di Federica Andretta – «Un giorno ebbi l’opportunità di vedere una scatola con i quadrotti degli acquerelli; erano più di quaranta colori e mi sembrò così meraviglioso che rimasi incantato per oltre mezz’ora».
Abbiamo voluto iniziare questo nostro articolo citando un ricordo tratto dall’infanzia del protagonista della nostra intervista, il pittore Carlo Lanini. Classe 1949, sin da quando era un bambino Carlo ha mostrato subito una forte inclinazione al disegno e alla pittura che lo avrebbero accompagnato poi per tutta la vita. Gli abbiamo posto alcune domande riguardo il laboratorio di pittura tenutosi a Poppi dal 25 al 27 agosto e su di lui e le sue opere.
La mostra intitolata “Il Gusto dei Pittori”, è stata organizzata in concomitanza con il “Gusto dei Guidi”. L’evento, che ha visto la partecipazione di circa venti pittori hobbisti casentinesi, è stato organizzato proprio da Carlo Lanini che li segue e li guida nella crescita del lavoro di pittura, sia per quanto riguarda la soggettistica sia per quanto concerne la tecnica cercando di insegnar loro il taglio dell’immagine, l’uso del colore, la tecnica dell’olio ed infine la scelta dei soggetti. Carlo, che opera nel settore da oltre cinquantacinque anni, dopo aver svolto quest’attività come professionista fino ad alcuni anni fa la prosegue come hobbista. Durante l’evento sono state esposte al pubblico le opere realizzate dai pittori nel tempo.
Carlo, facciamo una piccola introduzione. Quando nasce e come si sviluppa la pittura nella storia dell’arte? «I primi ad occuparsi di pittura sono stati i pittori rupestri con i loro dipinti raffiguranti scene di caccia. Successivamente, la Chiesa ha iniziato a commissionare pitture con la funzione di narrare la storia della religione, della Bibbia e di Dio alle persone che non sapevano né leggere né scrivere; dunque, dal ‘200 in poi i soggetti sono stati quasi tutti di natura religiosa. Giunti al ‘500 gli artisti si sono invece cimentati nella soggettistica, poiché i loro committenti erano cambiati. Non era più la Chiesa a commissionare le opere ma il signorotto il quale desiderava la decantazione di sé, della sua famiglia e delle sue gesta; ciò è durato fino alla fine del ‘700. Dopodiché, dall’ ‘800 in poi gli Impressionisti e i Macchiaioli in Italia hanno cambiato la tecnica pittorica e soggettistica, diventando i primi (salvo qualche eccezione) ad abbandonare quasi o del tutto il tema religioso e la ritrattistica dei signorotti, dedicandosi alla rappresentazione della vita comune e dei soggetti comuni, come ad esempio i paesaggi; i pittori hanno cominciato così a pitturare di tutto (natura morta, ecc). Fino agli inizi del ‘900 vi era un pittore ‘generico’, ossia un artista in grado di rappresentare varie tipologie di cose: dallo scorcio di luce a un familiare andando così a raffigurare qualcosa che lo colpiva; nasceva dunque nel pittore il desiderio di cimentarsi con una certa immagine. Successivamente dal Realismo siamo giunti infine al ‘900 passando così all’Astrattismo, poi al Cubismo, al Dadaismo e a tutte quelle tendenze che sono ancora oggi molto attive. C’è stato pertanto uno sconvolgimento del soggetto che ha portato alcuni pittori a riconoscersi nell’identità di una certa immagine. Fernando Botero, per esempio, creava immagini tutte uguali (questa scelta rappresenta l’identità dell’artista). Questo vale anche per Pablo Picasso (che è passato dal Cubismo per poi scomporre i soggetti) e ancora oggi il mercato è fatto di queste cose. Antonio Possenti, ad esempio, si è focalizzato e specializzato in certe figurine inserite in tipi specifici di ambiente; infatti, i suoi quadri sono quasi tutti uguali, perché l’artista si identifica proprio in quel tipo di soggettistica, specializzandosi anche nel tipo di pennellata.»
Carlo, che tipo di pittore è? «Mi occupo di pittura Realista, o meglio di Realismo Fotografico. Le mie rappresentazioni si avvicinano infatti alla fotografia ma con la differenza che aggiungono all’immagine un pittorialismo tale da trasformare una fotografia in una pittura; a partire da un’immagine fotografica, lavorando infatti con i colori e le pennellate, la rendo una vera e propria pittura. Non ho una predilezione per il soggetto. Mi sono focalizzato soprattutto sulla parte fine ‘800 e ‘900 ma a differenza dei pittori da me citati, io invece sono rimasto nel Realismo. Credo che un vero pittore non debba specializzarsi su qualcosa in particolare ma rappresentare varie cose. A tal proposito, il mio sviluppo artistico nasce appunto dalla ricerca di un’immagine che mi piace e non dalla soggettistica ed è ciò che cerco di insegnare alle persone che seguo. Bisogna imparare a guardare e a scegliere, perché se si impara a guardare, si impara a scegliere e quindi a crescere nella scelta personale dei soggetti e nell’impaginazione. Ma la mia passione per la pittura va ben oltre, infatti possiedo più di 5.000 libri di pittura».
Quanti quadri ha dipinto? «Nel mio percorso artistico ho prodotto circa 1.500 quadri».
Avrà viaggiato molto… «Sì, sono andato in giro per il mondo. Ho partecipato a varie mostre in molte parti d’Italia e all’estero, come ad esempio a Parigi, Vienna e Londra. In Italia vale la pena ricordare il Caffé “Le Giubbe Rosse” situato a Firenze dove sin dai primi del ‘900 si riunivano i pittori fiorentini e dove ancora oggi si tengono varie mostre».
… e avrà vinto anche dei premi. «Sì, tra questi un premio ricevuto presso la Galleria d’Arte Ponte Rosso di Milano».
Può citarci qualche suo quadro di rilievo? «Alcune mie opere importanti (nelle foto) che tengo a menzionare sono “Boldini a Parigi” (olio su tavola 52 X 34 raffigurante sulla sinistra una ragazza vestita di scuro che sta correndo e sulla destra un pannello pubblicitario che mostra un’opera del pittore Giovanni Boldini) e “San Francisco” (olio su tavola 80 X 60 che presenta al centro dell’immagine un’automobile d’epoca di colore rosa e sullo sfondo alcuni negozi di San Francisco)».
Quali figure ama in genere dipingere? «Mi occupo di natura morta, paesaggi, interni, ritratti, insomma di tutto».
Pensa mai al futuro? «Al momento continuo a fare la mia pittura. Per quanto riguarda il futuro, ho settantacinque anni e a quest’età, si sa, ci sono delle limitazioni. Non sono ormai più giovane. Molto si vive di ricordi e di piccole cose».
Ha qualche rimpianto? «Non ho rimpianti, per averli bisognerebbe avere la consapevolezza delle proprie valutazioni. Normalmente, si devono considerare i pro e i contro che alla mia età sono diversi da quelli che avrei potuto avere a vent’anni».
Com’è iniziata la passione per la pittura? «Da piccolo a cinque anni. Quando ero ragazzetto abitavo in una casa condominiale composta da quattro famiglie; dipingevo sui pianerottoli, perché mia mamma non voleva che lo facessi in casa. Nel 1975 ho fatto la mia prima mostra al Castello dei Conti Guidi a Poppi. Mia mamma era una ricamatrice, mio nonno un fabbro con la vena artistica, mentre mio fratello è disegnatore pubblicitario».
Ha qualche artista a cui si ispira? «Ho molti artisti che mi hanno ispirato. Amo molto il pittore svedese Anders Zorn, il pittore statunitense John Singer Sargent e il pittore spagnolo Joaquín Sorolla. Sono tre Realisti di fine ‘800 e inizio ‘900 che hanno un po’ rivoluzionato il mio modo di amare il Realismo. Il mio Realismo è infatti una fusione tra Impressionismo, Realismo, e Iperrealismo. L’Iperrealismo, nato in America nel ‘900, è un tipo di pittura che supera la fotografia ma è ‘forzata’ e arriva, diciamo, al cartellonismo. Un esempio di rappresentazione iperrealista è una foglia di grandi dimensioni in cui si vedono persino le venature. Invece, il Realismo rappresenta un’immagine reale a tutti gli effetti sia nella visione sia nella dimensione; mi piace l’effetto dell’Iperrealismo e lo uso a seconda di come mi serve».
Per concludere… «Ritengo che ogni individuo (nessuno escluso) abbia una predilezione per qualche cosa di speciale e dunque una predisposizione nata. Ma qual è l’inghippo? Rendersene conto, amare quello che si ha e svilupparlo. Se si riesce a far ciò, si diventa artisti in ogni campo. Nella mia esperienza non mi è capitato mai nessuno che non ci sia riuscito. Ho avuto un dono, ossia il tocco, e sono riuscito a curarlo, a portarlo avanti e a svilupparlo, il tutto da solo; nel mio caso, mi ritengo infatti un autodidatta. Credo infatti che osservare e copiare significhi imparare. È proprio attraverso la copiatura che si può imparare; poi da lì bisogna però sviluppare anche una propria personalità».