di Melissa Frulloni – C’è una parola che mi sta veramente antipatica e questa è resilienza. Sì, lo so il suo significato in realtà è bellissimo: per un oggetto è la capacità di assorbire un urto senza rompersi; per una persona è la capacità di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Non a caso è venuta fuori durante il Covid. Forse sarà quello il motivo della mia poca simpatia per questo termine; mi ricorda quel momento in cui dovevamo essere forti per forza, resistere a tutto quello che ci stava capitando; “essere resilienti” appunto.
Ce lo dicevano tutti, dal vicino di casa, a Conte in tv… Poi è rimasta nel nostro vocabolario e anche a pandemia finita è stata usata spesso, da molti, come fosse “di moda” o “facesse figo” buttare qua e là una resilienza… Senza dubbio, nonostante i miei gusti e il mio essere restia ad utilizzarla, è una parola che, anche molto prima della pandemia, ha avuto la capacità di descrivere perfettamente l’animo e lo spirito dei casentinesi.
Dice un vecchio adagio: “pan di legno e vin di nuvole”. Era il modo di indicare la tavola dei poveri, dove il vino era “quello di nuvola”, quindi l’acqua, e il pane era “quello del legno”, intendendo un alimento protagonista del mese di novembre: le castagne. I casentinesi se le sono sempre procurate nei nostri boschi e in questa stagione diventavano essenziali per mettere in tavola qualcosa di sostanzioso da mangiare.
Alle castagne dedichiamo un articolo (a pagina 48 del giornale in edicola da ieri, con approfondimento sull’Ecomuseo e sui castagneti di Raggiolo) proprio per celebrare l’importanza che questo frutto ha da sempre rappresentato per i casentinesi; non solo alimento facile da reperire, ma anche aggregante sociale (riunirsi intorno al fuoco o nei seccatoi era un ottimo modo per passare la serata in compagnia e al caldo). Ma la resilienza dei casentinesi non appartiene solo al passato, quando era difficile portare in tavola qualcosa per sfamare i propri figli e il bosco e i suoi frutti erano la salvezza per molte famiglie. La loro resilienza (ormai mi ci sono abituata anche io ad usarla questa parola…) è legata anche al presente.
Alla nostra innata capacità di adattamento, di assorbire urti, mancanza di opportunità, pochi servizi, tagli alla sanità, una strada che non è una strada… Ci assestiamo subito davanti ai problemi e, a testa bassa, andiamo avanti giorno dopo giorno. Lo sconforto non sappiamo cosa sia; ci rimbocchiamo le maniche e, come i nostri antenati, ci accontentiamo di mangiarci una castagna in compagnia o di approfittare di quello che ci è stato riservato. Tutti noi sappiamo e riconosciamo quanto sia dura a volte la vita in questa valle, quanto sarebbe “più facile” andare altrove, ma poi la nostra anima casentinese, quella delle Foreste, ci “richiama all’ordine” e basta un po’ di foliage, andar per boschi a cercare le castagne (appunto) e sentirsi parte di una terra così magica per scacciare il pensiero di scappare che ti era venuto dopo l’ennesima fila al semaforo di Rassina…
E di esempi di persone che nel decidere di restare hanno dato vita ad attività “difficili” da portare avanti in Casentino ce ne sono parecchi; pensiamo ai ragazzi che hanno aperto uno studio di registrazione (a pagina 36); anche loro sono convinti che: “Essere giovani in Casentino significa diventare abili nel trovare opportunità dove sembrano non esserci. Ti aiuta a comprendere che la monotonia come stile di vita è una scelta e ti insegna a lottare per ottenere risultati concreti. Soprattutto, ci fa capire quanto la nostra generazione abbia la forza di cambiare le cose”.
E ancora pensiamo all’associazione di Borgo alla Collina che vuole mantenere vivo il ricordo della nostra storia e della resistenza nel nostro territorio (a pagina 76), a chi, proprio in Casentino, trova lo stimolo e la spinta per compiere gesta sportive incredibili (a pagina 72), ma anche a chi “semplicemente” ha costruito qui la sua famiglia, la sua casa, il suo lavoro, vivendo magari non nella “centralissima” Bibbiena, ma a Badia, Quota, Lonnano, Talla…
Da “pan di legno e vin di nuvole” di feste della castagna ne sono passate parecchie per i borghi del Casentino e da allora, per fortuna, le cose sono cambiate e migliorate. I problemi di oggi sono comunque importanti per i “nuovi casentinesi” che, nonostante tutto, tengono botta.
L’idea di dedicare la nostra copertina alla castagna è proprio questa, celebrarla perché ha rappresentato la salvezza di molti nostri antenati casentinesi che grazie alla loro tenacia, spirito di iniziativa e… resilienza hanno trasmesso anche a noi, nuove e future generazioni di abitanti del Casentino, la volontà e la certezza di voler far crescere in questa terra i nostri figli…