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giovedì, 26 Dicembre 2024

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Per non dimenticare!

di Federica Andretta – Viviamo ultimamente tempi molto difficili che ci riportano indietro nel tempo, a tempi lontani in cui guerra e sofferenza erano il pane quotidiano della gente, sia di chi la combatteva direttamente sia di chi la viveva su altri fronti. Nonostante ciò che sta accadendo attualmente, quante volte vi sarà capitato in passato di poter pensare alla Guerra come ad un qualcosa di lontano, appartenente ad una società ormai così distante dalla nostra da viverne i fatti attraverso gli eventi narrati da un libro di scuola, da un documentario televisivo, o ancora, dal telegiornale e da altrettanti appuntamenti televisivi trasmessi proprio in occasione della “Giornata della Memoria”?

Ma se la guerra ci può essere (a volte o spesso) sembrata così lontana da noi sia per i tempi in cui è avvenuta sia per i luoghi dove questa è stata vissuta e combattuta, siamo in realtà ben lontani dalla realtà che probabilmente ci siamo costruiti, perché le nostre terre parlano da sole. C’è un paese, infatti, nel cuore del nostro Casentino che ha vissuto come altri da vicino l’orrore della Seconda Guerra Mondiale. Ed è attraverso il racconto attento, chiaro e preciso del Professor Danilo Tassini che possiamo illustrarvi non soltanto un pezzo di storia del XX secolo ma una vicenda che ha segnato per sempre un’intera comunità.

LA STRAGE NAZI-FASCISTA DI MOGGIONA Il 7 Settembre 1944 Moggiona fu oggetto di una orribile strage di civili, inermi e innocenti. Diciotto persone tra anziani, donne e bambini furono barbaramente trucidati dai nazi-fascisti.

Per poter comprendere a pieno l’assurdità della strage di Moggiona occorre fare alcune premesse.

Durante il secondo conflitto mondiale Moggiona venne a trovarsi sul tracciato della Linea Gotica e quindi in zona di guerra. Per questo motivo il 26 agosto 1944 un reparto di soldati tedeschi giunse improvvisamente in paese, tutta la popolazione fu radunata nella chiesa e quindi trasferita in Romagna, a Galeata. I tedeschi tuttavia, avendo da qualche tempo stabilito nel paese un Comando che seguiva la realizzazione di quel tratto della Linea Gotica, trattennero due o tre famiglie affinché continuassero a svolgere per loro varie mansioni.

E saranno proprio i componenti di queste famiglie le vittime innocenti dell’eccidio!

E veniamo a quel tragico 7 settembre 1944 e al racconto diretto dei pochi superstiti.

Quel giorno i soldati tedeschi in ritirata cominciarono ad abbandonare Moggiona diretti verso l’Eremo di Camaldoli, carichi di masserizie rubate, e trascinando via anche il cannone che era stato piazzato in paese. Rimaneva soltanto da far saltare i ponti, già minati, al fine di rallentare l’avanzata degli Alleati, e a questo scopo giunsero nella sera in paese alcuni soldati, mai visti prima.

Emiliano Benedetti, anziano di 71 anni, da dietro la finestra della sua casa osservò la scena, e poi dichiarò quanto segue ai soldati inglesi giunti in paese circa 20 giorni dopo e incaricati di stendere una relazione sulla strage: «Verso le 7 di sera giunsero in paese tre militari armati, i quali scambiarono parole con gli ultimi che partivano indicandosi l’abitazione della famiglia dove questi partenti avevano cucina. I tre si fecero dare del pane e del vino da quella famiglia, che era una di quelle che erano state trattenute in paese per i servizi, e dopo aver mangiato e bevuto nella vicina scuola del paese, tornarono in quella casa e iniziarono a mitragliare. Sentii gemiti e lamenti, ma rimasi ben nascosto». Tutti i presenti in quella casa furono barbaramente trucidati. Caddero sotto i colpi delle mitraglie: Francesco Meciani di 69 anni; Isola Benedetti di 64 anni; Alfonso Meciani di 60 anni; Vittorio Meciani di 14 anni; Pietro Alinari di 59 anni.

I soldati si portarono poi in una casa vicina. Lì viveva la famiglia Ceccherini, fatta restare in Moggiona in quanto Maria Ceccherini, vedova e claudicante, era sarta. Quella sera in quella casa si erano radunate per la cena più persone: oltre alla famiglia Ceccherini (madre, quattro figli piccoli e un loro cuginetto) anche i proprietari della casa, i Meciani, ed altri a vario titolo. I soldati, con le armi spianate, fecero scendere tutti in cantina.

Aurelio Ceccherini, bimbo di 12 anni, così rievoca, con estrema sofferenza, quello che accadde: «Stavo tornando a casa dalla fonte dove mi ero recato, assieme al mio fratellino Osvaldo, per prendere l’acqua. In tre cominciarono a sparare. Io, che ero ancora vicino alla porta, scappai fuori. Mi spararono dietro ma non mi colpirono. Il mio fratellino Osvaldo di 9 anni invece corse dalla mamma. Finita la sparatoria, quando i tedeschi se ne furono andati io mi feci coraggio ed entrai nella cantina. Era tutto buio. Sentii e vidi Giovanni Meciani, nascosto dietro ad un tino, sanguinante, e che si lamentava con tutte le forze che gli rimanevano. C’era mia sorella Clara, di 14 anni, distesa a terra che perdeva sangue da tutte le parti. Cercai di soccorrerla ma tra i lamenti mi sussurrò – non puoi fare più niente per me –. C’era mia mamma Maria che perdeva sangue da una gamba e dal petto e che teneva stretto al petto il mio fratellino Francesco, di tre mesi di età, rimasto incolume. C’era mio fratello Osvaldo morto. Andai a cercare un pezzo di lenzuolo e lo spirito che tenevamo in casa, al piano superiore. Lì trovai la mia sorellina Teresa e la piccola Felicina Meciani incolumi. C’era Azelia Meciani, gravemente ferita, che mi chiedeva di portarle acqua, e io lo feci. Accesi una candela con i fiammiferi che trovai in tasca ad uno dei morti. Ma da fuori sentii – ancora italiani? – Erano i soldati che facevano saltare il vicino ponte. Spensi la candela e mi accovacciai accanto alla mamma, insieme agli altri bambini. Rimanemmo tutta la notte fermi e zitti: eravamo terrorizzati e tremanti».

La mattina seguente i lamenti erano finiti. I feriti erano morti, ad eccezione della mamma di Aurelio che tuttavia non poteva muoversi a causa delle ferite riportate. In quella casa rimasero uccise 11 persone: Meciani Consiglia 20 anni; Meciani Azelia 34 anni; Meciani Laurina 4 anni; Meciani Isolina 6 mesi; Ceccherini Clara 14 anni; Ceccherini Osvaldo 9 anni; Meciani Candido 69 anni; Meciani GiovanBattista 60 anni; Meciani Giovanni 40 anni; Fabbri Maria 64 anni; Alberti Giovanni 69 anni.

Felicina Meciani, una dei piccoli sopravvissuti alla strage e nella quale erano stati uccisi i suoi genitori, ricorda: «Quando la mattina dopo venimmo via di laggiù, trovammo due soldati che ci presero e ci misero al muro. Erano italiani. Mi è sempre rimasto in mente un nome: Cavallini. Così lo aveva chiamato l’altro. Questi disse – noi fare kaputte – ma l’altro rispose – no, non lo vedi che sono bambini, lasciamoli passare».

Anche Aurelio Ceccherini ricorda quella mattina dell’8 settembre 1944 quando loro piccoli e la sua mamma ferita furono di nuovo fermati e con le armi in pugno messi al muro. E ricorda che parlavano con accento fiorentino.

Le due case delle stragi vennero poi minate e fatte saltare in aria per tentare, inutilmente, di simulare un bombardamento, e quindi accreditare la morte dei civili a quello. I cadaveri rimasero sepolti sotto le maceria fino al 30 settembre.

La sera del 7 settembre un ulteriore delitto si consumò sul ponte fatto poi saltare.

Ardenna Cipriani dichiarava agli inglesi: «I tedeschi quella sera, vennero nella casa dove abitavamo e condussero via Roselli Iole, sua figlia Luigina, la mia sorellina Emilia e me. Il tenente ci fece accompagnare da un soldato al secondo ponte sulla strada per Poppi. Domandammo al soldato perché ci aveva portato là e lui chiamò il tenente. Il tenente venne e disse che potevamo tornare a Moggiona, ma quando arrivammo al primo ponte alcuni soldati ci fermarono; dicemmo che il tenente ci aveva dato il permesso di proseguire fino a casa, ma essi non ci lasciarono passare. Alcuni minuti dopo arrivarono il tenente e il sergente e dissero che non dovevamo avere paura di niente e nello stesso momento il sergente fece fuoco contro di noi col suo mitra. I colpi abbatterono Roselli Iole (34 anni) e la sua bambina Luigina (9 anni). Io e la mia sorellina di 4 anni riuscimmo a fuggire nell’oscurità. Circa venti minuti dopo udimmo saltare il ponte.

I corpi di Iole e Luigina furono poi trovati dagli inglesi gettati nel fosso.

A partire dai primi giorni dell’ottobre di quel 1944 il Sergente inglese Charles Edmondson, incaricato di condurre l’indagine sulla strage di Moggiona, raccolse una serie di deposizioni, scattò foto, girò video e trasse le ineluttabili conclusioni.

Tutto questo materiale è oggi gelosamente conservato nella Mostra Permanente sulla Guerra e la Resistenza (Ecomuseo del Casentino) allestita in paese. E lì accanto è stata realizzata una piccola piazza: Piazzetta 7 Settembre 1944.

Moggiona non può e non vuole dimenticare!

Anche Don Giuseppe Cacciamani, Monaco Camaldolese, in quei tristi giorni raccolse le testimonianze dell’anziano Benedetti Emilio e del fanciullo Aurelio Ceccherini e concluse la sua relazione (conservata nell’Archivio del Sacro Eremo) con queste parole imperiture: “Questa è la vera storia dei barbari misfatti, compiuti con vile cinismo a danno di inermi e innocenti persone; ed è stata affidata alla carta, perché sia tramandata ai posteri quale monumento irrefragabile”.

 

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