racconto non detto ma visto. Va oltre.

Wynn Bullock direbbe che «[la macchina fotografica] può vedere nel passato, nel presente e nel futuro. Invece di usare la macchina fotografica solo per riprodurre oggetti, ho voluto usarla per rendere visibile ciò che è invisibile agli occhi».

Abbiamo intervistato il fotografo Mario Cavigli e Michel Scipioni, Presidente dell’Associazione Mazzafirra, riguardo un Corso Base di Fotografia che si è svolto settimanalmente presso la biblioteca di Bibbiena e non solo.

Mario, da quanto tempo ti dedichi alla fotografia? Di che tipo di fotografia ti occupi? Hai dei modelli a cui ti ispiri? «Mi occupo di fotografia a livello amatoriale da quando avevo 14 anni quando sviluppavo i primi negativi tra il bagno e la cameretta. Ho frequentato circoli fotografici e collaborato con agenzie pubblicitarie e dagli Anni ’90 mi occupo di grafica; ho lavorato inoltre nel mondo della stampa. Non ho mai praticato la fotografia professionalmente, ma mi ha accompagnato sempre in questi anni. Dal lato tecnico-teorico non mi manca nulla anche se non ho operato sul campo. La fotografia che prediligo è quella narrativa, la street photography, il reportage e i cosiddetti portfolio. Nulla da togliere alla fotografia naturalistica che tanto affascina il pubblico ma poco racconta in cambio di una difficoltà tecnica che la rende molto difficile da praticare. In alternativa, una fotografia che narra una storia (magari non eseguita correttamente) ci trasporta nel mondo legato al contenuto di ciò che fotografiamo coinvolgendo i sentimenti in maniera più diretta. Gli stili fotografici sono tanti ma i fotografi che mi hanno sempre coinvolto di più sono molti e ne indicherò solamente alcuni: Elliot Erwitt, H.C. Bresson, Steve McCurry, Luigi Ghirri, Stephen Shore, G.B. Gardin, Ansel Adams, S. Salgado, G. Basilico… e poi alcune donne (straordinarie fotografe) come Diane Arbus, Dorothea Lange o la più incredibile e spettacolare Vivian Maier. Il lato più tecnico lo ha seguito Valter Segnan che si occupa di fotografia professionalmente: è esperto di fotografia sportiva e fotografia di opere d’arte. La sua passione è la fotografia naturalistica che pratica in concomitanza con uno dei suoi tantissimi hobby, cioè il trekking. Sono tanti anni che questa professione lo accompagna con ottimi risultati. Moltissimi gli espedienti tecnici che ha imparato in questi anni e i segreti delle tecniche fotografiche non conosciuti dalla maggioranza. Una padronanza invidiabile del mezzo e una non comune modestia ne fanno un ottimo insegnante».

Michel, l’Associazione Mazzafirra ha organizzato un Corso Base di Fotografia conclusosi a gennaio. Quando è iniziato? Quanti docenti si sono occupati dell’organizzazione del corso oltre a te? «Mazzafirra APS, Associazione di promozione sociale con sede a Bibbiena e fondata nel 2014, ha organizzato un Corso Base di Fotografia che si è svolto da ottobre 2024 a gennaio 2025. Le lezioni teoriche si sono tenute nella sede operativa dell’Associazione (all’interno dei locali della Biblioteca di Bibbiena) mentre la parte pratica si è svolta all’aperto. L’iniziativa, patrocinata dai Comuni di Bibbiena e Poppi, ha visto la partecipazione di 15 neofiti della fotografia provenienti da tutto il Casentino. A guidarli nell’apprendimento per la parte tecnico-artistica i fotografi Valter Segnan e Mario Cavigli, mentre per la sezione storica il docente sono stato io, Michel Scipioni».

Come e quando nasce Mazzafirra? Di quali attività e progetti si occupa? «Mazzafirra svolge dal 2014 la sua attività prevalentemente nel settore dell’editoria, come casa editrice specializzata in pubblicazioni d’arte ma anche nell’organizzazione di mostre ed eventi culturali, nell’allestimento e gestione di musei e luoghi sacri, in catalogazioni ministeriali e per privati, in expertise e valutazioni, nella realizzazione di fotografie d’arte e restauri, collaborando di volta in volta con vari professionisti del settore. Il nostro sodalizio coopera da anni sia con le più importanti istituzioni religiose in Toscana (prevalentemente con gli Ordini Camaldolese, Domenicano e Francescano) sia con numerosi Enti pubblici per i quali ha organizzato pubblicazioni, mostre, allestimenti ed iniziative di promozione culturale e del territorio. Tutte le nostre attività sono orientate a favorire una maggiore fruizione e consapevolezza del patrimonio storico-artistico in Toscana con la finalità di dare maggiore completezza comunicativa a tutti quei luoghi o complessi che si trovano fuori dalle principali rotte “turistiche”. Ad oggi Mazzafirra vanta un catalogo di quasi trenta pubblicazioni nel campo dell’editoria d’arte, frutto di collaborazioni di rilievo tra cui quella con gli Uffizi o con la Regione Toscana. Oltre alla gestione delle visite di numerosi luoghi sacri e sedi di Fondazioni private, Mazzafirra ha curato l’organizzazione di oltre venti mostre e di numerosi eventi culturali. Fin dalle sue origini un aspetto centrale della missione di Mazzafirra è stata la formazione di giovani studiosi nell’ambito storico-artistico, testimoniata da importanti collaborazioni accademiche come la convenzione per i tirocini curriculari con le università di Firenze e Siena».

Il corso si è svolto nella biblioteca di Bibbiena con appuntamenti settimanali. È la prima volta che l’organizzate o è un corso ricorrente nel programma di Mazzafirra? «Mazzafirra, fin dalla sua fondazione, si dedica alla realizzazione di campagne fotografiche professionali in ambito artistico con un focus particolare su opere d’arte e architettura. Questa attività sostiene principalmente il settore editoriale che rappresenta la principale fonte di finanziamento dell’azienda. Sin dal primo anno di attività (nel 2014) Mazzafirra ha promosso un Corso Base di Fotografia, iniziativa a cui negli anni successivi si sono aggiunti corsi avanzati principalmente dedicati alla fotografia naturalistica e artistica».

Al corso ha partecipato una quindicina di persone. Immagino che si tratti di principianti essendo un corso base. E di che età più o meno? «Il Corso Base di Fotografia ha registrato il tutto esaurito con 15 partecipanti (il massimo dei posti disponibili). L’età dei corsisti era estremamente varia, includendo (in numero equilibrato fra uomini e donne) giovani appena maggiorenni e uomini adulti».

Gli allievi hanno partecipato anche ad uscite serali. Di che tipo di eventi si è trattato? «Il corso è stato progettato per combinare attività teoriche in aula con uscite pratiche di fotografia. Queste uscite sono state equamente suddivise tra sessioni di street photography, dedicate alla cattura di ambienti antropizzati come borghi e città, e uscite naturalistiche, svolte nel suggestivo scenario di Camaldoli all’interno del Parco Nazionale».

Progetti e iniziative future? «Mazzafirra proseguirà il suo impegno nella fotografia professionale con numerose campagne fotografiche già pianificate in tutto il territorio nazionale da Taormina a Torino. Parallelamente, continuerà a dedicarsi all’editoria e all’organizzazione di mostre ed eventi culturali consolidando il proprio ruolo nel panorama artistico e culturale italiano».

Il sindaco Santini unico assente alla conferenza di sanità sul 118

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da Gruppo FUTURA, COMUNICATO STAMPA – Il sindaco di Pratovecchio Stia non si è neanche presentato alla Conferenza di Sanità della vallata, organizzata in occasione della presentazione del nuovo Direttore Generale della ASL, durante la quale tutti gli altri sindaci hanno cercato una soluzione alle difficoltà delle associazioni di volontariato che garantiscono il servizio di emergenza 118.

Da tempo in molti si fanno e ci fanno questa domanda: ma il sindaco Santini dov’è? Cosa ha da fare di così importante e urgente da saltare quasi tutti gli impegni istituzionali?
Perché ormai la lista delle assenze non solo si sta allungando, ma soprattutto si sta aggravando in termini di importanza degli eventi dove l’amministrazione di Pratovecchio Stia risulta non pervenuta. Fino a quando ha mantenuto la carica di Presidente del Parco abbiamo cercato di essere comprensivi, d’altronde doveva parlare con i ministri, mica poteva occuparsi delle quisquilie dell’incarico sindacale.
Dopo abbiamo pensato che avesse qualche indisposizione, cosa che può succedere a tutti, perché per farsi sostituire alla cerimonia del 4 novembre, appuntamento istituzionale per eccellenza, sicuramente doveva esserci un valido motivo.

Le nostre perplessità sono aumentate quando non l’abbiamo visto ai tanti momenti importanti della nostra vita comunitaria, nei quali si è fatto sostituire dai suoi assessori o dalla presidente del consiglio: Santa Cecilia, Santa Barbara, Virgo Fidelis, Fiesole sono solo alcune delle occasioni dove normalmente il sindaco rappresenta la comunità che gli ha assegnato il compito di guidarla. D’altronde, abbiamo pensato da persone di lunga esperienza amministrativa, l’importante è che sia presente qualcuno dell’amministrazione, se non è il sindaco peccato ma non si muore. Quindi zitti, nemmeno mezza polemica, proprio perché siamo convinti che l’opposizione abbia il compito di evidenziare carenze più di sostanza che di forma. Giunge però un momento in cui la presenza si trasforma in sostanza e allora non possiamo più restare in silenzio.

Nei giorni scorsi si è tenuta la conferenza di sanità casentinese, durate la quale il nuovo direttore generale della ASL si è presentato a tutti i sindaci della vallata.
Indovinate un po’ chi era l’unico assente?
Sempre lui, il sindaco Santini, che nell’occasione non ha avuto nemmeno il garbo di farsi sostituire da un assessore o finanche da un consigliere, giusto per far vedere che l’amministrazione di Pratovecchio Stia ci teneva a esserci.
Ma l’aspetto più grave non è quello della rappresentanza istituzionale, comunque rilevante davanti al massimo esponente della nostra ASL. Il motivo per cui abbiamo deciso di affrontare la questione è che proprio in occasione della presentazione del Direttore Generale è stato affrontato il tema, estremamente problematico, dell’emergenza 118 in Casentino, uno dei massimi elementi di criticità per la salvaguardia della salute nella nostra vallata. Alla presenza delle associazioni di volontariato, che sempre più faticano a sopportare i carichi di impegno per i turni dell’emergenza con il conseguente rischio di avere problematiche nella garanzia del servizio, i sindaci hanno cercato di approfondire le possibili soluzioni per risolvere la questione.

E Pratovecchio Stia, che tra l’altro vanta 3 solide realtà di volontariato impegnato nel 118, da chi era rappresentata? Da nessuno. In solo otto mesi siamo passati dalla promessa di far riaprire il punto nascita all’assenza persino sulle problematiche più impattanti per tutti, come l’emergenza del 118. Probabilmente qualcuno si aspettava qualcosa di più. Noi, in realtà, no, ma l’unica cosa che possiamo fare è segnalare quello che sta accadendo, sperando che almeno questo lo spinga a cominciare a fare il sindaco.
Perché una cosa è certa: sino a ora tutto ha fatto fuori che quello.

La Toro Wood tira dritto e rifiuta di incontrare la Cgil

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da CGIL Arezzo – La Toro Wood si è rifiutata di incontrare la Cgil per discutere del futuro dei lavoratori adesso Hsg e che a maggio dovrebbero passare nel suo libro paga.
Visto che la Toro non ha acquisito solo lo stabilimento ma anche il ramo d’impresa e quindi attività, macchinari e dipendenti, per noi è scontato che questo passaggio ci debba essere – commenta Alessandro Mugnai, dirigente Filctem Cgil. Scontato per noi ma non per la Toro Wood alla quale avevamo chiesto un incontro proprio per verificare questa strana situazione”.

La risposta è stata lapidaria più che sintetica: “Vi comunichiamo che abbiamo già discusso sulla questione in occasione del nostro incontro in Prefettura lo scorso 31 Gennaio precisando chiaramente la nostra posizione relativa al Ramo d’azienda”.
Di analogo tenore la risposta della curatrice fallimentare che la Cgil aveva invitato all’incontro con l’azienda: “Si ritiene, in sede di prima riunione tenutasi presso la Prefettura di Arezzo, in data 9.1. u.s., di aver ampiamente esaurito le richieste di chiarimenti ed approfondimenti normativi e procedurali che hanno interessato le attività di vendita del ramo d’azienda”.

La reazione della Cgil: la richiesta di un nuovo incontro al Prefetto, al quale ha inoltrato le risposte della Toro Wood e della curatrice fallimentare.
E’ evidente – conclude Mugnai – che la Toro Wood non ha alcuna intenzione di proseguire l’attività tessile. Questa volontà cancella una delle eccellenze produttive del territorio, in controtendenza rispetto alle altre imprese del settore. Elimina, soprattutto, 14 posti di lavoro. La Toro Wood appare intenzionata ad andare allo scontro non solo con i lavoratori e il sindacato ma anche con i sindaci del Casentino e quindi con la comunità locale. Ed è altrettanto evidente la sua decisione di non tener conto degli inviti della Prefettura a trovare una soluzione ragionevole. Avrà, da parte dei lavoratori e della Cgil, la risposta che merita”.

 

River Piper ospita i protagonisti delle notti casentinesi anni ’90, Porto e Manhattan

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COMUNICATO STAMPA – Un evento storico: Il Club River Piper ospita i protagonisti delle notti anni ’90 nella Vallata Casentinese. Il celebre Club River Piper sotto la direzione artistica del noto artista locale Comakema e del Club Manager Riccardo Lanini, è entusiasta di annunciare un evento imperdibile per tutti gli amanti della musica e delle atmosfere nostalgiche degli anni ’90. Sabato 22 Febbraio, il Club accoglierà i protagonisti delle indimenticabili notti anni ’90 della Vallata Casentinese, River Piper, Porto Club di Poppi e Manhattan di Soci ,per una serata che promette di far rivivere le emozioni di quei tempi d’oro.

La Famiglia Lanini, proprietaria del Club, ha voluto dare un segnale forte alla vallata, con una politica di apertura alle collaborazioni. Commenta Lanini: “Ormai siamo rimasti l’unico luogo dove è possibile fare pubblico spettacolo e non possiamo permetterci di rimanere indietro rispetto alle altre realtà vicine. Questo però è possibile, solo se i Casentinesi rispondono come hanno fatto in queste ultime serate. Li ringraziamo tutti per la grande partecipazione e dell’affetto mostratoci.

L’evento vedrà la partecipazione di DJ storici che hanno fatto ballare generazioni, e artisti locali che hanno segnato un’epoca con la loro musica coinvolgente. Sarà l’occasione perfetta per incontrare vecchi amici, fare nuove conoscenze e immergersi in un’atmosfera unica, arricchita da luci e suoni che richiamano l’energia e la magia degli anni ’90.
Le porte si apriranno alle ore 22.30 e la serata proseguirà fino a tarda notte, con una serie di performance che sapranno farvi ritornare indietro nel tempo.
Vi aspettiamo numerosi per una serata all’insegna della musica e del divertimento!
Viva il Casentino!

La ricetta del mese: il tortino di patate

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di Anselmo Fantoni – Una volta non avevamo disponibilità di verdure tutto l’anno, ora quelle invernali cominciano a scarseggiare e le primaverili ancora non sono pronte, così abbiamo pensato alla patata che sii conserva per lungo tempo senza tecnologie particolari, un luogo fresco e asciutto, al riparo dalla luce è sufficiente. Dopo la scoperta dell’America questo tubero ha sfamato per secoli le classi più povere dei territori più marginali e non solo.

Di ricette ce ne sono a migliaia, dal purè per i più raffinati o malaticci, alle intramontabili patate fritte di cui si consumano quantità impressionanti. La ricetta di oggi vuol riportarci un po’ al passato con un pizzico di innovazione, perché da noi, fortunatamente le carestie non ci sono più. Buon appetito.

Tortino di patate Ingredienti Patate 2 o 3 di media grandezza, se vi avanzano le mettete in una teglia con sale pepe e olio gustandole come quelle fritte. 1 bicchiere di latte 250 gr di stracchino 250 gr di gorgonzola 250 gr di grana grattugiato 80 gr di burro, Olio EVO q.b. Sale, rosmarino, salvia, e peperoncino q.b. Preparazione Prendete le patate, sbucciatele, tagliatele a fette con una mandolina e tenetele in ammollo per toglierli un po’ di amido. In un tegame mettete l’0lio EVO ad insaporire con rosmarino, salvia, aglio e peperoncino, perché il risultato sia migliore dovete appoggiare il tegamino sulla parte della stufa a legna meno calda in modo che lentamente gli aromi impregnino l’olio senza soffriggere. In un altro tegame mettete il burro, il latte, lo stracchino, il gorgonzola e il grana grattugiato sul piano della stufa tiepido così da simulare un bagnomaria, sciogliendo gli ingredienti a bassa temperatura. Ritirate il tegame e lasciatelo riposare qualche istante e aggiungete le uova, sbattete ben bene e lasciate ancora riposare. Disponete uno strato di patate in una teglia o pirofila e salate, cospargetele con la crema e fate un altro strato salando e aggiungendo la crema ad ogni strato. Continuate a fare strati e a versare la crema, dopo lo strato finale cospargete con abbondante grana in modo che si crei una crosta dorata, infornate per due o tre ore a fuoco medio basso. Togliere a cottura ultimata, e servire con un filo d’olio aromatizzato filtrato, Utilizzare la vecchia stufa a legna della nonna ha molti vantaggi e permette di cucinare a temperature diversificate diverse pietanze insieme, fondamentale conoscere bene la stufa e avere legna di diverse pezzature per controllare la temperatura di piano cottura e forno.

VINO CONSIGLIATO Lugana DOC Cascina Adrea 2022 Azienda Agricola Benedetto Tognazzi di Tognazi Giuliano La patata può essere un contorno, fritta o lessa, ripieno per paste fresche all’uovo, il trionfo per noi del tortello in tutte le sue varianti, ma ha sfamato per secoli braccianti e contadini, vegetale molto produttivo, in tempi veloci, raggiunge la maturazione in pochissimi mesi e con una patata se ne possono produrre più di un chilo, caratteristiche che anche in annate sfavorevoli si riusciva a portare a casa un buon raccolto. Ma la sua speciale caratteristica l’ha resa un salvavita alimentare soprattutto nel passato: si conserva senza particolari tecnologie. Il piatto di oggi non è proprio povero, ma semplice e veloce nella preparazione, anche in cottura se si utilizza un forno moderno. Il piatto è delicato e piacevolmente saporito e per accompagnarlo abbiamo scelto un vino non molto conosciuto: il Lugana bianco, anche questo mese un prodotto dell’azienda agricola Tognazzi. Nella laboriosa provincia di Brescia, sulle coste del lago di Garda e nelle colline prealpine nasce questo vino semplice e delicato che si abbina bene col piatto descritto.

Quello della famiglia Tognazzi, il Cascina Ardea, ci ha particolarmente colpito col suo colore paglierino intenso con riflessi verdolini vivaci. Al naso regala frutta gialla, pesca e pompelmo, seguono note floreali di tarassaco e un finale vegetale di erbe aromatiche come menta e rosmarino. In bocca il sorso è piacevole, fresco e saporito di grande eleganza e discrezione, chiude con note agrumate. L’azienda che ricordiamo è nata nel 1920, ha da poco superato il secolo e questo è un dato da tenere presente, sopravvivere agli eventi che in cento anni possono interessare un’attività non è cosa comune ma questa famiglia promette di regalarci vini di buon rapporto qualità prezzo per molti anni ancora. Il vitigno usato per questo vino è il Turbina, nome locale di una varietà di Trebbiano e si caratterizza proprio per la caratteristica dei bresciani, popolo di lavoratori e imprenditori di successo, anche se la valle dei motori è più a sud, qui molte componentistiche necessarie alle supercar qui vengono prodotte.

Un pezzo d’Italia molto frequentato soprattutto da tedeschi che del Garda hanno fatto il loro mare estivo, che regala però molte sorprese artistiche ed enogastronomiche, non è lontanissimo e una visita alle cantine Tognazzi mi rimarrà sicuramente nel cuore. Se poi volete assaporare cibo e vino comodamente a casa con gli amici, magari nella vecchia casa dei nonni, vi abbiamo dato uno spunto per farlo. Come sempre moderatevi per la vostra e altrui salute, ma non rinunciate a un buon piatto e soprattutto a un buon bicchier di vino. Cedant arma togae, concedat laurea linguae. 

(“Cosa bolle in pentola” e “Mondovino” sono due rubriche curate da Anselmo Fantoni)

Sarà Gabriele Bertelli a interpretare Cecco nel Carnevale storico di Bibbiena

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Sarà svelato domani, giovedì 20 febbraio, durante il consiglio comunale delle ore 18.00, il nome della ragazza più bella di Bibbiena, che nell’edizione 2025 del Carnevale storico darà il volto alla bella lavandaia Bartolomea, che la leggenda vuole fosse rapita dal figlio del Conte Tarlati per poi essere riconsegnata al popolo del fondaccio dopo essere insorto contro il Signore di Bibbiena. Il ventenne Gabriele Bertelli vestirà invece i panni di Cecco, che la leggenda vuole fidanzato con la “Mea”. «Faccio parte del Carnevale storico da prima ancora di averne ricordo, dato che la mia famiglia, i Bertelli, è la più antica di Bibbiena perciò quella che accende il famoso “bello pomo” – spiega orgoglioso – mio nonno Mario ha sempre interpretato il ruolo di capopopolo fondaccino, ossia il padre di Mea, quindi ho sempre partecipato alla manifestazione. Nella vita invece lavoro, da quasi due anni, come idraulico di ormai quarta generazione!». Attualmente Gabriele pratica la pallacanestro nel Basket Poppi, dopo aver fatto per tanti anni karate con il Dai Karate Club a Soci: «Mi piace stare in compagnia e fare sport più o meno di qualsiasi tipo. Un mio hobby è viaggiare e conoscere persone e cose nuove. Dell’incarico affidatomi quest’anno sono molto onorato e spero di adempiere al meglio al mio ruolo. La Mea la conosco da un po’ di anni e secondo comune accordo abbiamo deciso di provare a fare quest’esperienza insieme perché come me lei è cresciuta tra le lastre di Bibbiena».

Il Carnevale storico si svolgerà sabato 1° e domenica 2 marzo, per concludersi come da tradizione il martedì grasso con l’accensione del rogo al “bello pomo”, un albero di ginepro simbolo di pace e prosperità. Piacevoli ritorni per questa edizione e importanti novità. Una mostra fotografica in “piazzolina” (piazza Roma) dedicata allo storico presidente Daniele Senzi, il coinvolgimento dei commercianti e di numerosi gruppi di figuranti e artigiani per tornare indietro al lontano 1337 alla corte del conte Marco Tarlati, ma soprattutto l’essere riusciti a coniare il “grosso”. La storia narra che nel basso Medioevo, quando la città di Arezzo era libero Comune, per un breve periodo coniò una moneta in argento che riportava al dritto la croce patente e sul retro l’immagine di San Donato. «La moneta cessò di esistere dopo la battaglia di Campaldino del 1289 che consegnò Arezzo ai guelfi fiorentini – spiega il presidente Brami – tuttavia ci piace tornare indietro a quando avevamo un nostro conio. Chi verrà alla nostra manifestazione potrà scambiare gli euro con i “grossi” e spenderli nelle taverne e botteghe aperte per l’occasione. Già adesso si può acquistare nei bar e alla tabaccheria del centro storico la moneta con la mappa, per seguire la manifestazione, al prezzo di 2,50 euro».

Sarà importante sapersi orientare nel centro storico per non perdere il volo dei falchi, gli spettacoli di danza e canto, sbandieratori e giochi antichi, ma anche le rime del noto giullare Gianluca Foresi, le visite ai palazzi storici, la presentazione del libro dello storico Federico Canaccini, uno spettacolo teatrale e tanto altro ancora.

La nuova casa dei Nonni di Stia

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«… Ma in questo mese di dicembre 2021, durante il quale passare per le strade che costeggiano la ormai desolatamente chiusa RSA di Stia suscita ancora malinconia e amarezza, è impossibile non ritornare con la mente a tutto quanto è accaduto. Non ritornare al clamore registrato a giugno nelle settimane che avevano visto la definitiva chiusura della struttura simbolo per il paese: con gli anziani collocati fuori dal loro Comune, con le famiglie disorientate e almeno confortate dal fatto di aver potuto trovare, in qualche modo, una soluzione ad una situazione certamente non facile; con le lavoratrici impegnate a difendere i loro diritti; con il paese anche questa volta, purtroppo, disposto ad accettare senza battere ciglio quanto accaduto, come se fosse stato comunque frutto di un destino avverso a cui non era possibile opporsi. Oltre a questo in questo mese di dicembre è impossibile non ritornare con la mente ancora più indietro, a quanto accaduto proprio a dicembre 2020, quando, ancora prima del trauma dei trasferimenti, la tranquilla e serena routine della “casa dei nonni” era stata travolta dalla diffusione dei contagi da Covid-19. Quasi tutti gli anziani contagiati; una serie di morti che hanno dimezzato il numero degli ospiti; contagi anche tra il personale; una situazione che aveva portato ad una totale chiusura per provvedere alla completa sanificazione della RSA in attesa che dai reparti Covid fosse possibile vedere il ritorno dei nonni che erano riusciti a superare quel tragico momento. A vedere quello che poi è accaduto all’inizio della primavera successiva con la “vera” e definitiva chiusura, quanto visto nel mese di dicembre si potrebbe considerare un drammatico presagio, anche perché in entrambi i casi non si è veramente potuto sapere cosa è successo…» (da Dedicata a «I Nonni del 2020», CASENTINO2000 dicembre 2021).

Queste frasi sono state riprese da un nostro articolo pubblicato nel dicembre 2021. Anche allora si parlava di un nuovo progetto che permettesse la riapertura della RSA di Stia e in quel momento, prendendo atto della possibilità di vedere finalmente riaperta una realtà importante, non solo per Stia, avevamo voluto dedicare un pensiero a chi aveva vissuto i difficili momenti che si erano susseguiti proprio tra le mura della RSA “San Carlo Borromeo” tra dicembre 2020 e giugno 2021.

Vogliamo anche adesso ripartire da lì, da quel pensiero e da quella dedica, che avevamo voluto rendere pubblica, per chi in quei lunghi mesi aveva perduto la vita, aveva dovuto sopportare tanti sacrifici e per chi aveva visto svanire il proprio posto di lavoro. Quello che si prospettava nel 2021 non è stato portato avanti e non è stato raggiunto, ma alla fine un nuovo progetto è stato messo in atto e le immagini diffuse sui social nelle scorse settimane, che mostravano le forti braccia delle ruspe abbattere le mura ormai svuotate, hanno reso evidente che il percorso è pienamente iniziato e porterà a riempire di nuovo di vita, di lavoro e di relazioni umane quello che adesso appare solo un grande spazio aperto.

È un progetto impegnativo quello che è stato avviato, impegnativo ma assolutamente necessario, un progetto che andrà ad inserirsi all’interno della rete di servizi e strutture necessarie per andare a rispondere alle richieste e alle esigenze della cittadinanza casentinese. La Misericordia di Stia ha finalmente adesso nuovi partner, con cui sta rendendo reale quello che rischiava di diventare solo un obiettivo non più realizzabile.

La Cooperativa Colori è nata ad Empoli nel 1993 e offre servizi specializzati nell’area dell’assistenza alle persone anziane o con disabilità. È una realtà che conta 139 soci e 232 dipendenti. Si occupa della gestione di 10 strutture con circa 439 persone assistite. Con un fatturato di più di 6 milioni di euro. Sarà questa cooperativa a gestire almeno per i prossimi 30 anni la nuova RSA portando tutto il suo bagaglio di esperienza e la sua collaudata organizzazione. La cooperativa da subito ha portato anche una importante sostegno economico anticipando a favore della Misericordia di Stia 1.600.000 euro che, sommati alla cifra coperta dal superbonus del 110%, pari a 8.400.000 euro, permetteranno di coprire l’intero investimento richiesto per la realizzazione della nuova RSA.

Altro soggetto coinvolto nel progetto è la Del Monte Ristorazione di Lucca, azienda del Gruppo Giannecchini che si occupa di ristorazione scolastica, aziendale e socio-sanitaria. Anche per questa realtà i numeri sono importanti: 250 operatori impiegati, 40 anni di attività e un fatturato di più di 8 milioni di euro.

Sarà questa azienda a gestire i servizi prettamente alberghieri della nuova RSA: la cucina, le pulizie e la lavanderia, che sarà interna. Già si stanno attivando contatti e collaborazioni con i produttori locali casentinesi per fare in modo che i piatti che saranno preparati siano a base di materie prime a Km 0, un legame con il territorio che si ritiene certamente da non sottovalutare. Le due realtà che abbiamo adesso ricordato si occuperanno di far “vivere” questa nuova struttura, un contesto con circa 60 posti letto, dei quali 40 dedicati all’accoglienza nel modulo base e 20 nel modulo Alzheimer. La RSA rappresenterà, quindi, una risposta importante per il territorio proponendo servizi ormai assolutamente necessari anche nella realtà casentinese.

Interessanti anche altri aspetti che caratterizzeranno la nuova RSA. Una “Sala del Silenzio”, un luogo di preghiera aperto a tutte le confessioni, ma anche ad attività aperte alla comunità. Il giardino sospeso raggiungibile con un ascensore. Lo stretto rapporto che si vuole creare con il vicino asilo nido, che permetterà di dare vita ad occasioni di incontro tra “nonni e nipoti”.

Dal prossimo mese di marzo saranno organizzati momenti di incontro e informativi che permetteranno a tutta la cittadinanza di “entrare” già in quella che sarà l’organizzazione della nuova realtà, durante questo percorso sarà anche possibile proporre la propria candidatura per fare parte del team che andrà a operare nella nuova realtà, si parla di circa 60 lavoratori, impegnati nelle diverse mansioni che sarà necessario svolgere.

Questi appuntamenti che nei prossimi mesi saranno organizzati saranno momenti importanti che accompagneranno la costruzione materiale dell’edificio, prevista in tempi molto stretti, tanto che nei primi mesi del 2026 la nuova struttura potrebbe essere completata.

La Manni Green Tech è l’azienda coinvolta nella realizzazione dell’edificio che avrà caratteristiche originali e particolari, questa azienda infatti “opera nella produzione e nella lavorazione di profili in acciaio leggero, specializzata nell’edilizia off-site e nella prefabbricazione sostenibile; attraverso il proprio sistema costruttivo permette di realizzare edifici modulari e scalabili”. Da questo bagaglio di esperienza deriverà la realizzazione della nuova struttura, che sarà un edificio moderno per il quale è stato scelto di utilizzare colori che riprendono le sfumature della terra.

Le caratteristiche strutturali dal punto di vista della sicurezza del nuovo edificio, lo renderanno anche di grande interesse strategico, visto che potrà essere utilizzato, in caso di particolari necessità, per il supporto della popolazione. Ci auguriamo che non accadano mai eventi che richiedano ituzioni di emergenza, ma anche questa caratteristica della nuova RSA potremmo dire che contribuisce ancora di più a legarla al contesto in cui si colloca, quel contesto che in questi anni ha certamente sentito il vuoto lasciato dalla chiusura del 2021.

Presto inizierà però un’altra storia, sarà un nuovo edificio, ma sarà nello stesso luogo da decenni destinato ad attività sociali e sanitarie. Sarà nel luogo in cui in passato si trovava uno degli ospedali di questa vallata, un luogo comunque sempre dedicato alla cura, all’assistenza, all’accoglienza, all’attenzione e alla promozione del benessere e della salute.

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