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venerdì, 25 Aprile 2025
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Covid19: I pensieri e i disegni dei bambini – Inviateli a CASENTINO2000

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La situazione è difficile, la quarantena complicata e la normalità un miraggio lontano… Tutti affrontiamo le giornate tra alti e bassi, smart working, una passeggiata con il cane e la spesa con la mascherina. Ma se per noi adulti tutto questo è strano e non facile da comprendere, per i nostri bambini lo è ancora di più, costretti in casa, lontani dagli amici, dallo sport, dalla scuola. Il web è pieno di conisigli su come intrattenerli, che fare per fargli passare giornate piacevoli, senza far pesare il periodo di isolamento e di distanza sociale. Eppure, anche se un po’ annoiati e pensierosi, anche in questa situazione, sono riusciti a stupirci, affrontando con una forza inspettata l’emergenza Coronavirus.

Sono i primi a rispettare le regole e a riprendere gli adulti che trasgrediscono. Hanno imparato ad apprezzare la scuola, a lasciare il telefono per dedicarsi ad un disegno o a preparare una torta con i genitori. Hanno riscoperto i fratelli e le sorelle con cui erano in lotta continua e hanno capito quanto vogliono bene ai loro nonni, lontani, salutati ogni sera dal tablet della mamma.

In redazione sono arrivate una poesia e una lettera di due ragazzine casentinesi che raccontavano questo mondo, che ci mostravano la forza di una generazione di piccole donne e uomini, capace di reagire con innocenza e vitalità a tutto questo. Così abbiamo pensato di chiedere a voi genitori di inviarci i pensieri e i disegni dei vostri bambini, li pubblicheremo su CASENTINO2000! Siamo certi che le loro parole, avranno tanto da insegnarci e ci aiuteranno a superare con un sorriso questo periodo così difficile.

Potete inviarceli tramite mail scrivendo a edizionifruska@gmail.com
Tramite Whatsapp al numero: 3913669061
Oppure sui nostri canali social

Turismo in Toscana e Covid: il settore è a rischio tracollo

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Siamo un gruppo di oltre 100 titolari di agenzie di viaggio, piccoli tour operator e, più in generale aziende del comparto turistico che, da sempre, dedicano tutte le proprie energie alla pubblicizzazione ed alla corretta fruizione dei servizi turistici nella Regione Toscana e che svolgono le proprie attività spesso totalmente trascurate dalle istituzioni.

Contribuiamo a creare il 13% del Pil nazionale, e promuovendo il nostro bellissimo Paese aumentiamo i fatturati di compagnie aeree e navali, strutture ricettive e commerciali, aziende di autotrasporti, guide ed accompagnatori turistici etc etc.

Noi, non ci siamo mai fermati e ancora oggi ci stiamo adoperando per far rientrare i nostri clienti a casa da tutte le parti del mondo. A noi purtroppo non basterà rialzare la serranda, a differenza delle altre tipologie di imprenditori, per riattivare la nostra attività; per questo, pur essendo consapevoli dello sforzo che lo Stato ha fatto e continuerà sicuramente a fare,  chiediamo fortemente  l’adozione di misure straordinarie a livello regionale, in grado di impedire il tracollo del nostro settore.

L’emergenza Covid 19 è senza ombra di dubbio la più brutta situazione occorsa al ns Paese fin dai tempi della guerra mondiale ed ha impattato gravemente sul nostro settore e nel peggiore dei modi perché, oltre allo stop totale imposto ragionevolmente da questioni di sicurezza nazionale, abbiamo visto andare in fumo anche il lavoro dei 6 mesi precedenti la dichiarazione dell’emergenza, costringendoci ad annullare ogni viaggio e/o prenotazione da febbraio in poi, azzerando completamente il fatturato dei mesi correnti e certamente anche quello del restante 2020, rendendo vana una qualsiasi prospettiva di crescita e investimento per l’anno corrente.

Saremo inevitabilmente il settore che ripartirà più tardi, quindi in sintesi, il danno maggiore, il danno più lungo, la considerazione minore. E questo non è accettabile.

Chiediamo soluzioni immediate alla regione Toscana, chiediamo di garantirci la liquidità tramite l’istituzione di un fondo di emergenza a fondo perduto senza costringerci a prestiti garantiti che non ci servirebbero a nulla, se non ad affossare ulteriormente il settore. Chiediamo un sostegno al nostro reddito mensile  per poter proseguire le nostre attività, la cassa integrazione per i nostri dipendenti e l’esonero dei pagamenti di qualsiasi contributo e imposta che nessuna delle nostre aziende si può permettere con entrate azzerate.

Chiediamo degli incentivi per i nostri clienti, che siano detraibili dal reddito, vogliamo che tornino presto a viaggiare e a buttarsi alle spalle tutto questo tsunami  che ci ha colpito senza che potessimo reagire.

 

Federica Bellinazzi – Titolare Islas do Sol Travel Livorno

portavoce e delegata del gruppo agenzie di viaggio toscane

islasdosol@pec.it/info@islasdosol.it

tel 3892013422

Torniamo a parlare della cessata attività chirugica all’Ospedale di Bibbiena

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da Comitato Salute Casentinese – Nonostante a oggi sembri interessare solo la conta dei casi positivi al Covid rispetto al funzionamento dei nostri ospedali, ovvero di quelle strutture pubbliche volte a salvare la vita non solo ai casi positivi di Covid ma a tutti Noi.

Torniamo su questo argomento dato che:
– i Sindaci e i sindacati tacciono;
– TV e giornali locali pure (tranne rare eccezioni come CASENTINO2000, l’unico giornale di vallata a non censurare i nostri comunicati);
– la Asl fornisca informazioni infondate;
– e dulcis un fundo…..il Sindaco di Bibbiena Vagnoli, Presidente della Conferenza dei Sindaci, nega!

Al Sindaco Vagnoli rivolgiamo subito un consiglio: accertarsi con scrupolo sull’operato del presidio e verificare attentamente le comunicazioni della Asl per evitare di basare le proprie comunicazioni su informazioni infondate quando non addirittura menzognere. Nella sua recente diretta di Sabato 11 Aprile, infatti, il Sindaco ha risposto alle denunce del Comitato Salute Casentinese ribadendo che l’attività chirurgica presso Bibbiena è regolarmente in funzione(tutto registrato). Ma, evidentemente, così non è. Si tratta di una evidente distorsione della realtà che può solo originare da ignoranza o malafede. Essendo peraltro il Presidente della Conferenza dei Sindaci Asl del Casentino, Vagnoli dovrebbe conoscere ogni dettaglio dello stato di funzionamento del presidio, anziché costringere realtà come il Comitato Salute Casentinese a continue denunce sui tagli in corso. Difatti, di tagli si parla. Ennesimi tagli mentre vengono trasferiti milioni di euro a strutture private.

In ogni caso, confidando nella sua buona fede, ed al fine di fornirgli un utile supporto, condividiamo di seguito il comunicato della ASL di oggi 14.04.2020 nel quale si conferma in via UFFICIALE la sospensione dell’attività chirurgica presso Bibbiena. Il comunicato è reperibile al seguente link: https://www.uslsudest.toscana.it/comunicati-stampa/arezzo-dispositivi-di-protezione-nessuna-carenza-all-ospedale-di-bibbiena

Si tratta di una vergognosa presa di posizione della ASL contro talune e legittime interrogazioni del Consigliere Regionale Casucci sull’inadeguatezza degli strumenti di protezione personale, invitandolo a non fornire informazioni mendaci… “da che pulpito viene la predica”ci verrebbe da dire! La ASL in questo comunicato infatti afferma pubblicamente che tale inadeguatezza sarebbe infondata anche alla luce della sospensione dell’attività chirurgica!

Questo insegna che una bugia può essere perpetrata a lungo, ma prima o poi la verità salta fuori…

Ospedale Bibbiena: da oggi i test sierologici per il personale. E nessuna carenza di dispositivi di protezione

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Sono già iniziati questa mattina i test sierologici per tutto il personale, sanitario e amministrativo dell’Ospedale e dei Poliambulatori di Bibbiena, CUP incluso. Si tratta di un test rapido immunocromatografico per la rilevazione qualitativa di anticorpi IgG e IgM del virus SARS-CoV-2 in campioni umani di sangue intero (anche da pungidito), siero o plasma. Conoscere la presenza di questi anticorpi è utile per molte ragioni. Innanzitutto, poiché forniscono il “film” della malattia e non un’istantanea, e consentono di sapere quante persone hanno realmente incontrato il virus. Ciò è importante soprattutto alla luce del fatto che molte persone con Covid-19 hanno avuto sintomi blandi o addirittura sono asintomatiche.

Intanto la AUSL tiene e a precisare quanto segue: Dispositivi di protezione, “Nessuna carenza all’ospedale di Bibbiena”. “Gli operatori sanitari dell’ospedale del Casentino hanno tutti i Dispostivi di protezione individuale necessari, in base alle loro mansioni e al reparto dove lavorano. I dispositivi vengono riforniti quasi ogni giorno da Estar, senza considerare tutte le donazioni che arrivano da associazioni, come il Calcit che ha donato 25 mila mascherine, e da tante aziende e privati”. E’ la risposta del direttore amministrativo della Sud Est Francesco Ghelardi alla nota diffusa nei giorni scorsi dal consigliere regionale della Lega Marco Casucci. Per fare un esempio, solo domani all’ospedale di Bibbiena arriveranno: 160 tute, 140 camici, 300 mascherine TNT, 400 mascherine FFP2, 1600 mascherine chirurgiche. I rifornimenti, come detto, sono quasi quotidiani in base alla valutazione dei fabbisogni. Chiaramente un ospedale No Covid come quello di Bibbiena, ha necessità molto più limitate rispetto alle strutture Covid, considerando anche che è sospesa l’attività chirurgica. “Per garantire un uso appropriato dei dispositivi – continua Ghelardi – abbiamo istituito un monitoraggio per ogni ospedale e per ogni Unità Operativa, in modo tale da rinforzare laddove ce ne fosse bisogno. Mi preme anche sottolineare che c’è una grande collaborazione tra ospedali e Distretti, tanto che in caso di necessità i Dispositivi passano dall’uno all’altro e viceversa”. Dopo la nota di Casucci, anche un gruppo di infermieri dell’ospedale casentinese ha espresso all’Azienda il proprio disappunto per le notizie diffuse dal consigliere della Lega, inviando una mail: “Chi è  preposto alla  nostra  tutela  in  merito  di  prevenzione e fornitura di  Dpi,  lo ha sempre  fatto  in  maniera  consapevole e  ragionata, non  lasciandoci  mai sprovvisti  durante  i  turni  lavorativi. Si tratta quindi di dichiarazioni  mendacee e allarmanti per  la  comunità”.

Gli Amanti di Piazza Tarlati. Puntata 7

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Copenaghen (seconda parte) Il viaggio aereo fu tranquillo. Quando portarono da mangiare lei consumò sia la propria porzione che quella di lui, che continuava ad essere inquieto.
Il pomeriggio stava per finire per cui ci fu appena il tempo di arrivare all’albergo.
Lo ‘Scandinavia’ stava in Amager blv, nel quartiere di Cristianshavn, appena fuori dal centro.
In poche centinaia di metri avrebbero potuto godere sia della tranquillità dei quartieri esterni che del fascino della zona storica.
Mentre il taxi traversava la città la moglie stava con gli occhi persi ad ammirare il panorama:
– Che bello tesoro, guarda che meraviglia.
– Si, davvero, rispose.
Lei non si accorse dell’espressione del marito che non era proprio assimilabile alla propria.
Questa non cambiò neppure quando attraversarono il Langebro, sopra il mare gelato, che è uno spettacolo solo immaginarlo.
– Siamo stanchi, ma facciamo due passi verso il centro dopo cena?
– Io sarei cotto. Magari vai tu?
Il suo sguardo fu sufficiente a fargli capire quanto fosse stata idiota quella risposta; lui se ne accorse, perciò tentò di riparare:
– Dai, una mezz’ora, nei dintorni.
Sistemati in camera e rinfrescati scesero al ristorante.
– Mi sono dimenticato le pastiglie per lo stomaco. Vado a prenderle un secondo.
– Ma le puoi prendere anche dopo. Tanto risaliamo prima di uscire.
La lasciò sul posto.
Con le meningi elettrificate e le mani tremanti mandò un messaggio WhatsApp:

Amore sono arrivato, tutto a posto. ✓

Poi un altro:
Ti prego, rispondimi. ✓

Rimase a saltellare per la stanza. Un minuto. Agitazione. Tre minuti.

Scrisse ancora:
Mi sta aspettando di sotto. ✓

Cinque minuti. Fibrillazione.
“Andiamo rispondimi” pensò agitato. Sei minuti. (primo 6 della serie diabolica).
– Ma che fine avevi fatto? Chiese Lucia quando lo rivide.
– Eh, non le trovavo, poi sono andato al bagno.
La moglie non aveva avuto il braccino corto nel fare il regalo. L’albergo, che ricordava lo stile barocco rivisitato in chiave moderna, era davvero di prim’ordine. La cena venne servita in un ampio salone dalle pareti color panna, abbellite da sculture in alto rilievo, di un tono cromatico leggermente più scuro. Lampadari di cristallo offrivano una luce diffusa non eccessiva, che accendeva la grande vetrata affacciata sull’Inderhavn. Piacevole musica in sotto fondo e buon cibo contribuivano a sciogliere gli animi dei coniugi; la moglie sorrise e lui lo stesso.
Finita la cena, usciti a passeggio, l’aria fredda non era un fastidio perché il cielo era limpido e senza umidità. Lei lo prese sotto braccio, lui lasciò fare. Il giro per il centro si prolungò oltre quello che aveva immaginato. Fecero la Torvegade quindi, traversarono di nuovo il mare sul Knippelsbro per arrivare in Kongens Nytorv, il cuore pulsante della città.
Le luci natalizie di ogni colore, aggiunte a quelle proprie del centro storico, una spruzzata di neve e le fontane gelate, rendevano l’atmosfera calda per qualsiasi cuore, anche il più ghiacciato. Mentre parlavano piacevolmente, gli sbuffi che uscivano dalle loro bocche si mescolavano ed erano l’unica porzione d’aria sopra lo zero che potevano apprezzare; chissà quanto tempo era che non si guardavano in faccia.
Si presero pure una sacher e un caffè d’orzo.
Quando rientrarono in camera, una volta uscita dalla toilette, la moglie si accorse che lui stava già dormendo, perciò, depose ogni velleità carnale e spense la luce.
Verso le 3.00 l’uomo spalancò gli occhi. Come richiamato da quel filo d’ansia che prende origine da quella zona del cervello posta in basso a destra nella zona occipitale, si svegliò inquieto e prese il cellulare.
Questo non recava nulla di nuovo se non altra angoscia.
Dopo due ore di veglia infruttuosa, verso le 5.00, si accorse di avere una poderosa erezione mattutina: “sarà stato il pesce del Baltico”, pensò.
Allora si mise in tuta e scarpe da jogging.
Lasciò un biglietto: “sono andato a correre”.
Fuori c’erano otto gradi sotto zero ma, a parte la schiavitù del telefono, non poté non ammirare quello spettacolo. L’alba era ancora da farsi ma un bagliore cremisi diffondeva sui palazzi per fondersi con il cobalto del cielo ed il ghiaccio del canale. I cristalli, inizialmente opachi, all’avanzare del chiaro iniziarono a scintillare di giallo oro contagiandosi l’un l’altro, fino a che, zone sempre più grandi non furono accese da luce vera.
Fece il giro di Christiania e rientrò in albergo verso le 6.30, senza aver riguardato il telefono.
“Lui” non si era affatto abbassato. Lei dormiva ancora. Decise che era meglio farsi una doccia fredda prima di scendere per la colazione.

(Fine puntata 7)

Marco Roselli, Gli Amanti di Piazza Tarlati, Fruska

Avere 11 anni durante il lockdown: la poesia di Pasqua di Rebecca

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Pubblichiamo con piacere questa poesia dedicata alla Pasqua appena passata che per tutti noi è stata sicuramente diversa dal solito. Il testo è stato scritto da Rebecca Borri, di 11 anni, che vive a Capolona. Le sue parole ci dimostrano che, ancora una volta, i bambini possono insegnare tanto a noi adulti…

Una Pasqua diversa

Pasqua sta arrivando

e tutti in qualche modo ci stiamo abbracciando

non sarà la festa più meravigliosa della nostra vita

ma restiamo comunque uniti per renderla fiorita

Il nonno gentilmente un uovo sotto casa ci ha lasciato

munito di mascherina e guanti è andato via imbronciato

la nonna dal divano ha fatto la sua parte

facendo un solitario con le carte

Dovremo ringraziare anche tutti i parenti

che se pur assenti sono stati molto presenti

nei dolci che preparate mettete tanto amore

che in questo periodo vi fanno da accompagnatore

Ringraziate i medici, gli infermieri e i volontari

che si fanno in quattro per noi respirando sapori amari

vorrei dare conforto alle persone purtroppo contagiate

che questa Pasqua la devono vivere disperate

Grazie invece alla gente che sta nella propria abitazione

godendosi il proprio pigiamone

vorrei anche dire “perché per le strade girate?”

alle persone “agitate”

lo so che la primavera è cominciata

ma questa situazione va accettata

dispiace a tutti di non godersi la normalità

ma bisogna mettere in atto altre abilità

Questa Pasqua sarà un po’ strana

però dobbiamo pensare di salvare il mondo mangiando una banana

sarà diversa

ma non dispersa

Buona Pasquetta!

Luigi Giannini racconta il giorno della strage di Moscaio, dove i fascisti uccisero suo padre

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di Mauro Meschini – Era il 13 aprile di 76 anni fa, uno dei giorni più tristi per il Casentino, e la prima cosa che ci ha tenuto a dire Luigi Giannini quando l’abbiamo contattato per l’intervista è stata: «Io ricordo quello che è accaduto come se fosse ora».
Non potrebbe essere altrimenti, in quel giorno Luigi Giannini, che aveva allora solo 8 anni, vide uccidere il padre e fu testimone di una delle tante stragi che hanno insanguinato questo territorio nel corso della Seconda Guerra Mondiale.
È stato per noi un grande privilegio avere la possibilità di ascoltare la sua storia, come in questi anni è stata per noi quasi una missione cercare di raccogliere e proporre le testimonianze di altri protagonisti di quel periodo così difficile. Siamo convinti che la memoria sia un bene prezioso e che la verità dei fatti non possa essere rivista o riadattata solo perché sono trascorsi tanti decenni da allora. Sarebbe sempre bene ricordare che il nostro presente, in gran parte, è iniziato allora e che se abbiamo avuto 75 anni di Democrazia e Libertà lo dobbiamo all’esito di quel conflitto e alle scelte che sono state fatte in Italia negli anni successivi, soprattutto con la nascita della Repubblica e la promulgazione della Costituzione.
Profondamente convinti di questo e pienamente diffidenti nei confronti di chi dimentica troppo spesso le responsabilità e i crimini di cui si sono macchiati quelli che qualcuno vorrebbe riabilitare, vogliamo raccontare anche questa storia, anche questa accaduta il 13 aprile 1944, giorno in cui anche a Vallucciole e a Partina la crudeltà e la barbarie dei nazisti tedeschi e dei fascisti italiani, loro scagnozzi, provocarono tante vittime e tanto dolore.
Come ascolteremo da Luigi Giannini al Moscaio ci fu anche qualcosa in più, e alla fine ci furono 9 vittime.
Giannini ci racconti la sua vita a Moscaio…
«Avevo 8 anni e vivevo con la mia famiglia a Moscaio, una piccola frazione che si trova dopo Banzena e prima di Giona, nel Comune di Bibbiena. Nella mia famiglia c’erano mio nonno, che curava il cimitero del Moscaio e quello di Campi per conto dl Comune. Poi c’erano mio padre, mia madre e altri 3 fratelli. Nella frazione di Moscaio vivevano 19 nuclei familiari. La cosa strana di questa tragedia è che sono venuti a Moscaio, dopo essere passati da Banzena, che si raggiunge in cinque minuti a piedi, senza toccare niente e nessuno».
Chi abitava o cosa c’era in quella frazione di particolare?
«Io posso dire che lì abitava uno zio della mia mamma, detto “Perugia”, che si dice fosse un comunista. Ma io so che tutte le sere dopo mangiato si andava a dire il rosario in casa sua, ci mettevamo tutti insieme vicino al fuoco e proprio lui con la corona guidava la preghiera. Comunque questo si diceva e il Moscaio lo chiamavano “la piccola Russia”… Era un paesino con strade strette e vicoli e con le porte delle case una vicina all’altra. Accanto a dove abitava la mia famiglia c’era quella della famiglia Piantini. Conoscevo bene quella famiglia perché vi abitava anche una bambina che aveva più o meno la mia età e con cui giocavamo sempre insieme. Mio babbo andava sempre a caccia con il padre della bambina e accadde che quando nel periodo della guerra fu ordinato di consegnare le armi loro non lo fecero. Mio babbo aveva avvolto il fucile con della stoffa e lo aveva legato sotto la tavola della cucina, mentre Agostino Piantini, avendo in casa il pavimento a mattoni rossi caratteristico delle case di campagna, avevo scalzato una fila di mattoni aveva scavato un po’ e aveva nascosto il fucile, sistemando poi sopra tutto così bene che non si vedeva nessuna differenza. Non sapendo cosa c’era lì sotto nessuno avrebbe potuto sospettare qualcosa».
E il 13 aprile cosa accadde?
«Quella mattina si stava appena facendo giorno, arrivarono con dei mezzi e iniziarono a buttare giù le porte e a entrare nelle case. Io stavo dormendo, come tutti, mio nonno forse si accorse prima degli altri di quello che stava succedendo perché riuscì a uscire e a scappare verso il bosco. Invece mio babbo non riuscì a scappare. Anche il “Perugia”, che aveva dalla parte opposta all’ingresso di casa delle finestre che davano sui campi, riuscì a scappare proprio mentre stavano cercando di abbattere la sua porta. Tutti comunque cercarono di scappare da qualche parte, ognuno andava in una direzione diversa, mentre si sentivano spari e urla. Nella casa dei Piantini andarono subito e direttamente in quel punto del pavimento, con la baionetta scalzarono i mattoni e presero il fucile, in casa mia invece non riuscirono a trovarlo. Forse Agostino Piantini l’aveva detto a qualcuno e la voce era giunta a chi quel giorno arrivò per uccidere, non si spiega in altro modo come possano averlo trovato, dovevano essere ben informati… Anche perché c’è il fatto che la sera precedente la strage una famiglia del Moscaio, padre, madre e una figlia; dopo cena preparò una borsa con il necessario per dormire e andò via, quella notte dormirono tutti da un’altra parte poco lontano da lì. Poi quella mattina tutte le porte delle case furono buttate giù, la porta della casa di quella famiglia non fu toccata, lo sapevano che lì non dovevano toccare niente… Io so chi era… una spia, o forse soltanto qualcuno a cui faceva comodo comportarsi così…
Comunque quella mattina presto io rimasi lì nel mezzo, tra le urla e la confusione, ricordo di aver visto che avevano trovato il fucile, non erano tedeschi perché parlavano italiano. Mi dissero di andare via, ero ancora scalzo, buttarono una bomba dentro la casa dei Piantini che fece crollare tutto. Anche una parete della mia casa crollò perché era confinante. Lo scoppio provocò una nuvola di polvere con i vetri e le schegge che schizzarono ovunque, io mi tagliai i piedi, mi allontanai e mi nascosi dietro a dei ributti di ulivo nati da piante che erano state tagliate perché si erano seccate per il freddo. Io continuavo a sentire gli urli, gli spari e i colpi contro le porte o altro, stavano spaccando tutto. A mio babbo, Vittorio Giannini, e a Giannini Assuelo dissero di andare via verso il campo di ulivi, loro si allontanarono e gli spararono una raffica di mitra. Sentivo mio babbo che si lamentava e che chiamava, ma io ero lì fermo… Agostino Piantini si accorse che lo volevano fare allontanare per ucciderlo, ma lui rimase fermo in piedi, allora gli misero una pistola alla testa e spararono. Non ho visto mentre accadeva, ma sentii chiaramente un colpo di pistola, uno solo. Oltre a questi tre omicidi, uccisero anche i giovani che si trovavano sopra il paese ai limiti del bosco, stavano lì a dormire, un po’ nascosti, perché erano giovani e temevano di essere presi. Anche questo è strano… come potevano sapere che in quel bosco ci fossero delle persone? Eppure andarono sicuri piazzarono la mitragliatrice ai limiti di una carbonaia e spararono… morirono nel sonno perché furono trovati i loro corpi tutti vicini… mi ricordo quando poi arrivarono altre persone dopo la tragedia che coprirono i corpi con dei lenzuoli per poi portarli nella cappella del cimitero. Dopo circa un’ora finalmente se ne andarono, portando via alcuni uomini che rinchiusero nella cappella di Marena, che è dei Nati. Avrebbero fucilato anche loro, ma grazie all’intervento dei Borghi e degli stessi Nati furono liberati dopo circa una settimana.
Anche io quando andarono via sono uscito dal mio nascondiglio e vidi mio nonno che era ritornato dal bosco, che aveva per la mano anche mio fratello. A quel punto vidi Agostino Piantini che aveva un buco nella testa da cui usciva del sangue, come vidi anche mio babbo disteso nel campo…».

G3
Quel giorno voi del Moscaio avevate avuto notizia di quello che era accaduto a Partina e Vallucciole?
«Dopo lo abbiamo saputo, in particolare di quello che era successo a Partina… era lo stesso giorno… non so come abbiano potuto essere così tante persone per compiere tutte quelle stragi… Forse Moscaio non erano così tanti, e forse avrebbero potuto provare a ribellarsi… ma in quel momento c’era solo paura…».
Anche questa strage, comunque, è stata compiuta senza motivo?
«Non c’erano motivi, anche le voci su “la piccola Russia” non avevano fondamento, c’erano solo persone semplici, addirittura mio babbo lavorava con la TODT (l’organizzazione che realizzava i lavori per l’esercito tedesco, n.d.r.) nei lavori per la realizzazione delle postazioni nella zona di Serravalle. Anche quella mattina sarebbe dovuto andare a lavorare, se fossero arrivati un po’ più tardi non lo avrebbero trovato. Da noi poi non c’era neppure una presenza di partigiani che potesse portare a dire che la popolazione gli avesse aiutati. In quella zona non aveva senso la presenza di nessuno, anche i tedeschi non li avevamo mai visti».
I responsabili della strage erano italiani, si ricorda se avevano divise e se portavano delle maschere?
«Mi ricordo che dissero “vai via”, un tedesco non può parlare così bene l’italiano. Indossavano delle tute mimetiche, tipo militare. Ma non erano militari, non erano vestiti tutti allo stesso modo e non avevano maschere erano a viso scoperto».
Dopo la strage siete rimasti anche senza casa?
«Si era tutto crollato e avevamo perso tutto. Ci portarono dei vestiti e qualcosa per vestirci. Poi vennero dei miei zii e ci portarono a Bibbiena. Poi mio fratello più grande andò nel collegio di Sestola, sopra Modena; io alla Pia Casa ad Arezzo in via Garibaldi dove ho imparato a fare un po’ il falegname; il terzo fratello di quattro anni andò a Monterotondo in un istituto di suore; quello ancora più piccolo di 4 mesi lo prese la mia zia di Soci, la sorella di mio babbo, perché mia madre aveva bisogno di aiuto…».
G9E dopo questa esperienza nel collegio è tornato in Casentino?
«In questi collegi a 18 anni i ragazzi dovevano uscire e potevano esser richiesti dai parenti, oppure gli stessi istituti trovavano per loro un posto come militare. Io tornai dalla mia mamma, stavamo sempre a Moscaio e mi spostavo per lavorare subito come falegname. A Bibbiena all’inizio degli anni ‘60 c’erano tanti falegnami e fallirono tutti. Io avevo un piccolo fondo in via Dante a Bibbiena e ho cominciato da lì a lavorare. Ho trovato persone che mi hanno aiutato, così ho avuto la possibilità successivamente di costruire su un terreno dei capannoni più grandi».
Cosa produceva mobili in genere o cucine?
«Ho iniziato subito a realizzare cucine».
E la sede a Ortignano Raggiolo allora è stata realizzata dopo?
«Ero amico dei Basagni e insieme prendemmo il terreno sui cui poi nel tempo è prima nata la Miniconf e poi, successivamente, anche i miei spazi. Il mio capannone fu realizzato a fine Anni ‘70 dalla Baraclit con delle modalità innovative per le coperture e nei primi anni lo utilizzarono come prototipo da presentare ad altri potenziali clienti».
Poi è stata aperta l’attività qui… e adesso?
«Ora il lavoro, dopo il periodo d’oro durato fino agli anni ‘80, richiede più impegno, ci sono meno utili. Adesso sono i miei figli che seguono l’azienda. La struttura c’è ed è solida, ci sono tutte le condizioni per andare avanti, lavorando e producendo sempre con attenzione alla qualità e alle esigenze dei clienti».

(tratto da CASENTINO2000 | n. 317 | Aprile 2020)

Gli Amanti di Piazza Tarlati. Puntata 6

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Copenaghen (prima parte) Mattina del 25 dicembre. Dal soggiorno arrivavano le voci dei bambini che si erano svegliati presto per l’eccitazione. A dire il vero si erano alzati anche a notte fonda. Con gli occhi sgranati avevano scrutato quella figura misteriosa, incappucciata di rosso, che sistemava i pacchi sotto l’albero. Era stato giusto un attimo perché, se non fossero subito tornati a letto, i regali non li avrebbe lasciati. Quando aprì gli occhi Lucia non c’era. Allora sfilò la borsa da sotto il letto per preparare la sorpresa. Ma questa gliela fece lei quando, dopo un minuto, entrò in camera.
– Buon Natale amore, disse mentre lo baciava.
– Buon Natale, questo è per te.
– Grazie tesoro. E questo è il mio! Esclamò la donna con vero entusiasmo
Gli porse una busta mentre lei si provava un bellissimo Moncler tre/quarti blu con cappuccio di pelo.
– Era quello che volevi no? Chiese Paride.
– Si davvero! E poi mi servirà per dove andiamo.
Lui smorzò il sorriso che aveva mentre apriva la busta. Dentro c’erano due biglietti aerei Firenze-Copenaghen. Partenza 26/12 – Rientro il 29/12.
La sua faccia si fece di sale come se una paresi lo avesse colto all’istante. In un millesimo di secondo gli passarono in mente tutti i pensieri possibili. Il suo stupore era talmente palese che la moglie se ne accorse:
– Caro ma non sei contento? Credevo di averti fatto felice. Da un sacco di tempo dicevi che volevi andarci.
– Si, certo, è un pensiero bellissimo. Ma con i ragazzi come facciamo?
– Per questo non ci sono problemi, staranno con i miei, oramai sono grandini e poi, sono tre giorni soli. E’ tutto pronto.
– Va bene allora.
– Un poco di entusiasmo però sarebbe gradito, non è che deve essere un sacrificio.
– Ma che dici? Scherzerai? Così all’improvviso, non me lo aspettavo, poi stavo pensando ai ragazzi.
Chiaramente il suo pensiero era da un’altra parte. Trovare il modo di dirlo a lei. Fargli digerire una storia che non aveva digerito neppure lui. Ce l’aveva nella gola che non andava né su né giù. Un filo d’ansia lo colse. Il suo cervello cominciò a figurarsi le immagini più catastrofiche ma neppure improbabili. I pensieri divennero circolari. Se non fosse riuscito a vederla? Questo ci stava. Era Natale. E neppure a contattarla? Come l’avrebbe presa? Certo non bene. Avrebbe inevitabilmente sofferto. Stava soffrendo lui, figuriamoci lei, che si sentiva la sua donna. Come fare? Non poteva non dirglielo! Assolutamente! E le conseguenze? Se lo avesse lasciato per questo? Oddio no! Non può essere!
– Devo uscire. Esclamò Paride in preda al panico.
– Come? Ma non apri i regali insieme ai ragazzi?! Ci resteranno malissimo. Dove devi andare scusa?
– Mi sono ricordato di una pratica che scade proprio a fine anno e se partiamo domani devo assolutamente dargli una controllata. Voglio essere sicuro.
– Ma non puoi farlo più tardi? Chiese Lucia con forte disappunto.
– Eh ma ci metto poco, vado e torno. In un baleno si vestì e prese l’uscio di casa sotto gli occhi sgranati dei familiari.
Mentre saliva in auto digitò un messaggio WhatsApp.

Paride:
Sto andando in studio. Devo dirti una cosa urgente .

I minuti passavano. Guidava e guardava il cellulare. Ogni tanto alzava gli occhi e si trovava nella carreggiata opposta. Finalmente arrivarono due segni. Messaggio visualizzato.

Elena:
Non posso uscire. Scrivi quello che hai da dirmi.
Che problema c’è? ✓✓
Paride:
Devo vederti assolutamente. Anche solo cinque minuti. Ti prego
Arrivò allo studio e si mise in attesa. Il cellulare però non si esprimeva. Nella sua disperazione l’uomo non si rendeva più nemmeno conto della data.
Squillò il telefono ma era la moglie. Gli diceva che i figli chiedevano dove fosse. Non poteva più stare li. Doveva rientrare. Attese ancora dieci minuti infruttuosi.
Pranzo di Natale. Passò il pomeriggio e venne la sera.

Finalmente WhatsApp evidenziò la lettura del messaggio da parte di Elena: Scusa ma oggi proprio non potevo. Che succede? ✓✓
Paride:
Devo partire. ✓✓
Elena:
Cioè? Come sarebbe?
Paride:
Mia moglie mi ha regalato un viaggio a Copenaghen di tre giorni. Da domani al 29. ✓✓
Elena:
Ah, bene. ✓✓
Paride:
Non ho potuto far nulla, non me lo aspettavo. E’ stata una improvvisata. ✓✓
Elena:
Divertitevi. ✓✓
Paride:
Tesoro! Come potevo fare a rifiutare? ✓✓
Elena:
Lo immagino. Tranquillo. Ma non puoi pensare che ne sia felice. ✓✓
Paride:
Cercherò di contattarti più che posso. E’ una pena anche per me! ✓✓
Elena:
Allora non andare. Lascia perdere. Buon Viaggio. ✓✓
Paride:
Amore, dimmi che mi ami. Ti prego!

Il trasferimento a Firenze non fu proprio carico di aspettative. Guidava lei. Lui con lo sguardo fuori.
– Ma che cos’hai?
– Nulla. Che vuoi che abbia?
– Sarà. Pare che ti sto portando a Sollicciano.
– Sono solo preoccupato, te l’ho detto.
– Non sembrerebbe.

(Fine puntata 6)

Marco Roselli, Gli Amanti di Piazza Tarlati, Fruska

Anche a Pasqua CASENTINO2000 ti aspetta in edicola!

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Dobbiamo resistere e stare in casa, questi sacrifici saranno ricompensati, forse manca poco alla fine di tutto questo. Per Pasqua non si può uscire, si può fare solo per andare in farmacia o in edicola, dove gli edicolanti vi aspettano con i giornali e l’informazione, mai come ora fomdamentale. E se volete uscire per Pasqua e andare in edicola troverete anche CASENTINO2000, con le storie e i personaggi del Casentino che non si arrende! Come quella del casentinese Simone Acciai per esempio che ha aperto la sua gelateria in California, portando il paese di Corezzo nel cuore.

CASENTINO2000 è in edicola a soli 2 euro oppure potete sempre acquistarlo online nella versione digitale, per leggere il mensile della vallata sul vostro tablet o smartphone. E’ importante restare a casa ed evitare spostamenti inutili; le edicole sono comunque aperte ed è possibile acquistare il giornale. Anche a Pasqua.

#iorestoacasa – Insieme ce la faremo!

I dolci sapori di Pasqua

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di Lara Vannini – La cucina è un’arte ma potremmo anche dire che essa è nutrizione, condivisione ed anche memoria storica. La cucina come scienza era già nota al famoso gastronomo romagnolo Pellegrino Artusi che già nella seconda metà dell’800 fu autore di un best-seller (diremmo oggi!), di fama internazionale: “La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene”, le cui ricette furono messe a punto raccogliendo tradizioni culinarie di tutta Italia. Artusi riuscì a includere nella sua raccolta cibi gustosi e ricchi di storia che, nel caso della cultura gastronomica contadina, erano costituiti da ingredienti con un preciso significato simbolico.

L’uovo ad esempio simbolo della Pasqua e desiderio ambito per ogni bambino, esisteva come tradizione anche nella cultura contadina, ma non di cioccolata come saremmo portati a pensare oggi. Il significato dell’uovo come simbolo della vita e del mistero, si perde nella notte dei tempi ed è presente in molte religioni e culture dell’antichità. Dagli antichi Egizi alla tradizione cristiana fino ad arrivare ai giorni nostri, l’uovo è sempre stato simbolo di vita, rinascita e Resurrezione, la vita terrena che non finiva con la morte, ma andava oltre e dava speranza agli uomini.

La tradizione contadina voleva infatti che il giorno di Pasqua si portassero le uova sode in chiesa a farle benedire, per poi mangiarle nell’abbondante colazione che sarebbe stata apparecchiata dopo la messa. Le uova erano simbolo di Resurrezione, ma anche energetiche e il loro ritorno sulla tavola dopo l’astinenza della Quaresima preannunciava la rinascita primaverile. Infatti in Primavera gli uccelli facevano il nido per deporre le uova e quindi appena se ne avvistava uno, era certo che la stagione fredda fosse agli sgoccioli.

A conferma di come le uova fossero doni graditi e pregiati anche in altri periodi dell’anno possiamo ricordare che, a Carnevale per esempio, si regalavano le uova agli uomini che andavano ad intrattenere i paesani con la fisarmonica oppure, ringraziando di un servigio, si poteva sempre regalare una coppia d’uova. Banalmente era più facile regalare le uova in Primavera anziché in altri periodi dell’anno perché era anche il periodo in cui le galline ne deponevano in maggior quantità.
Il Pan di Ramerino o rosmarino, era un altro cibo considerato dai contadini “pane Santo di devozione”. È un dolce tipico della Toscana e poteva già essere preparato dal Giovedì Santo in preparazione alla Pasqua. Veniva usato il rosmarino perché oltre ad essere una pianta facilmente reperibile, era una pianta officinale dai molteplici significati simbolici. Sinonimo di immortalità, con il suo forte e caratteristico profumo, era noto per le proprietà antisettiche e tranquillizzanti. Nella tradizione popolare veniva già usato sotto il cuscino come scacciapensieri. Dal punto di vista religioso la leggenda narra che durante la funga in Egitto della Sacra Famiglia, il mantello della Madonna scivolasse su una pianta di rosmarino rendendo i fiori dell’arbusto di color azzurro come il manto di Maria.

In questa carrellata di prelibatezze “sacre” come non citare il popolarissimo Ciambellone pasquale con il Vin Santo (liquore usato anche nelle celebrazioni eucaristiche), una vera gioia per gli occhi e per il palato.
Per preparare il Ciambellone venivano usate molte uova perché il periodo precedente di Quaresima erano giorni di astinenza anche dal cibo e quindi l’uovo poteva essere un integratore naturale a buon mercato e alla portata di tutti. L’uovo era un alimento eccezionale che poteva essere bevuto anche da fresco senza troppi problemi o come rinforzino unito alla minestra.

La Panina originaria proprio del Casentino, è un pane semi-dolce molto saporito con uvetta, spezie, strutto e a volte un pizzico di zafferano. Pur avendo un sapore dolce, non disdiceva con un companatico salato come una fetta di prosciutto. Ancora oggi nei ristoranti che preparano il pranzo di Pasqua è molto comune trovare un antipasto di uova benedette, panina, qualche crostino e salumi locali.

Sulla tavola apparecchiata per la colazione non potevano poi mancare gli zuccherini o berlingozzi, dalla tipica forma a ciambellina fatti di farina, uova, olio, a volte zucchero a cui poteva essere aggiunto dei semi di anice. Dolcetto antichissimo già presente nel Rinascimento, veniva a volte chiamato “berlingozzo” forse da “berlingare” ovvero divertirsi a tavola, godere di buone pietanze.

La vera regina dei dolci restava, però, sempre lei “la Pasta reale”, oggi conosciuta come torta Margherita, un dolce che si ricorda anche per il suo procedimento e il tipico rumore di mestoli sbattuti durante la sua preparazione. Le massaie infatti dovevano montare le chiare a mano e poi unirle ai tuorli avendo cura di non far “smontare” il composto perché sarebbe stato questo segreto a rendere la pasta soffice e maestosa al punto giusto.

(trtto da CASENTINO2000 | n. 317 | Aprile 2020)

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