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domenica, 27 Aprile 2025
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Le offerte di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego

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Le nuove offerte settimanali di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego. Anche questa settimana gli incentivi e le opportunità regionali per i datori di lavoro e le persone fisiche, oltre le chiamate dirette al lavoro. I tirocini curriculari retribuiti 2023/24. Gli Avvisi Pubblici per la concessione di contributi a imprese e/o datori di lavoro finalizzati a garantire incentivi all’assunzione degli iscritti alla legge 68/1999 con disabilità di natura psichica. Il bando per servizi innovativi delle imprese di GiovaniSì. E l’avviso pubblico per il finanziamento di piani di Welfare Aziendale per la conciliazione di vita-lavoro 2023-2025.

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Gli orari dei Centri per l’Impiego della Toscana sono i seguenti:

lunedì 9:00 – 13:00

martedì 9:00 – 13:00 pomeriggio 15:00 – 17:00

mercoledì 9:00 – 13:00

giovedì 9:00 – 13:00 (su appuntamento), pomeriggio 15:00 17:00

venerdì 9:00 – 13:00

La Mea, a Bibbiena dal marzo 1337…

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Torna il Carnevale e torna la leggenda della Mea. E il nuovo direttivo per l’associazione della rievocazione storica del Carnevale di Bibbiena: Brami Stefano Presidente, Grazzini Carlo Vice Presidente, De Concilio Luigi, Grazzini Giovanni, Lovari Giulia, Picinotti Chiara, Salamone Tiziana. Un gruppo con tante idee e tanta esperienza che promette di rilanciare in grande questa storica manifestazione. L’idea è quella di proporre, oltre all’edizione invernale che cade nei giorni del Carnevale, anche un’edizione estiva che guardi ai tanti turisti che in quel periodo riempiono il Casentino.

Si inizia quest’anno Sabato 1 Marzo con i giochi di LuduMea, divertimento per grandi e piccini, e con una presentazione nel Salone delle Bandiere presso il Palazzo Comunale del nuovo libro dello storico Prof. Federico Canaccini dal titolo “Sacre Ossa, storie di reliquie, santi e pellegrini”.

Domenica 2 poi il grande giorno che quest’anno cade esattamente come nel 1337, anno in cui tutto è cominciato. Per suggellare la pace fatta con i fiorentini, il Conte Pier Saccone Tarlati ordina una grande festa in tutta la città… Il 2 Marzo chi arriverà a Bibbiena si ritroverà nel bel mezzo di una straordinaria festa medievale. Non mancheranno spettacoli, cortei, combattimenti, falconieri, giullari, sbandieratori, cantori e tante sorprese tra cui il rapimento della Bella Mea. Per finire, nel tardo pomeriggio, andrà in scena presso il salone comunale, “La fidanzata dello scheletro” tratto da “Le novelle della nonna” di Emma Perodi: un racconto che parla proprio dell’antico carnevale di Bibbiena. In programma anche la visita ai palazzi storici.

Martedì 4 Marzo, ultimo giorno di Carnevale, il tutto si concluderà con la restituzione della Mea al popolo del Fondaccio e, come ormai da quasi 700 anni, con l’accensione del Bello Pomo, il ginepro che simboleggia la pace ritrovata e che, a seconda di come arderà, sarà segno di buono o di cattivo raccolto. E per finire canti, balli, la banda che suona e il famoso “egrì” con il fiasco di vino in mano.

La leggenda della Mea narra che nel 1337 Marco Tarlati, durante una festa, incontra la giovane e bella lavandaia, la popolana Bartolomea detta Mea, se ne innamora e la rapisce portandola a palazzo. Il popolo del rione Fondaccio si ribella per riprendersi la Mea e restituirla a Cecco, suo fidanzato. Tutto si risolve quando il vecchio Conte, padre di Marco restituisce la Mea al suo popolo e per far festa ordina di bruciare un pomo sulla piazza che divide i due rioni.

E allora che festa sia… Tra canti, balli e tanto vino!

È in edicola CASENTINO2000 di marzo

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Con il mese della primavera arriva in edicola il numero 376 di marzo che si apre con una riflessione sulla nostra sanità (locale e non) e sul rapporto che abbiamo con essa ai tempi di Whatsapp! È innegabile che poter ricevere per sms la ricetta per un farmaco senza dover andare fisicamente nello studio del proprio medico è una gran cosa; altro invece è saltare una visita per autodiagnosticarsi chissà che, decidendo in autonomia anche la cura… E si finisce per arrivare al punto in cui “Il 90% delle persone che accedono in PS non sono state prima a farsi visitare dal proprio medico curante.

Proseguiamo con un articolo che riguarda una drammatica attualità, quella della violenza sulle donne. Visto che spesso l’8 marzo concentriamo l’attenzione sui casi di maltrattamento e femminicidio, ci siamo chiesti se esiste un elemento che, in generale, può
contribuire al verificarsi di certe manifestazioni…

Si entra poi nel territorio; a Soci con i lavori della nuova piazza che si dovrebbero concludere prima dell’estate. Si parla poi di Castelli. Quello di Poppi dove D’Appennino e NATA hanno nuovamente ottenuto la gestione del maniero dei Guidi per i prossimi cinque anni. E quello di Strada, il simbolo di Castel San Niccolò, la sua storia e la preziosa opera di Giovanni Biondi che ha dedicato tanto impegno alla sua conservazione. Il 2025 è l’anno del Giubileo, in Casentino, valle dell’anima, in questo Anno Santo sono quattro le chiese e i luoghi giubilari che potranno essere visitati e in cui vivere pienamente questo importante evento. A Bibbiena ci occupiamo dei corsi di nuoto gratuiti organizzati dal Comune, un’importante esperienza per i bambini e le bambine con disabilità.

Parliamo poi della carriera nella ricerca della casentinese Silvia D’Alessio. Le tappe del suo percorso tra l’università a Firenze, poi New York e Milano. E si continua con numerosi altri articoli tra i quali segnaliamo quello su Marzo e i suoi detti, un mese particolare, con delle date importanti, che segna l’inizio della primavera e una vallata nel pallone, il bilancio di metà stagione delle squadre di calcio casentinesi dei campionati FIGC.

Anche questo mese troverete inoltre in CASENTINO2000 l’immancabile la rubrica del Canile del Casentino; le vostre lettere sulla rubrica Blocknotes e ancora Cosa Bolle in Pentola che ci propone un piatto primaverile con protagonista l’agnello. Gli interventi medici e nutrizionali di Essere, la pagina Agroalimentare a 360° curata dalla Coldiretti di Arezzo in cui si parla dell’ufficio casentinese dell’associazione, le pagine sull’ambiente che si occupano di una coltivazione che ha assunto grande importante in Casentino; il nocciolo, Sguardi Oltre il Crinale sulla primavera del Parco, Il Giro in Bici, con una gita che ascende fino al mistico Eremo di Camaldoli.

CASENTINO2000 di marzo è in edicola, oppure potete acquistarlo online nel nostro shop: scopritelo subito!

Paolo Rubetti, l’allenatore dei ragazzi

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di Fabio Bertelli – «Non è l’insegnamento che forma l’allievo, ma l’esempio che gli viene dato». Questa frase attribuita ad Albert Schweitzer, medico e filosofo insignito del premio Nobel per la pace nel 1952, è perfetta per introdurre una persona che da anni ricopre un ruolo importante nelle vite di tanti ragazzi che crescono, calcisticamente e non, grazie ai suoi insegnamenti e ai suoi consigli: Paolo Rubetti, esempio di persona seria che, al contempo, svolge il suo lavoro con la passione di un ragazzo. Paolo ha quarantotto anni, vive a Bibbiena, lavora come insegnante di educazione fisica presso l’ISIS Galileo Galilei di Arezzo e, ormai da molto tempo, è un allenatore di calcio con patentino Uefa B. Siamo andati a trovarlo per farci raccontare meglio quello che fa.

Ciao Paolo, ci racconti un po’ della tua carriera come allenatore? «Premetto che il calcio è la mia grande passione e mi sento estremamente fortunato di riuscire a spendere gran parte del mio tempo libero a lavorare, studiare e approfondire la mia conoscenza di questo magnifico sport. Io ho iniziato, ormai parecchi anni fa, come allenatore presso la scuola calcio del Bibbiena. Progressivamente ho deciso di specializzarmi e di rivolgere le mie attenzioni maggiormente verso il settore giovanile, iniziando a lavorare con ragazzi dai tredici ai diciotto anni, appartenenti a tre categorie: giovanissimi, allievi e juniores. Sono legato in particolar modo alla società del Bibbiena, con la quale ho avuto un lungo rapporto di collaborazione che mi ha permesso di vivere stagioni particolarmente intense ed emozionanti, come quelle in cui ho avuto modo di confrontarmi con dei campionati élite. Dopodiché, ho avuto modo di lavorare anche con altre società della vallata, fino a quando, ormai quattro anni fa, mi è arrivata una chiamata molto importante, da Arezzo. Così, per la prima volta, ho dato avvio ad un rapporto di collaborazione con una società professionistica; rapporto che dura ancora tutt’oggi. I primi due anni mi sono occupato, insieme ad altre persone, di creare una scuola calcio, che sino a quel momento non esisteva. Poi, negli ultimi due anni, mi è stato affidato uno splendido gruppo di ragazzi, tra cui due del casentino, Leonardo Valentini e Mirko Giannelli, con i quali ho dapprima vinto un campionato provinciale e successivamente partecipato ad un complicatissimo, ma bellissimo, campionato nazionale, tutt’ora in corso».

Cosa significa essere allenatore in una società professionistica? «Rispetto alle mie precedenti esperienze, quella che sto attualmente vivendo è qualcosa di totalmente nuovo. La prima grande differenza riguarda sicuramente l’attenzione ai dettagli. In una società non professionistica l’allenatore deve essere capace di svolgere contemporaneamente più ruoli. Qui all’Arezzo, invece, ho la fortuna di avere degli splendidi collaboratori, i quali mi permettono di concentrarmi solo ed esclusivamente su ciò che riguarda il campo, garantendomi la possibilità di curare qualsiasi dettaglio. Vorrei ringraziare Cesare Nasorri, viceallenatore e preparatore atletico, e Mirko Nannucci, preparatore dei portieri. Oltre a loro, ci sono anche dei dirigenti accompagnatori che seguono la squadra. Cambiano anche quelle che sono le aspettative societarie e le pressioni da gestire, alle quali mi sto progressivamente abituando».

Quanto è importante il lavoro mentale con i ragazzi, oltre a quello fisico e tattico? «Oramai sono tanti anni che mi trovo in contatto e lavoro fianco a fianco con ragazzi in piena età adolescenziale e in costante cambiamento. Personalmente ritengo che il lavoro mentale e psicologico sia di estrema importante per cercare di creare un legame tra me e loro e garantire lo svolgimento del mio lavoro. Come dico sempre anche ai miei ragazzi, l’aspetto mentale è fondamentale poiché è da lì che parte tutto. Si può essere dei fenomeni con il pallone, si può essere fisicamente prestanti, ma se non siamo in armonia, innanzi tutto con noi stessi, non siamo in grado di rendere al meglio. Per questo motivo cerco di essere per loro una sorta di fratello maggiore, al quale possono confidare qualunque problema. Così facendo si viene a creare un legame di fiducia che permette una crescita reciproca, mia e dei ragazzi. Inoltre, per indole e convinzione personale, non amo alzare la voce e sbraitare tanto per fare. Non ritengo che siano metodi adatti. Dico ciò anche sulla base di esperienze personali, in cui chiunque abbia alzato la voce per insegnarmi, non ha lasciato in me niente di importante. Oltre a ciò, sono fondamentali anche lo studio e la disciplina. Da insegnante quale sono, non posso che ritenere la scuola un mezzo importantissimo per la crescita di qualsiasi ragazzo. Con la società siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Difatti, essi garantiscono ai ragazzi che arrivano da fuori l’Interland aretino dei tutor che li seguono personalmente e garantiscono loro una crescita anche sotto l’aspetto scolastico. Detto ciò, il mio gruppo mi dà a più riprese la dimostrazione della loro massima serietà. Non dobbiamo comunque dimenticarci che sono ragazzi di quattordici anni che sacrificano gran parte della loro vita nel calcio. Il campionato, infatti, prevede trasferte molto lunghe, come Foggia e Benevento, oltre a quattro allenamenti settimanali. Dunque, non posso che complimentarmi con loro».

Quali sono gli obiettivi futuri, tuoi e della squadra? «Parto dalla squadra. Facciamo un campionato estremamente competitivo, che vede la presenza di squadre, Pescara e Benevento in primis, il cui settore giovanile è sicuramente più blasonato. Tuttavia, stiamo facendo una stagione importante, che ci vede al quinto posto, non troppo distanti a livello di gioco a quelle che ci stanno davanti. Inoltre, essendo un campionato giovanile, è molto importante la crescita di questi ragazzi. Dire che i risultati non sono importanti sarebbe da ipocriti, ma è altrettanto vero che non sono l’unica cosa che conta. La formazione e lo sviluppo dei ragazzi è uno degli obiettivi principali. È nel settore giovanile che si gettano le basi di quello che saranno i futuri uomini e calciatori. Il divertimento deve andare di pari passo con la serietà ed il sacrificio, in quanto la peggior cosa, secondo me, è il rimpianto di aver potuto ma non aver voluto. Ed è quello che dico sempre ai miei ragazzi. Dopodiché, indipendentemente da ciò che diventeranno in futuro, questa rappresenterà sempre, nella loro memoria, un’esperienza bella ed importante della loro giovinezza. E spero che porteranno sempre nel cuore anche quello che è stato il loro allenatore. Per quanto riguarda me, non posso che essere estremamente soddisfatto del ruolo che attualmente ricopro, del quale vado molto orgoglioso. Al tempo stesso non mi pongo limiti e aspetto di vedere quello che mi riserverà il futuro».

Baraclit, rinnovato il contratto integrativo

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E’ stato rinnovato, per il prossimo triennio, il contratto integrativo alla Baraclit di Bibbiena. Interessa oltre 360 lavoratori. I temi principali sono salario e mensa aziendale, punto di forza di un welfare inclusivo.

“In questa trattativa e in questo accordo – commenta la Fillea Cgil – abbiamo trovato un’azienda disponibile a scommettere con noi sulla crescita, sull’innovazione e sulla dignità del lavoro. La Baraclit, grazie anche alla contrattazione aziendale, vede tra i suoi dipendenti un utilizzo limitato e residuale dei contratti a termine e interinali perché nel tempo ha compreso il valore aggiunto di avere lavoratori motivati e consapevoli del valore del loro lavoro e dell’impresa”.

Il contratto Baraclit, secondo la Fillea, è un esempio: “esiste un modo virtuoso per esercitare la partecipazione dei lavoratori alla vita dell’impresa. Per noi il sistema migliore è il confronto al tavolo negoziale al quale maestranze e impresa condividono le problematiche e le necessità, facendosi carico di portarle insieme a sintesi.  Vogliamo quindi che questo contratto integrativo sia preso ad esempio in un settore, quale quello della prefabbricazione, in cui si investe poco, si riducono i costi di produzione, si utilizzano contratti precari e non si riesce a redistribuire ricchezza e benessere tra i lavoratori”.

Elena Ristori: 100 chilometri nel deserto

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a cura di Giacomo Giovenali – Ancora non ci credo, finalmente quel sogno è diventato realtà. Mi chiamo Elena Ristori, ho 52 anni, due figli Michele e Martina e un marito, Alessandro (accondiscendente per necessità) e finalmente ho realizzato quel sogno… Perché tanto tempo per realizzarlo? Perché il mio ginocchio sinistro è bizzoso, non sono io che decido di fermarmi, ma è lui a decidere i tempi e gli allenamenti, purtroppo.

Per questo 3 anni fa ho chiesto aiuto al mio Coach Giacomo Giovenali e a Mtraininglab. Avendo tanti problemi e infortuni dovuti al ginocchio e alla corsa in generale chiesi a Giacomo di buttarmi giù un allenamento che mi permettesse di tutelare il ginocchio e intanto riuscire a realizzare quel sogno che nel frattempo avevo riposto in un angolino del mio cuore. Mi propone una cosa nuova x me, il triathlon… Ok, dico io. Si parte subito con il mezzo Ironman e già quando mi parlò di Ironman, mi dissi, mah chissà che verrà fuori.

Settembre 2022 traguardo del mezzo Ironman, felicissima, credevo d’aver raggiunto il mio massimo a livello sportivo, credevo, due mesi dopo ero a fissare con Giacomo e la mia famiglia (che mi ha sempre sopportato e supportato in ogni mia decisione) ha programmare il full, cioè l’Ironman, 3800mt nuoto, 180km bici, 42 km corsa… cioè capito di cosa si parla?

Mesi di allenamenti intensi, chiariamo che io lavoro. Non è stato facile organizzare le giornate, che nn avevano mai fine, dalla sveglia alle 3/4 del mattino per correre poi lavoro poi nuoto o bici… In breve, ma vi garantisco che è stato durissima, arriva il 16 settembre 2023, il giorno tanto atteso, io Elena che mi trovavo alla partenza di un Ironman. Non sono molto fortunata in queste gare, purtroppo, un po’ per l’età un po’ per sfortuna, mi faccio male in gara e questa dura tanto, ma tanto, ma anche qui traguardo raggiunto, ho pianto un bel po’ prima di capire che «impresa» (per me) aveva fatto. Elena you are an ironman! Mamma mia che emozione…

Ecco, mi sono bastati alcuni giorni per metabolizzare il tutto ed è lì che ho pensato a quel sogno tenuto sopito per anni, ora o mai più. Anche qui il mio Coach Giacomo Giovenali, mi ha dato manforte, «mettiamoci sotto e realizziamo il sogno», questo è stato il mio motto per mesi. La sveglia suonava sempre alle 3, la corsa mi aspettava o da sola o a volte con mia figlia, se penso alle corse in pausa pranzo con il sole rovente che bruciava l’asfalto, le gare e le uscite domenicali con le mie amiche che mi hanno aiutato ad allenarmi. Ma il ginocchio iniziava di nuovo a battere cassa, tra il Coach, il fisioterapista e l’ortopedico, è arrivato il giorno tanto atteso… Poi come faccio a descrivere, l’emozione di correre nel deserto…

La 100km del Sahara è una gara a tappe, dura, ostica, ignorante, ma che mi ha dato modo di vedere il deserto in diverse sfaccettature. Di giorno, con cielo azzurro, con vento, con pioggia e di notte, bellissimo. Il momento in cui ho tagliato il traguardo è stato assurdo, fantastico, ero ubriaca di felicità, non capivo più nulla, praticamente stordita!!!

La 100km del Sahara non è stata una gara ma un’esperienza bellissima, che mi porterò nel cuore per sempre, mi ha dato modo di conoscere, persone nuove e in alcuni momenti, una Elena che non conoscevo. Ancora mi vengono i brividi, mi aspettavo 100 è arrivato 1000. Dico grazie alla mia famiglia, dico grazie a me stessa per essere così testona e testarda, e grazie anche a tutti quelli che mi hanno permesso di realizzare il mio sogno.

Solidarietà senza frontiere

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di Gabriele Versari – Lo scorso ottobre, una delle associazioni di volontariato più note della vallata, Casentino Senza Frontiere, ha spento le sue prime dieci candeline. Per approfondire l’operato dei volontari, le origini del gruppo, i progetti in corso e quelli futuri Lavinia Dinu, presidente associativo e membro del gruppo dal 2014, si è prestata ai nostri microfoni per raccontare la storia e i momenti salienti dei trascorsi dieci anni.

Come nacque l’associazione e come si articolarono le prime iniziative? «Nell’estate 2014, un gruppo di giovani casentinesi decisero di intraprendere un’esperienza di volontariato. Tramite la conoscenza del professor Luca Crivellari, ex docente di religione cattolica del Liceo Scientifico Galilei di Poppi, entrarono in contatto con la Onlus “Altotevere Senza Frontiere”, associazione operante nel territorio di Città di Castello nata nel 2009 con l’obiettivo di offrire un sostegno concreto ai terremotati de’ L’Aquila. Grazie al gruppo umbro i ragazzi nostri concittadini conobbero la realtà kosovara di Leskoc, casa-famiglia supportata da “Altotevere” e da Cristina e Massimo, due volontari di “Caritas Umbria” nonché gestori della struttura dalla fine della guerra che, tra la metà e la fine degli anni Novanta, coinvolse il Kosovo. Nell’agosto dello stesso anno, grazie alla presenza di Cristina e Massimo, entrambi in possesso di ottime abilità linguistiche e quindi in grado di prestarsi come interpreti, i giovani casentinesi si stabilirono per due settimane presso la casa-famiglia, convivendo con gli ospiti e intraprendendo una prima vera esperienza di aiuto verso il prossimo.

Dopo tale vissuto, tornando in patria decisero che il proprio operato non doveva e non poteva fermarsi, dunque si impegnarono, tramite un’organizzazione strutturata e ufficiale, nella realizzazione di nuova realtà associativa. Un’esperienza così forte non poteva limitarsi ad un viaggio passeggero. “Casentino senza Frontiere” nacque a tutti gli effetti come sezione di “Altotevere Senza Frontiere”. Sempre nello stesso anno, il 24 ottobre, venne organizzata la cena inaugurale dell’associazione presso il Centro Creativo Casentino a Bibbiena, durante la quale si tenne la prima raccolta fondi a favore di Leskoc. Anche se inizialmente i ragazzi non erano a conoscenza delle modalità operative con cui portare a termine la raccolta, la prima serata fu un successo. Si riuscì a ottenere un ottimo risultato in termini di donazioni, soprattutto di chi era impossibilitato a partecipare fisicamente all’opera di volontariato. Oltre al progetto in Kosovo i fondi furono raccolti in favore di Tommaso, all’epoca bambino residente a Stia purtroppo affetto da una malattia genetica rara che necessitava di cure molto onerose. Alla serata di presentazione fu indetta un’asta di quadri realizzati da artisti amatoriali locali. Al termine dell’evento, tutte le opere furono vendute per un valore di circa duemila euro da destinare a Tommaso».

Com’è continuata l’esperienza associativa e quando è avvenuto il suo ingresso all’interno del gruppo? «Dopo il successo della cena inaugurale, l’opera di Casentino Senza Frontiere ebbe una grande risonanza in tutta la vallata. Cominciarono a sopraggiungere alcune proposte di sponsorizzazione da parte di altre associazioni locali, sponsorizzazioni legate soprattutto alla pubblicizzazione di eventi teatrali, di ballo ecc. Grazie agli introiti ricavati è stato possibile essere di ausilio anche per alcuni cittadini della vallata, sempre tenendo bene in mente che l’obiettivo primario era, come lo è oggi, la casa-famiglia in Kosovo. Durante la Pasqua del 2015 è stato organizzato il secondo evento, cioè una raccolta viveri nei supermercati di zona, viveri destinati a Leskoc e alla Caritas di Bibbiena. In estate decidemmo di tornare in Kosovo (stavolta anch’io fui coinvolta nell’iniziativa) con l’obiettivo di replicare quanto fatto l’anno precedente. Ciò che ha reso l’esperienza così significativa è stato, per la sottoscritta, porsi nell’ottica di aiutare in prima persona i bisognosi. Nei gruppi di volontariato così ristretti, infatti, è possibile agire in prima persona per il prossimo senza delegare ad altri enti il lavoro volontario. Di fatto, ho potuto assistere, in maniera tangibile, ai frutti che il nostro operato ha portato, a differenza delle esperienze che ho effettuato con associazioni più ramificate. Una volta arrivati in Kosovo conoscemmo i trenta bambini e ragazzi ospiti della casa-famiglia. I gestori della struttura si occupavano anche di duecento famiglie in difficoltà sparse per il paese. Ho visto con i miei occhi la portata della sofferenza alla quale erano sottoposti gli abitanti di quelle zone, dopo un conflitto bellico e culturale mai realmente risolto, di fatto un contesto di pace fittizio dove il disagio è estremamente diffuso e percepito, purtroppo, come elemento di quotidianità, nonostante ci si trovi in un territorio dell’Europa continentale.

Nel corso degli anni la realtà di Leskoc si è sviluppata dal punto di vista economico e il progressivo miglioramento delle condizioni finanziarie consente oggi ai ragazzi di poter proseguire gli studi dopo i diciotto anni o prestare le proprie energie alle piccole attività commerciali nate presso lo stesso contesto comunitario. Oggi, infatti, nella struttura sono attivi un panificio, un caseificio dove vengono prodotte mozzarelle rivendute poi ai ristoranti italiani locali e una piccola azienda agricola. Tutti esercizi finalizzati a fornire un’occupazione ai ragazzi ospiti qualora desiderassero di entrare subito nel mondo del lavoro. Nonostante le attività abbiano attualmente un buon ritorno economico, c’è ancora molto da fare per Leskoc, perlomeno fino a quando le nuove generazioni non sbroglieranno uno stallo socioculturale che permane da decenni».

Oltre all’impegno in Kosovo, l’associazione si è prestata anche per progetti con sede nel nostro paese?” «Nel 2016 e 2017 ci siamo dedicati al supporto delle vittime del terremoto nel Centro Italia. Nei vari supermercati casentinesi è stata organizzata una raccolta viveri, sempre grazie alla collaborazione con “Caritas Umbria”. Un progetto durato mesi che ci ha visto essere presenti nella località di Norcia. Uno più recente è invece quello legato alla cena per la celebrazione dell’anniversario di associazione, allestita presso il Circolo Parrocchiale di Strada in Casentino (l’associazione è nata, come spiegato, nel mese ottobre, ma il periodo delle feste si presta meglio a questo tipo di iniziative). Dopo la raccolta della cena di dicembre 2024 abbiamo stanziato i fondi a favore di “Morgana, Un Ascensore Verso l’Indipendenza”. L’associazione ha donato 2.300 euro ad una ragazza mia coetanea costretta in sedia a rotelle grazie ad una campagna Facebook efficace. È doveroso citare l’impegno compiuto per l’Ucraina nel periodo post covid. Nata con l’idea di una collaborazione con un’associazione di Firenze allo scopo di raccogliere indumenti e coperte, l’iniziativa si è trasformata in una vera e propria raccolta viveri attraverso cui si è riusciti ad accumulare del materiale anche al di fuori della nostra vallata, da Arezzo al Valdarno. Grazie alla collaborazione con la sezione locale di “ADRA Italia”, sono stati aperti punti di raccolta in diversi comuni del territorio, riuscendo a ricavare una quantità di viveri tale da riempire i magazzini di una nota azienda casentinese che ci ha gentilmente offerto i propri spazi. Il materiale è stato trasportato con l’ausilio di diversi tir e l’associazione “Giovanni Paolo II”, collaborando anche con un’associazione esterna rumena. Un enorme successo che mi ha portato a spostarmi in loco per aiutare. Il feedback, nonostante lo stop del Covid, è stato sorprendentemente positivo, davvero inaspettato, frutto probabilmente della nostra trasparenza nelle varie operazioni di raccolta dei materiali e di riconsegna»

Per quanto riguarda i progetti futuri, quali obiettivi pensate di perseguire? «Il nostro obiettivo primario è chiaramente portare avanti la missione Leskoc. Oltre a ciò, intendiamo anche proseguire con la raccolta viveri nei supermercati casentinesi. Inoltre, ogni anno organizziamo, grazie alla disponibilità degli amici della Sagra del Tortello, Happy Solidal, la nostra serata di beneficenza a Papiano, nel comune di Pratovecchio-Stia, momento in cui raccogliamo fondi consistenti con l’aiuto fondamentale della Pro Loco locale. Per il resto, le iniziative a cui ci prestiamo sono di ogni tipo, sfruttiamo ogni occasione poiché, trattandosi di una piccola realtà associativa, ogni opportunità è da cogliere. Il nostro gruppo si allargando sempre di più (dai 7 membri iniziali oggi siamo quasi 80 consociati di cui 13 soci principali), perciò alcune sfide che il futuro ha in serbo per noi sono ancora un mistero. Ovviamente, invitiamo quanti più possibile a unirsi, per dedicarsi anche ad una sola iniziativa. Il nostro obiettivo è assicurarsi di mettere in atto un’opera di volontariato libera da vincoli, senza gravare troppo sul tempo libero del volontario. Con l’inizio del 2025 possiamo affermare con certezza che il viaggio continua, Senza Frontiere!».

La cucina economica

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di Lara Vannini – Odore di fumo e di un lento ribollire, vetri appannati e il suono dolce di un costante crepitio… Potremmo immaginarcela così la cucina dei nostri nonni, un luogo accogliente, semplice, dove d’inverno il calore di una fiamma e qualche pentola sul fuoco non mancavano mai. Non a caso in Casentino quando una persona diceva «sono in casa» voleva dire «sono in cucina», perché questa parte dell’abitazione era la più vissuta, il cuore pulsante in cui si susseguivano le attività dell’intera famiglia. In cucina si desinava, era un ottimo rifugio dai rigori invernali e proprio qui si scaldava l’acqua per lavarsi.

Tutte le attività importanti avvenivano in cucina compreso l’accoglienza degli ospiti, che potevano tranquillamente stare seduti al canto del focolare con un bicchierino di vino artigianale, di mezzo vino, Vermut o Vinsanto. Il “mezzo vino” era una bevanda ricavata dalla vinaccia, sicuramente un prodotto meno pregiato e più leggero del vino, ma che in tempo di ristrettezze era l’ideale. Nelle cucine “più moderne”, oltre al grande camino era presente la cucina economica, uno strumento che come dice il termine aiutava considerevolmente ad ottimizzare le risorse e generare calore.

Cucina lenta e saporita Oggi, dove tutto ruota intorno alla sostenibilità perdendo spesso di vista il fine ultimo a scapito del commercio, la cucina economica rappresenta un vero toccasana per chi in un colpo solo vuole ritornare alla genuinità di un tempo, utilizzare un oggetto multifunzione e riappropriarsi di una cucina sana ed estremamente saporita. Upgrade del camino a legna, la cucina economica ci riporta indietro nel tempo, nelle abitazioni delle nonne quando i lunghi pomeriggi invernali dove fuori faceva buio presto, pioveva o ancora meglio nevicava, la cucina economica rappresentava una discreta compagnia grazie al crepitio della legna arsa ma anche al lento ribollio che produceva il tegame posto sul grande ripiano in ghisa. La cucina era generalmente un ambiente sempre caldo, accogliente ma soprattutto profumato di piatti deliziosi che grazie alla cottura lenta restavano in preparazione per molte ore. Il ragù di carne, spesso di coniglio, che in passato veniva cucinato con parsimonia e usato in occasioni speciali, era un alimento che per le lunghe ore di cottura, inondava di aroma tutta la casa. Lo stesso poteva dirsi per l’arrosto di pollo, anatra e coniglio che veniva cotto nel fornetto. Chi non aveva il focolare ci preparava anche la polenta. La sera veniva cucinata la minestra e zuppe di ogni tipo. La convenienza di questa cucina era che il fornello era sempre caldo sia per cucinare sia per scaldare qualsiasi alimento.

La cucina economica però a dispetto della propria efficienza nasce molto lontano, ben prima del ‘900, in ghisa o acciaio e come già detto era uno strumento estremamente versatile che permetteva nello stesso momento di preparare i cibi, tenerli in caldo, riscaldare gli ambienti, asciugare la biancheria. Durante le festività natalizie, per profumare l’ambiente venivano poste sulla piastra della cucina economica, bucce di arancia e di mandarini che con il calore sprigionavano un buonissimo aroma.

Un oggetto più funzioni La cucina economica era costituita da più scomparti. Una zona dove veniva bruciata la legna, uno scomparto dove si raccoglieva la cenere, un fornetto per preparare le pietanze, e in basso un piccolo vano orizzontale dove potevano essere tenuti i cibi in caldo. In alto c’era la piastra di ghisa formata da cerchi estraibili, a seconda del diametro del tegame che veniva utilizzato. Sulla destra del versatile strumento c’era il serbatoio per l’acqua che doveva sempre essere pieno anche se il liquido al suo interno poteva essere utilizzato ad esempio per cuocere la pasta. Il tubo della stufa che raccoglieva i fumi della combustione, dovendo salire per sfogarli esternamente, riscaldava anche la stanza posta al primo piano. Certamente la cucina economica doveva essere pulita e mantenuta soprattutto la piastra di ghisa dove spesso cadeva il cibo in cottura. In Casentino una famosissima casa costruttrice di elettrodomestici fu la Becchi di Forlì. Fondata nel 1858 da Pietro Becchi, fu dopo più di un secolo incorporata nella Zanussi. La Becchi fu un’azienda che riuscì nel tempo a fare un considerevole successo tanto che nel 1940 divenne addirittura una Società per Azioni. Intramontabile ancora oggi è la cucina economica smaltata di bianco, a quattro scomparti con il ripiano in ghisa.

Cucina economica ed igiene personale Come già detto la cucina economica era un oggetto estremamente versatile e per questo decisamente indispensabile in un ambiente familiare. Essendo la grande piastra superiore sempre riscaldata a causa del bruciare continuo della legna, era possibile ad esempio preparare l’acqua calda per farsi il bagno nel catino davanti al camino o più semplicemente per lavarsi la mattina. Infatti non va dimenticato che fino agli Anni ’50 e ’60 del ‘900 nelle campagne non esisteva acqua corrente all’interno degli ambienti domestici, ed avere uno strumento che permetteva in tempi rapidi il riscaldamento dell’acqua era un enorme privilegio. Anche i saponi erano ridotti al minimo, comunemente esisteva la saponetta che veniva utilizzata un po’ per tutto, così “l’acqua sporca” veniva gettata in un’apertura dell’acquaio che generalmente andava direttamente fuori dall’abitazione. Non esistendo il phon, il calore della cucina economica poteva servire anche per l’asciugatura dei capelli. La piastra della cucina economica essendo sempre riscaldata poteva servire anche per preparare il ferro da stiro per la stiratura. Niente elettricità quindi, ma lo stesso calore sprigionato dalla combustione della legna che veniva utilizzato per più funzioni. Infine i ferri presenti nella canna fumaria potevano diventare degli ottimi stendibiancheria o luoghi dove riporre i canovacci della cucina dopo che erano stati utilizzati. Anche la cenere prodotta dalla combustione della legna poteva essere riutilizzata ad esempio per igienizzare le stoviglie, lavare gli indumenti (lisciva), lucidare pentole e coperchi, ma anche per tenere lontane le lumache dagli ortaggi o come fertilizzante.

Il ruolo della cucina oggi Se ci pensiamo bene oggi con la ricerca nelle abitazioni di un living aperto, di spazi per cucinare che dialoghino con la zona giorno/pranzo, ci accorgeremo di come in realtà stiamo tornando alle abitudini del passato quando la famiglia si riuniva insieme nella grande cucina e gli spazi dell’abitare erano quelli in cui ci si poteva riunire e condividere un ambiente. Ancora oggi le persone preferiscono riunirsi intorno ad un fuoco, quello dei fornelli e mentre il cibo è in preparazione stare insieme a dialogare magari con un buon calice di vino. Non è un caso che i nostri nonni quando dicevano che erano in casa si riferissero alla cucina, un luogo magico da cui si generavano storie di vita e di amore.

Le offerte di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego

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Le nuove offerte settimanali di lavoro in Casentino del Centro per l’Impiego. Anche questa settimana gli incentivi e le opportunità regionali per i datori di lavoro e le persone fisiche, oltre le chiamate dirette al lavoro. I tirocini curriculari retribuiti 2023/24. Gli Avvisi Pubblici per la concessione di contributi a imprese e/o datori di lavoro finalizzati a garantire incentivi all’assunzione degli iscritti alla legge 68/1999 con disabilità di natura psichica. Il bando per servizi innovativi delle imprese di GiovaniSì. E l’avviso pubblico per il finanziamento di piani di Welfare Aziendale per la conciliazione di vita-lavoro 2023-2025.

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Gli orari dei Centri per l’Impiego della Toscana sono i seguenti:

lunedì 9:00 – 13:00

martedì 9:00 – 13:00 pomeriggio 15:00 – 17:00

mercoledì 9:00 – 13:00

giovedì 9:00 – 13:00 (su appuntamento), pomeriggio 15:00 17:00

venerdì 9:00 – 13:00

Le marze per gli innesti

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di Marco Roselli – L’innesto, insieme con la talea, la margotta, la propaggine, è una tecnica di moltiplicazione o propagazione agamica delle piante arboree da frutto. L’innesto è una pratica molto antica, secondo certi autori già conosciuta dai cinesi alcuni secoli prima di Cristo e certamente praticata dai Fenici e dagli Egizi nonché dai Greci e dai Romani. L’applicazione pratica di questa tecnica deriva, probabilmente, dall’osservazione intelligente di qualche agricoltore di innesti spontanei per approssimazione, che consistono nella saldatura permanente dei tessuti di due rami o branche rimaste a contatto tra loro per un certo periodo di tempo. Dall’unione di due parti di una stessa pianta all’unione di due parti di piante diverse, il passaggio deve essere stato breve e così è nato l’innesto come tecnica agronomica per diffondere le varietà desiderate, mantenendone inalterate le caratteristiche. Ciò non avvenire nella propagazione per seme, a causa dell’eterozigosi più o meno accentuata che dà luogo ad una spiccata variabilità genetica dei caratteri nei semenzali della stessa cultivar da frutto.

Perché si innesta L’innesto è fondamentalmente una pratica di ingentilimento delle piante. Passeggiando in campagna, un occhio attento può facilmente riconoscere le piante “selvatiche” ovvero nate spontaneamente da semi portati dal vento o più frequentemente dagli animali (ad esempio, il ciliegio ha nome latino Prunus avium, “degli uccelli”, ed è facile intuirne il motivo). Queste Piante nate da semi di cui si ignorano i genitori e sviluppatesi in ambiente non coltivato (es. bosco) hanno sempre alcune caratteristiche intrinseche alla loro origine genetica: – Sono molto vigorose e eterogenee. – Hanno una lenta entrata in produzione. – Quando la produzione arriva è scarsa e alternante. – Hanno una tendenza ad avere gemme spinose anziché fertili, tipico carattere selvatico.

Tra i loro aspetti positivi ci sono la rusticità, da intendersi anche come resistenza alle più comuni malattie delle piante da frutto. Ciò non di meno, sarebbe difficoltoso realizzare un frutteto amatoriale usando queste piante così come si trovano allo stato spontaneo, ecco perché già nell’antichità avevano capito che con l’innesto si potevano ottenerne indubbi vantaggi. Alcuni vantaggi dell’innesto: 1. Indebolire la vigoria di una varietà per anticiparne l’entrata in fruttificazione e ridurne lo sviluppo della chioma. 2. Diffondere una varietà che ci interessa. 3. Sostituire una varietà, quando ci accorgiamo che questa, purtroppo non produce. 4. Prevenire malattie o attacchi parassitari (per esempio l’impiego della vite americana, quale portinnesto, contro la fillossera). 5. Adattare una specie o una varietà a un terreno o a un clima non idoneo. 6. Ringiovanire e/o rinvigorire una pianta vecchia, ammalata o debole, innestando sul tronco una o più marze prelevate da una pianta giovane. 8. Ricostituire le branche o parte della chioma, distrutte da eventi metereologici o attacchi parassitari, così come inserire gemme su branche che ne sono prive, al fine di ottenere chiome regolari. Questi sono solo alcuni dei motivi che hanno spinto l’uomo a migliorare le tecniche di innesto e come è evidente l’ingentilimento è uno dei principali da cui diversi altri discendono.

Definizione di innesto “Unione durevole ed efficiente di porzioni di piante diverse nella costituzione di un nuovo individuo” Da questa definizione ne discende che deve avvenire una saldatura tra i tessuti del nesto e quelli del portainnesto quindi, in sostanza, l’innesto consiste nel far saldare una parte viva di pianta (definita nesto, oggetto o gentile) destinata a formare la chioma del futuro esemplare su un’altra pianta definita portainnesto (detto anche soggetto) che ha il compito sia di sostenere e ancorare sia di assorbire le sostanze nutritive dal terreno. Le parti, provenienti da due piante diverse, danno così origine a un nuovo esemplare bimembre. Ognuna delle due parti, o bionti, infatti, pur dipendendo dall’altra per l’alimentazione, conserva la propria individualità. Da ciò il nome di marza dato alla porzione superiore che costituisce la chioma e di portinnesto (o soggetto) alla porzione inferiore al punto di innesto.

Il soggetto può aver avuto origine da: a) seme: in tal caso lo si chiama franco, se deriva dal seme raccolto da una pianta coltivata; selvatico, se deriva dal seme (sovente raccolto nei boschi) di una pianta spontanea; b) talea; c) barbatella; d) pollone; e) pianta già innestata. Soggetto e oggetto possono anche appartenere a specie diverse.

I tipi di innesto I tipi di innesto sono molteplici, per adattarsi alle esigenze specifiche delle varie piante. A seconda dello stato di lignificazione dei bionti, gli innesti si suddividono in erbacei, semi legnosi e legnosi. Tra gli innesti legnosi si trovano l’innesto a gemma, quando il nesto è fornito di una sola gemma, e l’innesto a marza quando il nesto è costituito da una porzione di ramo con almeno due gemme.

Come accennato in questo primo articolo ci occuperemo degli innesti a marza mentre più avanti nella stagione affronteremo anche gli innesti a gemma (gemma dormiente e gemma vegetante).

Istogenesi dell’innesto Per la riuscita di qualsiasi tipo di innesto deve avvenire una saldatura tra i tessuti dell’oggetto e quelli del soggetto. Questo fatto è un vero e proprio miracolo della natura, ma richiede che alcuni requisiti siano soddisfatti, pena il fallimento dell’operazione. Ruolo fondamentale è quello del cambio, una esile parte di tessuto meristematico posto tra il libro (tessuto sotto la corteccia) e l’alburno (tessuto interno al cambio stesso) in grado di far accrescere le piante in senso diametrale e responsabile del lavoro di saldatura e cicatrizzazione di questo vero e proprio “matrimonio” tra parti di piante diverse.

Dopo che la marza e il portainnesto sono stati uniti, il cambio da ordine alle cellule di produrre il cosiddetto “callo di cicatrizzazione” e di moltiplicare la parte di tessuto del portainnesto, atta ad unire i canali vascolari dei due bionti, in modo che la nuova parte non muoia. Questo processo richiede alcuni giorni, ecco perché le marze devono essere assolutamente in stato di riposo al momento dell’innesto, mentre è auspicabile che il portainnesto abbia avviato l’attività vegetativa.

Affinità di innesto Tra piante di specie diversa non esiste affinità perché non c’è compatibilità tra i tessuti: il nesto non si salda al portainnesto o in breve tempo avviene il rigetto. Non si può quindi innestare un ciliegio su un olivo o su un melo. Esiste una affinità tra specie diverse appartamenti però alla stessa famiglia, (tra cotogno e pero, tra ciliegio di Santa Lucia e ciliegio dolce oppure, al limite, tra biancospino e pero o anche tra pesco e susino). E’ chiaro che hanno maggiore probabilità di riuscita quelle combinazioni in cui i due bionti sono botanicamente vicini.

Innesto a marza Prevede l’impiego di una porzione (marza) di ramo lignificato provvista di 2-3 gemme, che viene inserita sul portinnesto mediante opportune fenditure e intaccature. L’epoca di esecuzione varia dalla seconda metà dell’inverno fino all’inizio della primavera e la marza deve trovarsi in totale stato di riposo. Le principali tecniche di innesto a marza sono: innesto a spacco diametrale (es. reinnesto vite), doppio spacco inglese, triangolo e corona (es. reinnesto fruttiferi). Marze: consigli per la raccolta e la conservazione – Come detto, la varietà deve essere affine al portainnesto. – Si prelevano rami di un anno provvisti di gemme a legno del diametro di circa 10 mm. – Il materiale deve essere esente da malattie. – Si scelga la marza prelevandola dalla parte mediana del ramo. – Epoca indicativa di raccolta: tra gennaio e febbraio. – Le marze vanno conservate a 4° C in sacchi di film nero (di solito si mettono nel frigorifero di casa in un sacchetto di plastica in cui siano stati praticati dei fori) ma possono essere tenute anche in cantina, sotto sabbia mantenuta umida ma non fradicia.

Al termine del lavoro si chiude la ferita con mastice per innesti.

Quando i due non vanno d’accordo… Che stare insieme sia una vera sfida lo sappiamo tutti e l’innesto delle piante rappresenta una metafora davvero azzeccata. E’ esperienza comune ritrovare grosse ciambelle anche a 1 metro da terra di vecchie piante da frutto. In questi casi l’innesto (il matrimonio) si è protratto a lungo ma è anche possibile che duri pochissimo con il risultato che il punto di innesto si frattura e le due parti si separano.

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