di Mauro Meschini – «Ci siamo conosciuti nel lontano 1985. Sedici anni io, diciassette lui. Da allora non ci siamo più lasciati. Ci siamo scelti per crescere e affrontare una vita insieme. Avremmo voluto invecchiare insieme. E invece…».
Invece, nel 2017, arriva una diagnosi infausta. No, non si trattava del Covid-19, ancora nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo solo qualche anno dopo, si trattava invece di una patologia oncologica grave, un male altrettanto terribile che, nella sua evoluzione, ci porta comunque al 2021 e ai mesi dell’epidemia mettendo in evidenza una situazione in cui sembra trovino conferma le tante voci che da tempo sottolineano come l’emergenza Coronavirus abbia causato pesanti ritardi nella prevenzione e cura delle altre malattie. A questo proposito ci sembra indicativo quanto si trova scritto nelle pagine web della ASL Toscana Sud Est, riferito ai tempi di attesa delle prestazioni sanitarie.
«A causa dell’emergenza Covid-19 l’Azienda Usl Toscana sud est, per garantire le necessarie misure di contenimento del contagio indicate dal Governo e dalla Regione Toscana, pur assicurando le prestazioni urgenti, ha rimodulato, dopo la sospensione negli scorsi mesi di marzo, aprile e maggio, le attività di prenotazione ed erogazione delle prestazioni specialistiche ambulatoriali e di diagnostica strumentale (NON URGENTI) oggetto di monitoraggio.
Dopo una prima riprogrammazione dei precedenti appuntamenti e inserimento delle nuove prenotazioni nel mese di giugno, le rinnovate e ulteriori misure di contenimento emanate dal Governo e dalla Regione Toscana nei mesi di ottobre e novembre hanno determinato, pur nel mantenimento dei volumi di attività ambulatoriali, anche il ricorso a differenti canali di erogazione, quali le televisite e il teleconsulto, fino a nuove disposizioni legate all’evoluzione del quadro epidemiologico.
Pertanto la consueta pubblicazione dei tempi di attesa riprenderà ad avvenuto consolidamento dei dati».
Da marzo 2020 il Covid-19 non ha soltanto costretto il personale sanitario a un lavoro pesantissimo per fare fronte all’emergenza, ma ha oggettivamente messo in difficoltà la normale erogazione di cure e tutte quelle prestazioni di prevenzione che, anche se si considerano “non urgenti”, sono fondamentali per scongiurare possibili complicazioni e aggravamenti.
Ci ricordiamo ancora, anche in Toscana, la corsa al reclutamento di medici e infermieri partita in tutta fretta nella primavera 2020, dopo anni in cui, a tutti i livelli, si perseguiva con determinazione un ridimensionamento e un indebolimento del servizio sanitario nazionale e regionale.
Ma torniamo al nostro racconto e alla storia della famiglia che si è trovata catapultata improvvisamente in un’altra dimensione, in cui le consuetudini quotidiane dovevano fare i conti con una malattia invasiva e pesante.
«Lui non si è mai scoraggiato in questi anni. Ha lottato come un leone, riuscendo a garantire a sé stesso e ai propri cari, condizioni di vita più che accettabili, nonostante gli effetti talora devastanti dei chemioterapici, effetti che lui ha sempre combattuto con una forza d’animo sovrumana. Siamo andati avanti così, per anni, accettando che l’alternanza tra alti e bassi facesse ormai parte della nostra quotidianità, riuscendo a condurre un’esistenza, tutto sommato, normale, normale al punto di indurci alla quasi negazione di quella diagnosi infausta, tanta era la fiducia nell’efficacia delle terapie praticate presso i reparti di oncologia, a Milano, a Siena, al reparto oncologico del San Donato di Arezzo, dove l’assistenza ricevuta è stata eccellente sotto tutti i punti di vista, nonostante la situazione creata dal Covid-19. Lo scorso dicembre qualcosa è cambiato. Una febbre altissima, probabilmente causata dall’avanzamento della malattia, lo ha costretto a letto per molti giorni. Da allora, anche dopo la guarigione, non è stato più lo stesso. Progressivamente, i segnali del malessere fisico si sono fatti via via più evidenti, fin quando non è stato possibile intensificare lo sforzo per condurre una vita quasi normale».
È in questo momento che si incrina la precaria normalità grazie alla quale si era riusciti ad andare avanti, comunque, ed è in questo momento che non si riescono a trovare alcune determinanti risposte a una situazione sempre più difficile.
Si potrebbe essere portati a pensare a richieste impossibili, considerato il decorso della malattia, ma in realtà si stava solo chiedendo quanto era giusto avere.
«Ci siamo attivati perché venisse avviata una efficace terapia del dolore. Il disorientamento era tale da non permetterci neppure di realizzare che ci stavamo avviando verso la fase finale, un pensiero che l’umana e naturale ostinazione ad allontanare la morte ci spingeva a rifiutare».
Nonostante prendere consapevolezza delle necessità del momento sia causa di un profondo dolore, la famiglia rinnova le richieste per l’attivazione delle cure palliative, ma non succede niente.
«Quando la sofferenza ha iniziato a manifestarsi con urla e pianto e dopo vari interventi richiesti alla dottoressa medico di famiglia, che non è mai intervenuta nonostante innumerevoli tentativi di contattarla al telefono, ed infine alla guardia medica, che invece è stata efficiente, professionale ed al tempo stesso molto umana, abbiamo insistito per un temporaneo ricovero, nella speranza che, all’interno dell’ospedale di Bibbiena, venisse finalmente attuato un serio protocollo anti-dolore. Ricordo molto nitidamente il giorno del ricovero, mio marito si reggeva ancora in piedi. Da solo è uscito di casa ed è salito sull’ambulanza. Ci ha salutati dal finestrino, cercando di confortarci con il tipico gesto del pollice alzato, ad indicare che tutto era ok. Poco prima aveva rivolto una preghiera ai nostri figli: “Al mio rientro dall’ospedale starò sicuramente meglio. Mi raccomando, preparate il gazebo, così il giorno di Pasqua mangiamo in giardino”… Durante i pochi giorni di ricovero le imposizioni anti Covid-19 ci hanno impedito di fargli visita. Potevamo soltanto interloquire con i medici dell’ospedale che ci aggiornavano sulla situazione, anche in questo caso la comunicazione è stata cruda, molto impersonale. Probabilmente è così che deve essere, non lo sappiamo. Non deve essere certamente facile per un medico dover comunicare ad una famiglia che il loro amato padre e marito non ha più nessuna speranza e che i giorni che gli restano saranno davvero molto pochi, però crediamo che il modo in cui lo si dice faccia una grande differenza, non tanto per una moglie che in cuor suo è già pronta al peggio, ma per i figli, ancora molto giovani, che non hanno altrettanta confidenza con la sofferenza, probabilmente qualche frase di conforto, un po’ di comprensione e vicinanza avrebbero fatto la differenza e non sarebbero costate nulla e, forse, la tragica comunicazione avrebbe sortito effetti un po’ meno devastanti.
Poco prima di Pasqua ci hanno chiamato dall’ospedale. Mio marito aveva espresso il desiderio di essere dimesso per poter trascorrere le feste in famiglia. Mentre lo aspettavamo con ansia non avremmo mai e poi mai potuto immaginare in quali condizioni il servizio sanitario ci avrebbe riconsegnato il nostro amato papà e marito. Lo hanno fatto scendere dall’ambulanza e rientrare in casa a piedi. Non credo possa esistere uno sforzo sovrumano più grande di quello che lui ha compiuto per recarsi fino in camera con le sue gambe, sia pur sorretto da entrambi i lati. Non c’era un cerotto, né una flebo, né un ago attaccati al suo corpo, come se non avesse ricevuto la somministrazione di alcun farmaco per via venosa o cutanea. Ci hanno consegnato la diagnosi ospedaliera di dimissione e un elenco di medicinali da somministrare, tutti per via orale. Ma mio marito, affetto da tumore esofageo, era ormai completamente impossibilitato a deglutire. Come avrebbe potuto ricevere per bocca pasticche e fiale? Constatato questo abbiamo nuovamente contattato la dottoressa per l’attivazione delle cure palliative dato che solo lei le avrebbe potute attivare.
Ci ha risposto in maniera evasiva, adducendo che nella nostra zona, il progetto Scudo non c’è e che, in ogni caso, non sarebbero state necessarie cure più forti di quelle in elenco. Tutto ciò senza averlo nemmeno visto di persona, basandosi non sappiamo su che presupposti, fatto sta che mio marito stava soffrendo le pene dell’inferno e non avevamo nessun mezzo per potergli alleviare il dolore. Volevamo a tutti i costi dargli sollievo.… credevamo di impazzire. Lo sentivamo urlare di continuo. Piangeva, si disperava, faceva gesti di rabbia inconsulta, nel tormento e nella piena consapevolezza della morte imminente. La sofferenza lo stava divorando… Grazie ad un’amica, spinta da umana misericordia, si è provveduto ad effettuare un accesso venoso per poter utilizzare farmaci adeguati, però senza supporto medico le dosi non erano sufficienti ad alleviare il dolore. Le cure palliative dell’azienda ASL sono state finalmente attivate il giorno antecedente il decesso… quando ormai era troppo tardi ed aveva già sofferto moltissimo».
Il racconto si conclude così, lasciando un profondo dolore e un senso di quasi incredulità per una situazione inesorabilmente precipitata in un tempo relativamente breve, una situazione in cui, come abbiamo detto poco sopra, dovevano arrivare delle risposte, ma sono mancate. Eppure, sempre nello spazio online dell’ASL Toscana Sud Est, è chiaramente presente l’informativa sulle cure palliative, ormai un irrinunciabile strumento di assistenza giustamente previsto e garantito.
Ma allora cosa è successo?
Se sarà necessario ci sarà chi si occuperà di valutare eventuali responsabilità personali. Qui crediamo utile avanzare alcune riflessioni legate ad eventuali mancanze del sistema sanitario.
Il momento più critico di questa triste storia è iniziato a dicembre 2020 e si è concluso nell’aprile 2021, in concomitanza con la seconda e terza ondata dell’epidemia, un momento in cui, sono state comunque necessarie misure di contenimento e limitazione all’interno delle strutture sanitarie con un presumibile aggravamento del carico di lavoro su tutto il personale e sull’organizzazione nel suo complesso.
Quanto ha inciso il peso dell’emergenza sulla mancanza ed erogazione di adeguate e doverose prestazioni sanitarie assolutamente necessarie? La carenza di personale o il carico eccessivo di lavoro registrato in queste settimane possono essere stati una causa di eventuali criticità e ritardi nell’attivazione ed erogazione delle prestazioni?
Queste domande dovranno trovare una risposta e dovrebbero essere un ulteriore stimolo alla riflessione e alla riconsiderazione di tutta una serie di scelte che, anche in Casentino e nella ASL Toscana Sud Est, sono state fatte con il silenzioso e ossequioso avvallo di politici e amministratori.
L’organizzazione sanitaria deve essere in grado di fare fronte alle normali necessità, ma deve essere anche pronta ad affrontare situazioni di straordinaria emergenza, senza che questo metta in discussione la fondamentale e quotidiana opera di prevenzione e cura. Inoltre, si dovrebbe intervenire per attivare anche in Casentino il servizio garantito dal progetto Scudo.
Se dopo l’emergenza Covid-19 si ritornerà a pensare alla sanità solo come un costo da ridurre, i sacrifici e le tragedie di questi mesi non saranno serviti a niente. Ma, ricordiamolo bene, non sarà colpa solo di chi si renderà artefice di tagli e cancellazioni di servizi, sarà responsabilità di tutti coloro che, in silenzio, lo permetteranno.